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La Nostra Ovada - Appendice
II - Figure Ovadesi del Buon Tempo Antico


Andrea Dania

Fra le tante personalità che hanno onorato questa nostra cittadina, in uno dei primi piani dobbiamo collocare il Colonnello Andrea Dania, Ufficiale Napoleonico e Comandante dei 'Filelleni', morto in Grecia nel 1822.
La sua figura, non molto nota agli ovadesi, anzi, direi, quasi dimenticata (sebbene una targa nel Palazzo Civico ricordi il suo nome ed una via sia a lui dedicata) merita di essere annoverata tra le molte che hanno saputo portare alto il nome di Ovada nel Mondo.
Andrea Dania nacque in Ovada il 7 aprile del 1775 da Francesco e Francesca Beraldi. Famiglia dunque di antico ceppo ovadese, imparentata per parte paterna ad un ramo collaterale dei Daneo e da parte materna col ramo diretto dei Beraldi, che ancor oggi sono fiorenti e distinti in Ovada. Nipote di Mons. Angelo Vincenzo Dania, domenicano, che fu poi Vescovo insigne di Albenga durante il periodo napoleonico e di cui parleremo in seguito su queste pagine, il piccolo Andrea potè avere un' ottima istruzione ed una giovinezza agiata e scevra di preoccupazioni.
Il giovane, colto, intelligente ed avventuroso, a vent'anni non potè mancare di sentire l'influsso delle nuove idee che venivano d'oltralpe e che si sarebbero concretizzate poi quaggiù con la prima discesa del Bonaparte. Lasciata Ovada per Genova, si arruolò nella Milizia Ligure e di qui iniziò quella sua carriera militare avventurosa ed eroica che si concluse con il sacrificio della vita per la libertà di una patria non sua, nelle impervie contrade dell'Epiro.
Dalla Milizia Ligure, dove già erasi distinto al comando di una sezione di artiglieria, passò nelle file dell' Esercito Napoleonico dove conseguì i gradi superiori. Si fece onore nella Campagna di Spagna e venne ferito nella battaglia di Vittoria, fu decorato sul campo della Legion d' Onore dallo stesso Maresciallo Soult, che lo aveva in pregio di valoroso combattente e raccolse meritate lodi nella Campagna dei Pirenei. Raggiunse il grado di Colonnello quando ormai l'astro napoleonico stava tramontando. A Waterloo vide cadere ogni sua speranza, e dopo essere stato prigioniero qualche tempo, riuscì a tornare a Genova, che già era passata sotto gli Stati del Re di Sardegna.
Del periodo che va dal 1815 al 1821 abbiamo poche notizie di lui, ma si può supporre che, con il suo passato di ex Ufficiale Napoleonico mal si assoggettasse alla nuova situazione creata nel Genovesato dal Congresso di Vienna e si trovasse piuttosto a disagio in un ambiente che non era più il suo e che forse gli si mostrava ostile. Certo è che si mantenne costantemente in relazione con altri suoi compagni d'arme che, come lui, alla caduta di Napoleone, o si erano trovati esuli fuori di patria, oppure in patria non avevano trovato modo di reinserirsi nella normalità della vita.
Erano uomini tutti valorosi e provati al fuoco delle innumerevoli battaglie napoleoniche ed albergava certo nei loro cuori quello spirito esuberante e particolare di giustizia e libertà, forse errato ma comunque sincero, che li aveva spinti ad abbracciare la causa del grande sconfitto.
E' appunto tra questi uomini che nacque l'idea di accorrere al richiamo di libertà della Grecia.
Era allora la Grecia in una crisi di continui rivolgimenti; l' oppressione Turca era mal sopportata ed i moti di libertà si susseguivano in continuazione. Nel 1821 era scoppiata l'insurrezione capeggiata da Alessandro Ypsilantis che portava al potere, quale Presidente del Governo Provvisorio, Alessandro Maurocordato, poi considerato uno degli artefici dell'indipendenza della Grecia.
Al richiamo di libertà di questa nazione accorsero baldi di speranza e di entusiasmo questi uomini, di null'altro desiderosi che di aiutare il popolo Greco oppresso che aveva accesa la fiaccola della libertà e voleva rompere le sue catene.
Si chiamarono 'Filelleni', e quando in Corinto, il 26 maggio 1822, furono loro consegnati gli stendardi dallo stesso Presidente Maurocordato, si videro i combattenti di Austerlitz, di Wagram, di Waterloo -vincitori e vinti- nelle loro gloriose uniformi, tutti accomunati al solo ed unico scopo dell'indipendenza greca.
Alcuni di essi entrarono nei quadri dei regolari greci come ufficiali; gli altri formarono due Compagnie al comando dell'ovadese Colonnello Andrea Dania.
Maxime Reybaud, che fece parte della spedizione sotto il comando del Dania, nelle sue 'Mémoires sur la Grèce pour servir à l' Histoire - Paris 1825', dalle quali ho attinto parte di queste notizie, chiama talvolta il Dania 'français', ma più che altro lo dice 'de Gènes, naturalisé', definizione non errata perchè allora gli abitanti dei Domini della Repubblica di Genova erano considerati giustamente come genovesi.
Alla campagna, che fu breve ed intensa, partecipava l'eroe leggendario greco Marco Botzaris, alla testa dei suoi Sulioti e lo scopo di queste truppe era quello di impadronirsi di Arta, nel cuore dell' Epiro, e liberare Suli, che trovavasi strettamente assediata dai Turchi.
Ebbero subito due combattimenti, uno a Missolunghi il 2 giugno ed a Comboti il 22, entrambi vittoriosi, particolarmente per il valore dei 'Filelleni' che, caricando alla baionetta, sconfissero il nemico.
Ma nei giorni seguenti, mancando rinforzi e rifornimenti, dovettero fermarsi ed attestarsi nel piccolo villaggio di Peta.
Intanto i Turchi, rinvigoriti dall'arrivo di nuovi complementi e con un contingente di 3-4000 uomini, posero l'assedio all'esiguo presidio dei 'Filelleni' e ad un gruppo di irregolari greci che si erano ricongiunti con essi.
Per ben nove giorni, dal 7 al 16 luglio, i valorosi seppero disperatamente far fronte al nemico, anche per l'ausilio di due piccoli cannoni da campagna che il nucleo greco aveva in dotazione.
Ma tutto fu vano, sebbene l'ovadese avesse tentato con furiosi attacchi all'arma bianca di rompere l'accerchiamento. Le preponderanti forze Turche, che la mattina del 16 avevano ricevuto un ulteriore rinforzo con pezzi di artiglieria, riuscivano a neutralizzare i due piccoli cannoni del Dania, colpendoli e mettendoli fuori uso.
Questa fu la fine. Il Colonnello Dania -e qui riporto quasi integralmente quanto scrive il Reybaud- "cavalcando alla testa di un manipolo di intrepidi e portando alto lo stendardo della libertà, tenta un'ultima disperata carica, ma viene fermato da un reparto di cavalleria Ottomana.Nel furioso scontro viene disarcionato e non appena l'eroe è caduto, un nugolo di Turchi, inferociti ed ebbri di sangue, si accanisce sul suo corpo, crivellandolo di ferite e troncandogli infine il capo.". E' il tramonto del 16 luglio 1822.
Presso il villaggio di Peta, nel cuore dell' Epiro, su una bassa collina, furono poi raccolti e tumulati i resti di questi eroi ed una gran croce di ferro, alta nel cielo, ricordò il loro olocausto per la libertà del nobile popolo ellenico.
Il Colonnello Dania riposa con essi ed a lui, per il ricordo nella sua patria natale, abbiamo dedicato queste poche e modeste note sulle vicende della sua vita avventurosa ed eroica.

Figure minori

Abbiamo già ricordato alcuni importanti ovadesi; è necessario e doveroso però non lasciare passare inosservate anche altre figure minori di nostri concittadini, figure che, almeno localmente, hanno lasciato un ricordo e che crediamo utile rammentare agli ovadesi moderni. Sono uomini in parte vissuti durante il Risorgimento e che in esso e per esso operarono, anche se su scala minore; altri, nati in tale periodo e vissuti quando l'Unità d'Italia era già compiuta.
Il periodo risorgimentale in questa nostra cittadina, che già allora contava oltre seimila abitanti, non fu certamente meno sentito che nelle altre parti d' Italia. Esso si concretò con manifestazioni di carattere popolare, diede combattenti alla Patria, uomini politici insigni e letterati illustri quali il Gian Domenico Buffa ed il Padre Cereseto. Vi sono però figure di secondo piano che, pur operando modestamente 'in loco', si dimostrarono veramente partecipi di quel movimento che avrebbe definitivamente unita l' Italia.
A questo proposito citiamo, fra i primi, Gio Batta Torrielli, di distinta e ricca famiglia ovadese, Sindaco di Ovada, tenace e convinto assertore dell' Unità, che diede l'esempio ospitando nella sua bella ed accogliente casa di Contrada dei Cappuccini (oggi Via Cairoli) il patriota Benedetto Cairoli, esule dalla sua Lombardia e qui rifugiato in attesa di entrare in azione per l'indipendenza della Patria. "... Qui dove ebbe ospitalità e conforto quando la Patria piangeva dispersi nell'esilio i suoi più magnanimi figli...".
Il Cairoli non dimenticò mai la famiglia del suo ospite e quando, ancora molti anni dopo, era Presidente del Consiglio dei Ministri, mantenne sempre una cordiale ed affettuosa corrispondenza con la famiglia Torrielli.
Amico del Torrielli, sebbene più giovane d'anni, era il Maestro Antonio Rebora. Giovane brillante, musicista e poeta dialettale, organizzò con il Torrielli nel 1848 il famoso 'Pranzo della fratellanza e dell' unità di tutti gli Italiani', definizione che era tutto un programma.
Il pranzo, imbandito nell'allora Piazza del 'gioco del Pallone' (ora Piazza Garibaldi), fu offerto e servito da tutta l' élite ovadese al popolo minuto e si svolse tra canti, suoni e sfilate di costumi 'all' italiana'. Il Rebora, fervente patriota, scrisse per l'occasione una bellissima poesia in vernacolo che declamò al popolo e che ottenne un enorme successo sì che fu persino stampata in un apposito opuscolo presso la Tipografia Moretti di Novi. La poesia, che non è qui possibile trascrivere, sia per mancanza di spazio che per l'astrusità dell'antico dialetto ovadese, è tutta un canto di italianità. In essa il poeta, inneggiando all'unità ed alla fratellanza, paragona l' Italia ad una bella giovane da tutti guardata, ammirata e contesa, ma che unita e concorde saprà guardarsi e difendersi da tutti:

"...figurev na bala feia,
ricca, unasta e bein vesteia,
che a sto all'erta e as mira an giru,
per timù de quarch brut tiru.
L'un s'avxeina, l'atru u uarda,
e d' tuchè ansciun s'azarda.
Eccu chi: sta bala feia,
ra l' Italia, tuta uneia....
Tutta Italia unéia a sarà,
cun l'antiga libertà,
e l' Italia, sa siè metta,
a cantrà ra girumeta,
Viva l' Italia,
l'veve ra bretta!...."

Rebora visse fino al 1861 e potè vedere l' Italia unita. Fu uno dei sostenitori della Civica Scuola di Musica, che oggi porta il suo nome e lasciò pregiate composizioni e sonate.
Un altro musicista e compositore di quell'epoca fu Emanuele Borgatta.
Nato nel 1809, studiò a Bologna dove si diplomò pianista e maestro concertatore. Giovanissimo, a poco più di vent'anni, dette concerti a Londra ed a Parigi.. Per oltre due lustri i suoi concerti riscossero gli applausi di quasi tutte le più importanti città d' Italia. Fu anche a Milano, allora sotto la dominazione austriaca e, certamente in quella città, oltre ad affermarsi come valentissimo musicista, tenne contatti con i patrioti del confinante Piemonte, sì da essere vigilato dalle autorità di Polizia Austriache.
Le invidie che si creò con la sua valentia musicale e le sue simpatie per la causa dell' unità italiana fecero si che una notte, mentre tornava da una serata a teatro, fu fatto assalire ed aggredire da sicari prezzolati i quali, oltre a ferirlo gravemente, gli intimarono e lo obbligarono a lasciare la capitale di Lombardia. Ritornato in Ovada, ammalato di un grave esaurimento nervoso causatogli dalle ferite e dalla paura, non potè più continuare nella sua arte, avendo perduto, in seguito, ogni vena musicale ed intellettuale. Cessò di vivere nel 1883 in Ovada, dove un piccolo monumento dello scultore ovadese Giacobbe lo ricorda nel cimitero.
Vogliamo inoltre ricordare il Direttore di Banda Giuseppe Bartolomeo Montano, la cui discendenza è ancora oggi rappresentata dalle famiglie Mongiardini, Joculani ed Androne. Anch'egli combattente nelle prime guerre d' Indipendenza, emigrò poi nell' America del Sud dove fu Maestro Capo di Musica in Mendoza prima e poi Capitano di Banda del Governo del Brasile. Rientrato in Europa, resse un collegio musicale a Nancy e dette concerti a Madrid ed a Lisbona. In Ovada, negli ultimi suoi anni, fu direttore validissimo del nostro complesso bandistico, che attraverò in quel periodo il suo momento più aureo. Morì in Ovada il 5 giugno 1912.
Concludiamo questa rassegna di particolari figure ovadesi non dimenticando il Capitano Garibaldino Bartolomeo Marchelli, uomo dallo spirito avventuroso e brillante, che fu uno dei Mille e che nella vita civile fu valente prestigiatore, allievo ed emulo del famoso Bosco, e che ancora qui in Ovada è ricordato per la sua giovialità e bontà d'animo.
Il Capitano Luigi Oddone, caduto eroicamente nel 1896 ad Abba Garima, coprendo la ritirata dell' Amba Alagi con il generale Arimondi, completa e compendia questa galleria minore di antichi nostri concittadini, il ricordo dei quali è forse oggi troppo spento nella nostra città.

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NOTE del curatore:

Questo capitolo comprende, oltre al precedente articolo di cui al n. 7, anche alcune figure ovadesi che verranno poi approfondite ulteriormente in successive trattazioni.


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