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1836: Un medico di Novi sovrintende alla cura del colera in Ovada.


Articolo n. 77 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Marzo 1983

 Colera in Ovada "Non per anco aspettata pervenne la coléra in Ovada - Essa vi dovea pervenire venti giorni dopo, per poter essere ricevuta con tutti i preparativi, nell'istesso modo che prima di ricevere una sposa nella casa nuziale, si allestisce in tutto quanto abbisogna l'appartamento destinato. Teneansi gli Ovadesi quasi sicuri di andarne preservati, perchè fidantisi sul nessun sinistro accaduto nell'anno innanzi dopo due casi letali di forestieri, ed avvenuti di più nell'epoca pericolosa di frequentissime comunicazioni con Genova, ove esterminava. Per altra parte confortava lor l'animo la topografia del nativo paese ed il cielo sempre bello e sereno; e per verità conforta in tali circostanze il trovarsi in un luogo sano per ogni riguardo, circondato da fertili e ridenti colline, e donato d'un'atmosfera sempre pura, sebbene due fiumi lo attornino - Ma i buoni presentimenti, le speranze, i calcoli non valgono contro la coléra. Nel dì 7 agosto dell'anno corrente 1836 comparve.".
Con questa romantica e quasi poetica prefazione, il Dott. Antonio Cattaneo di Novi, Medico di Ovada, inizia il suo lungo discorso sull'epidemia di colera che colpì Ovada alla fine dell'estate del 1836. Il lavoro, che si compone di ben 170 pagine, stampato in Alessandria dalla Tipografia di Giacinto Moretti nel 1838 (due anni dopo l'epidemia) porta questo elaborato titolo: "La Coléra Indica considerata in rapporto alla medicina ed alla società e saggi di alcune moderne dottrine filosofico mediche opera di Antonio Cattaneo di Novi Medico in Ovada Provincia di Acqui". La copia che stiamo esaminando ci risulta dedicata, con autografo dell'autore, "All' Ill.mo Signor Avvocato Daniele Riscossa Giudice del Mandamento di Ovada in attestati di stima e d'ossequio". Il suo stato di conservazione, alla distanza di oltre 140 anni dalla sua edizione, ci fa pensare che il libro sia stato poco letto e che, dopo una breve scorsa, il destinatario lo abbia subito messo da parte e dimenticato in pasto ai topi che vi hanno lasciato copiose e ben visibili tracce. Noi che, per dovere di cronaca, lo abbiamo voluto leggere, lo abbiamo trovato estremamente pesante e tedioso, infarcito di citazioni mediche e filosofiche antiche che a noi, incompetenti, non dicono proprio nulla e che pensiamo dicano, oggi, molto poco anche a coloro che incompetenti non sono. Il libro ha però un suo pregio cronachistico sull'andamento dell'epidemia, sui protagonisti, sui colpiti, sui medici curanti e sui metodi di cura allora usati, si da informarci abbastanza esaurientemente su di una pagina di storia ovadese sconosciuta e dimenticata.  Colera in Ovada Dobbiamo subito dire che il Dott. Cattaneo non era uno sprovveduto nè un fautore o sostenitore di idee e di superstizioni antiche, ancora molto radicate in quel tempo, che vedevano nel contagio la conseguenza di unzioni ed altre pratiche magiche o delittuose. Era un uomo molto ben preparato, che conosceva bene il suo mestiere e che già aveva prestato la sua opera l'anno prima nell'epidemia di Genova, dove aveva attentamente osservato e studiato l'espandersi del morbo ed i metodi di cura. Non per nulla era stato appositamente nominato dal Regio Governo di Torino Ispettore Sanitario Comunale in Ovada, preposto alla sorveglianza ed alla cura del male. Oltre al Dott. Cattaneo vi erano allora in Ovada altri otto medici. Il Protomedico era il Dott. Giuseppe Verri, che aveva la responsabilità dell' Ospedale, coadiuvato dai Dottori Delfini, Prodottore in Chirurgia, Montano e Giangrandi, Medico Aggiunto. Vi erano inoltre il Dott. Olivieri, Medico di Sanità del Borgo, il Dottor Oddone, Chirurgo del Borgo, Francesco Buffa ed Emanuele Sommariva, Liberi Professionisti. L'Ospedale di S. Antonio era allora una costruzione molto modesta risalente al 1444. Si trattava di un fabbricato a due piani, con al piano superiore un lungo dormitorio con letti da ambedue le parti ed un altare in mezzo e, al piano della strada, vi erano due stanze per i servizi ed un vano di isolamento per gli infermi contagiosi. Non era un vero e proprio ospedale ma, più che altro, un ricovero per poveri infermi. Qualche ampliamento e miglioria erano stati apportati nel 1777, quando due sacerdoti di facoltose famiglie ovadesi, Don Gio Bartolomeo Perrando e Don Agostino Torrielli, avevano legato ciascuno la cospicua somma di mille lire genovesi a favore dell'ospizio. Si era costruito così, insieme ad altre cose, anche un reparto per donne. Dati però i tempi calamitosi di allora, le svariate carestie ed epidemie ricorrenti, il frequente passaggio di soldatesche che portavano afflusso di infermi e di poveri sempre crescente, la fabbrica si dimostrava angusta e poco ospitale e la penuria dei posti letto era tale che gli ammalati venivano posti financo due per letto, cosa quanto mai rimproverata particolarmente dal Cappellano, Gio Domenico Baudotto che, nel 1776, lamentava di essere impossibilitato a confessare gli infermi, in quanto che uno sentiva la confessione dell'altro. Nel 1835, al tempo della grande epidemia colerosa in Genova, la situazione dell' Ospedale di Ovada era, più o meno, quella descritta, sicchè le autorità, in previsione dell'estendersi del contagio in Ovada, avevano allestito un lazzaretto supplementare, poco distante dall'ospedale stesso e che, fortunatamente, in quell'anno non venne usato. Sarebbe venuto bene però l'anno dopo 1836 (1).
 Colera in Ovada Il contagio genovese dell'anno prima non aveva che marginalmente interessato Ovada se non con i due casi di forestieri che il Cattaneo cita in prefazione. Sarà stata forse la previsione di un ripetersi del colera nell'estate successiva che avrà indotto le autorità piemontesi ad avviare in Ovada il medico di Novi. Certo è che l'epidemia non venne da Genova e non nacque spontaneamente nel nostro Comune, ma vi fu importata dal Vogherese dove già serpeggiava e di dove una famiglia di Ovada, che colà soggiornava temporaneamente, ritornò nei primi giorni dell' Agosto 1836. Purtroppo, come ci dice il Cattaneo, i componenti di questa famiglia "ne avevano con se il germe che poco tempo dopo l'arrivo si sviluppò in due persone.". Una di esser era una fantesca, certa Teresa Camera, l'altra la sua padrona, che il nostro autore non nomina. Entrambe, in capo a dodici giorni ne guarirono anche perchè erano giovani: la fantesca aveva 17 anni, la padrona 27. Un'altra persona facente parte di questo gruppo, Giovanna Carrega, contadina di 32 anni, contrasse la malattia e ne guarì in sette giorni. La prima vittima fu invece un'altra Teresa Camera, madre della prima, di anni 40, al servizio dello stesso nucleo famigliare che, avendo curato, assistito e vegliato le altre, ne contrasse il morbo e in solo quattro giorni ne soccombette. Quest'ultima era stata portata nell'ospedale delle malattie ordinarie che "mancava di cose necessarissime per la cura" e di qui il male si propagò non solo ad altri ricoverati ma anche a persone sane che per ragioni varie di assistenza e di lavoro lo frequentavano. Un altro centro di infezione, per diversa origine, si formò intanto nel casamento "Monache", abitato da moltissime persone di povera condizione (Il casamento "Monache", oggi non più esistente, trovavasi nell'attuale via Borgo di Dentro), Quivi una certa Maria Ferrando proveniente, già con i sintomi del male, da Novi, si mise a letto ed alcuni suoi panni messi ad asciugare su di un ballatoio dove tutti passavano, furono la fonte del contagio nelle persone di Pietro Ottonello, Giacomo Torello, Teresa Priana e Domenico Ferrari, non compresi i casi non denunciati. In questo frattempo, mentre nel borgo le cause del contatto e di convivenza portavano ad un espandersi del male, sulla collina del Manzolo, poco distante da Ovada, un certo Matteo Marchelli, contadino quasi ottuagenario e che da molti anni non era stato più in paese, venne colpito dal colera e, quasi contemporaneamente ad esso, sua nuora Caterina e due caritatevoli suoi vicini che lo avevano assistito, Luca Camera ed Andrea Olivieri, ne furono contagiati insieme alle rispettive mogli, e tutti ne morirono.  Colera in Ovada Il medico Cattaneo si preoccupò subito di isolare la zona del Manzolo e riuscì a convincerne gli abitanti a non lasciare le loro case ed a ricoverare nel lazzaretto tutti coloro che con gli ammalati avevano avuto un qualsiasi contatto. Queste misure riuscirono a circoscrivere il contagio e ad impedire che il colera si diffondesse nelle campagne circostanti. In tutto il periodo di Agosto e Settembre (mesi di maggior crudezza del male) i casi controllati ed accertati furono 53 dei quali ben 33 con esito mortale e 20 guarigioni. Se il male non si espanse di più fu in grazia ai tempestivi interventi che le autorità sanitarie seppero imporre in quel triste periodo e, se il quadro statistico che il Dott. Cattaneo ci presenta in fondo al volume non ce ne presenta altri, dobbiamo però pensare che quasi altrettanti casi di ammalati più leggeri, curati nelle loro abitazioni e sfuggiti al controllo, possono essere avvenuti. La situazione generale che l'autore ci presenta segnala nomi e cognomi di tutti coloro che poterono essere controllati dalle autorità sanitarie. Trattasi per la maggior parte di gente del popolo, artigiani, contadini, domestici, giornalieri, ecc. Soltanto per cinque persone non sono segnalate le generalità complete, come per tutti gli altri. Trattasi di persone che il Cattaneo segnala sotto la colonna della professione come "Proprietari" e, pertanto, appartenenti alla categoria dei Signori del tempo. Non ci spieghiamo il perchè di questa voluta omissione; era forse che l'essere stati colpiti da un morbo che non risparmiava nè ricchi nè poveri poteva, in quel tempo, sminuire l'importanza, la personalità, il ceto sociale e la rispettabilità. Segno di altri tempi e di altra mentalità. In ogni caso, il contagio del 1836 in Ovada fu limitato e contenuto grazie al prodigarsi dei medici e delle autorità sanitarie. Molte altre persone, delle quali non conosciamo il nome, prestarono la loro opera di assistenza nelle case e nell'ospedale. Non possiamo non citare il Padre Bernardino Crestadoro delle Scuole Pie (uno dei primi Scolopi venuti da Genova in Ovada). Lo ricorda con poche parole il Cattaneo, ma noi riportiamo di lui quanto ha scritto Bartolomeo Bozzano negli "Elogi dei Liguri Illustri": "Il 7 agosto 1836 manifestavasi per la prima volta il colera fra la popolazione di Ovada. L' indico morbo non perdonandola a condizione ed età, mieteva più vittime al giorno. Nel periodo di un trimestre cadevano estinte ben 33 persone, donde un panico timore signoreggiava nel cuore di tutti. Chiusi i negozi, le strade deserte, molti cercavano con la fuga lo scampo. In tanta costernazione il Padre Bernardino Crestadoro, dimentico dei proprii mali, vegliava la notte presso il letto dei morenti per riceverne le confessioni, cibarli del Pane Celeste e versare sull'addolorata anima loro parole di conforto.". L'ultimo caso violento e mortale di colera è registrato sotto la data del 4 ottobre nella persona di Francesca Perasso, contadina di anni 38 che in 26 ore ne morì. Dopodichè la situazione va piano piano migliorando fino a che ogni traccia di contagio scompare definitivamente. Il Protomedico dell' ospedale, Dott. Giuseppe Verri, si ebbe un attestato di benemerenza dalle autorità comunali e, dall' Ospedale, ebbe in dono simbolico "...uno scudo d'oro, non potendo l' Amministrazione ospedaliera, essendo povera, fare di più.".

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NOTE del curatore:

1) Per la storia dell' ospedale di Ovada cfr. Art. n. 4.

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