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La Strada del Giovo.


Articolo n. 98 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Settembre-Dicembre 1986

 Strada del Giovo Nei tempi remoti tutto quanto era prodotto in Ovada e trasportato in Genova, come quanto da Genova veniva nella nostra zona o per questa via vi transitava per proseguire verso Alessandria e la pianura padana doveva passare per le barriere di Voltri. Esiste tuttora in Voltri, sebbene chiusa al culto, una piccola ed antica chiesetta la cui dedicazione è a S.Limbania (1).
In quei tempi, e parlo di quando ancora non esisteva la strada del Turchino, la piazzetta antistante la suddetta chiesa era il terminale della cosidetta "Strada del Giovo" che, passando per la Cannellona, varcava l'Appennino e, inoltrandosi per la Valle dello Stura, collegava la riviera con la pianura alessandrina ed il Monferrato. Tale strada è tuttoggi transitabile ed il tratto da Voltri al passo del Turchino si rivela un breve ma interessante itinerario turistico. Tutti coloro che facevano la spola, trasportando merci, dal mare alla pianura e, pertanto, i mulattieri, i cavallari ed i somieri avevano eletto Santa Limbania a loro protettrice, tant'è vero che al terminale opposto questi lavoratori del trasporto avevano dedicato a Santa Limbania un' altra chiesetta, quella antichissima di Castelvero di Roccagrimalda. La strada che percorrevano questi uomini abituati alla fatica, alle intemperie ed a tutti gli altri rischi ed inconvenienti derivanti dal loro mestiere, non era certamente un itinerario facile ed agevole. Di essa abbiamo già notizia nel 1278 in una convenzione tra il Comune di Genova e quello di Alessandria nella quale si dice testualmente: "Strata que exibit de Vulture erundo in Lombardiam versus Uvadam, vadat similiter in Alexandria. Et omnis soma veniens per dictam stratam Uvade et Vulturis veniat similiter per Alexandriam et non aliunde.". Essendo molto frequentata anche da mercanti, pellegrini, soldati ed avventurieri, venne intervallata ben presto da "tabernae", ostelli, cappelle di sosta e di devozione e da locande rustiche, che servivano per ricovero e riposo sui due versanti dell'intero itinerario. Al terminale di Voltri poi vi era un ospizio adiacente proprio alla chiesa di S.Limbania.
Era certamente una strada che comportava i suoi rischi e pericoli ("...itinera ardua, angusta, infesta insidiis...") non tanto per i suoi utenti abitudinari, che la percorrevano avanti ed indietro per tutto l'anno e con tutte le stagioni, ne conoscevano le insidie e sapevano evitarle, quanto per coloro che vi si avventuravano per impellente necessità e sui quali incombevano i pericoli di cattivi incontri, di assalti di predoni e malfattori. Non per nulla ancora oggi alcune località dell'antico percorso hanno denominazioni tutte particolari come il Bosco ed il Bric dei Ladri, la Cà delle anime, il Prato del Buon Morto, e così via, che sono indicative e ci rammentano molto bene le disavventure che potevano capitare a quegli antichi viandanti e mercanti. Un covo di briganti che si rese tristemente famoso fu quello che faceva capo alla taverna sopra Perogrosso e la tradizione popolare, giunta fino a noi, ci parla di soffitti mobili, di trabocchetti, di botole, che servivano ai malviventi per eliminare i passeggeri più danarosi, seppellendone poi i corpi nei boschi circostanti. I somieri, i cavallari ed i mulattieri che percorrevano sempre questa strada, come già abbiamo detto, ne conoscevano i pericoli e, forse, in qualche caso, è possibile che alcuni di loro, per quieto vivere, siano stati forzatamente conniventi e fiancheggiatori dei grassatori ai quali certamente tutti avranno dovuto pagare, in merci od in denaro, delle tangenti per essere lasciati in pace. Nel 1547 la percorse, fuggendo da Genova, Andrea Doria per rifugiarsi in Masone dopo la congiura dei Fieschi. Anche il vincitore di Lepanto, Giovanni d'Austria, la seguì nel 1576 per recarsi in Milano con le sue milizie che aveva fatto sbarcare sulla spiaggia del molino di Crevari alla foce del Gerusa.
Ma da Voltri per passare l'appennino si dipartiva anche un'altra strada, cosidetta "del Veleno" che saliva dalla valle del Leira e, valicato il passo del Turchino, scendeva a San Pietro di Masone di dove si biforcava in due diramazioni, una verso le Capanne di Marcarolo per la via dei monti e l'altra, per la "Montata di Stura", fino ad Ovada. Tutti e due questi itinerari attraversano il cosidetto "Bosco di Ovada". Antico feudo degli Aleramici Marchesi del Bosco, questo "nemus" aveva un'estensione vastissima che comprendeva tutto il bacino imbrifero dell'Orba fino ad Ovada, di qui seguiva tutta la sponda sinistra dello Stura fino al crinale appenninico sovrastante Voltri e fino a quello della zona sopra Lerca di Cogoleto. Era allora una selva foltissima nella quale Genova, venutane in possesso nel XII e XIII secolo, trovava materiale ligneo ottimo ed abbondantissimo per la costruzione delle sue navi. La precisa definizione dei limiti di questo bosco la troviamo in una sentenza emessa il 19 novembre 1317 dal Podestà di Genova Cambellino De Bonardo il quale, dopo aver fatto fare una rigorosa inchiesta ed esaminati i confini, dichiara il pieno possesso di Genova su questo territorio boschivo e commina pene severissime per qualsiasi Comunità, Ente o privato che si intromettessero, impedissero, molestassero od inquietassero il Comune di Genova per questo possesso, ovvero le persone in esso dimoranti.
I due percorsi di Voltri non erano in quel tempo strade vere e proprie; trattavasi più che altro di collegamenti spezzettati fra di loro con viabilità difficile ed impervia, ma che già indicavano, a grandi linee, la direttiva generale di quella che sarebbe poi stata la via più breve che, dalla Valle dell'Orba attraverso quella dello Stura ed il valico del Giogo, avrebbe portato direttamente al mare.

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NOTE del curatore:

1) Cfr. artt. nn. 37, 48, 71, 72 e 87.

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