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Mornese - Spunti di Storia - Panoramica di storia mornesina



 Mornese Nel 1033, il 10 Giugno, il Marchese Adalberto - figlio del fu Marchese Oberto di nazione longobarda - e sua moglie Adelasia, fondando una Abbazia di Benedettini Cistercensi in Castiglione Parmigiano, presso Borgo S.Donnino (oggi Fidenza), le costituiscono in quell'atto una ricchissima dotazione di beni stabili, posti nella maggior parte dei Comitati del Regno Italico, fra i quali Comitati figura il Tortonese e, fra i beni descritti nel Tortonese, ci sono le terre di Gavi, di Parodi ed altre confinanti con il Marchesato Aleramico. Questa Abbazia si intitolerà a Santa Maria di Castiglione.
Il padre del donatore, Oberto, Conte Palatino sotto Ottone I, aveva avuto da questo Imperatore immense possessioni nel Regno Italico e fu il capostipite della famosa stirpe Obertenga da cui discesero poi gli Este, i Malaspina ed altri.
Da questa Abbazia, che fu fiorentissima in quel tempo, si dipartirono piccoli gruppi di monaci che, con lo scopo di fondare, a loro volta, delle dipendenze, si fissarono nella zona montuosa e collinare tra i fiumi Scrivia e Orba, stabilendosi in piccoli eremi e cenobi che diedero vita a centri di fede ed a Chiese, molte delle quali, oggi ancora esistenti.
Uno di questi piccoli stanziamenti monacali fu appunto stabilito in una località piuttosto montuosa ed impervia denominata negli antichi documenti, Maurenico e talvolta Moronixio. La località, sebbene allora non troppo accessibile e situata in mezzo a folti boschi, aveva però una ubicazione che la poneva limitrofa alle antiche direttrici varie che dalla pianura tortonese ed alessandrina portavano al mare e non era poi molto distante da Parodi e da Gavi che già allora erano agglomerati urbani e sedi marchionali di una certa locale importanza.
Sorse così una piccola chiesa abbaziale che oggi, purtroppo, non esiste più. Il titolo di questa chiesa - dipendente ecclesiasticamente dal Vescovo di Tortona - fu quello di San Silvestro Papa; denominazione che mantenne quando divenne poi sede di Rettoria e che si è tramandato sino ad oggi nella Parrocchiale di Mornese.
Dobbiamo aggiungere che in tempi più vicini a noi, quando nel Borgo di Mornese era già sorta la nuova parrocchia, la chiesetta primitiva, a ricordo della sua antica fondazione monastica, fu chiamata anche: "Il Santo Eremo", come già comunemente venne talvolta citata in documenti antecedenti e molto antichi.
I monaci, dipendenti dall'Abbazia di Castiglione, eressero pure un piccolo fortilizio dove aveva sede un Vicario del loro Abate e questa casa-forte, che non trovavasi molto distante dal loro eremo, divenne in seguito il castello di Mornese.
L'influenza benefica, nel campo agricolo, di questi Cistercensi che diffusero nella regione - allora incolta, gerbida e boscosa - le pratiche della irrigazione, della bonifica, del disboscamento e della coltura intensiva, fece sì che, intorno al piccolo castello, sorgesse un borgo che, via via, si espanse e si popolò. Il fatto, inoltre, di trovarsi abbastanza vicino ad una strada frequentata, facilitò lo sviluppo di punti di incontro e di scambio che gli diedero una certa notorietà, così da farlo contendere fra i diversi potentati della zona.
Per oltre un secolo - 124 anni per la precisione - non abbiamo altre notizie di questo Borgo. Solo nel 1156, dopo la distruzione di Tortona da parte del Barbarossa, Papa Adriano IV riconferma Mornese al Vescovo di questa Città, dal quale già era dipeso per via ecclesiastica.
La constatazione che la chiesa della piccola Abbazia cistercense del Santo Eremo di Mornese fosse intitolata a S. Silvestro, l'abbiamo in un atto del 1168 dove i Sindaci della: "Villa dei Mornesi, et aliarum villarum potestatiae Pallodii" sono presenti in una transazione davanti al Giudice di Pontremoli. Questo ribadisce inoltre che Mornese dipendeva in quel tempo giurisdizionalmente dai Marchesi di Parodi che, secondo il costume dell'epoca, tenevano "l'Avvocheria" ossia il patronato dei Monasteri posti nella loro giurisdizione.
Nel 1202, il Comune di Alessandria ottiene un giuramento di fedeltà da parte dei Consoli di Montaldeo i quali promettono anche di fare giurare, oltre che i loro paesani di Montaldeo, anche quelli delle confinanti località di Voltignana, Pontexello e Molonense. Ma pare che questi ultimi, i quali aggregandosi avevano dato origine alla Comunità civile mornesina e sottostavano ai Marchesi di Gavi, non abbiano aderito a quanto era stato giurato da altri per loro. Infatti, secondo quanto afferma il Guasco nel suo: "Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia", sulla fine del XII secolo Mornese dipendeva dai Marchesi Alberto e Rainerio di Gavi i quali, proprio nel 1202, il 27 di Settembre, lo cedono al Comune di Genova.
Nel 1299, Pietro III Busseti, Vescovo di Tortona, nel corso del riordinamento della sua Diocesi, sottopone ecclesiasticamente Mornese alla Pieve di 'S.Maria in Praedio vel Prelio' di Silvano.
Continuano in quei tempi oscuri, calamitosi e guerreggiati i passaggi dall'uno all'altro dei potentati che si contendono la zona e così vediamo Mornese passare dal Comune di Genova ai Visconti di Milano. Ed è in questo periodo (1352) che il Priore di S. Silvestro, valendosi di una antica facoltà risalente al 1188, vende la Villa dei Mornesi ai fratelli Marco e Pietro Doria, i quali se la vedranno poi confermata, ricevendone l'investitura il 7 Settembre 1389 dal Marchese di Monferrato che, nel frattempo, era succeduto nel possesso ai Visconti.
Ci informa il Campora nei suoi "Documemiti su Capriata" che, nel 1384, un "Raphael de Mornecio" fu nominato Castellano di quella terra. Questo Raffaele del quale non conosciamo il casato ma che, come allora usava, aveva assunto il nome del paese d'origine, doveva essere persona di ceto alquanto elevato e buon politico perchè, malgrado i tempi e i cambiamenti di Signoria che si susseguivano allora con incredibile rapidità, riuscì a mantenersi per ben cinque lustri nella sua importante carica, anzi divenne Podestà di Capriata e, con tale titolo, il Campora ci dice che fu sepolto nella Chiesa di San Pietro di Capriata nel 1409-1410.
 Mornese Nel 1404, sotto il governatorato francese di Genova da parte di Jean Le Meingre de Boucicaut detto volgarmente "Il Buccicaldo" questi, nell'intento di rafforzare i punti difensivi che circondavano Genova, si impadronisce di Mornese ma il Marchese Teodoro di Monferrato, nella sua campagna contro Genova e il suo governatore francese riconquista il castello, lo rinforza e lo munisce di scolte e vedette che, con segnali ottici (specchi e fumate durante il giorno e fuochi di notte), possono segnalare i movimenti delle truppe nemiche. Teodoro di Monferrato era alleato in questa impresa con il condottiero alessandrino Facino Cane i cui mercenari si erano guadagnati, nei territori attraversati, il titolo di "Belve" per la loro ferocia.
Sconfitto il Buccicaldo nel 1409, Genova apre le porte al solo Marchese di Monferrato. Facino Cane sarà indennizzato con ben trentamila scudi d'oro dalla Repubblica purchè i suoi mercenari - data la loro triste fama di terribili predatori - non entrino nella città e se ne ritornino al di là dei confini.
Dopo questi fatti la Repubblica di Genova indennizza i Doria per i danni subiti e riedifica il castello che in quelle vicende aveva subito notevolissimi danni.
Perdurando i tempi tristi e combattivi e le possessioni instabili, nel 1431 Francesco Sforza rioccupa Mornese per conto del Duca di Milano e, nel 1452, ritornano ancora i Doria, Vassalli di Genova. Infine, nel 1535, Mornese cade in potere del Duca di Mantova il quale, nel 1539, per intercessione del potentissimo Andrea Doria, riconferma a Jacopo Doria l'antico possesso nel feudo.
Ancora per circa cinquant'anni i Doria si susseguono nel possesso di Mornese fino a che, nel 1587, il 15 Aprile, spentasi con Ugone la discendenza maschile di Marco e Pietro Doria (primi feudatari) le figlie di Ugone: Bianca, Oreglia, Maddalena e Isabella vendono il feudo a Filippo da Passano il quale, dopo averne ottenuta l'investitura dal Duca di Mantova, lo rivende, il 12 Settembre 1601, a Niccolao Pallavicino, il figlio del quale, Antonio, lo cede a Gio Batta Serra il 14 Marzo 1628.
Abbiamo così una Signoria feudale ininterrotta (sebbene talvolta contesa ed ostacolata) dei Doria su Mornese della durata di due secoli esatti. Poi, in quarant'anni Mornese passa in due mani: i Da Passano e i Pallavicini prima di trasferirsi ai Serra che, direttamente, lo terranno per circa un secolo e, indirettamente, coi Serra-De Marini e i Serra-Spinola fin verso il 1770.
Negli Atti della Curia Vescovile di Tortona esistono ancora oggi due lettere, una del Niccolao Pallavicino che chiede al Vescovo di poter fare eseguire nella chiesa nuova due sacelli e l'altra del Rettore di Mornese, Don Giacomo Antonio Forti, che appoggia tale richiesta con quella di voler chiudere la chiesa vecchia, essendo ormai la nuova finita e pronta per essere aperta completamente al culto. Tali lettere portano la data del 22 Novembre 1602.
Il Guasco, nel suo già citato Dizionario Feudale, ci informa che il feudo di Mornese fu confiscato, nella seconda metà del 1600, dal Senato di Casale a Filippo Serra figlio di Gio Batta in quanto il Filippo era stato condannato dallo stesso Senato per avere - "in pregiudizio della giurisdizione sovrana" - fatto carcerare e mandare in galera un certo Giacomo Pagata di Mornese.
Un'altra notizia circa Filippo Serra figlio di Gio Batta, ci dà il Guasco. Questa notizia però non l'abbiamo trovata confermata nè nella genealogia dei Serra che abbiamo visionato sull'Enciclopedia Storico Nobiliare dello Spreti nè su quella del Battilana e pertanto la riferiamo come tale è riportata dal Guasco a pag. 58 del III volume della sua opera citata. Essa ci dice che il Filippo, avendo violato la giurisdizione sovrana facendo carcerare il Pagata, fu condannato dal Senato casalese alla decapitazione ed alla confisca del feudo.
Noi, in mancanza di notizie più precise, pensiamo che, molto probabilmente, la condanna (se condanna ci fu) fu pronunciata in contumacia dell'imputato e, con alquanta certezza, non fu mai eseguita perchè essendo il Serra di nobile e potentissima famiglia genovese un conto era confiscargli il feudo che era di proprietà sovrana, un altro il giustiziarlo in quanto che come cittadino genovese il Serra era protetto da immunità tali che lo mettevano al riparo (restando nei confini della Repubblica) da ogni pericolo.
Dopo questi fatti Mornese fu acquistato dalle figlie dello stesso Filippo che erano: Lavinia sposata Marini e Giovanna sposata Spinola.
I personaggi che abbiamo nominato più sopra li troviamo citati e presenti nelle visite pastorali fatte a Mornese dai Vescovi di Tortona in quelle epoche. Nel 1670, nella visita di Mons. Carlo Settala del 20 Settembre troviamo "l'Ill.mo Signor Conte Don Gio Battista Serra, Feudatario Imperiale" e, in quella di ottanta anni dopo fatta da Mons. Anduxar dal 19 al 21 Luglio 1751, le nipoti di Gio Battista e figlie di Filippo sono menzionate con tutti i loro titoli negli atti della visita: "Ecc.ma Marchesa Domina Lavinia Serra vedova del fu Ecc.mo Marchese Don Gian Battista De Marini e Donna Gioanna Serra moglie dell' Ecc.mo Signor Marchese Don Francesco Maria Spinola, Patrizie Genovesi, Feudatarie Imperiali, figlie et heredi del fu Ecc.mo Signor Marchese Don Filippo Serra.".
Il Guasco commette l'inesattezza di citare le due donne come sorelle di Filippo anzichè figlie.
 Mornese Nel 1765, una grave carestia con conseguente perdita dell'intero raccolto di castagne riduce il paese ad una estrema povertà sicchè, il 24 Marzo dell'anno dopo 1766, il Preposito, Don Carlo Maria Gazzi, si fa portavoce della Comunità presso il Vescovo di Tortona al fine di poter usufruire dei fondi monetari e di alcune rendite della Parrocchia, della Confraternità e degli Oratori campestri per sopperire alle necessità di sostentamento della popolazione, dando garanzia di restituzione con il prossimo raccolto autunnale dell'uva.
Mornese fa già parte, in quel tempo, degli Stati del Re d Sardegna, in quanto che, il 5 Ottobre del 1735, nei preliminari del Trattato di Vienna, Carlo VI Imperatore, cede al Duca di Savoia tutte le terre e i castelli cosidetti "delle Langhe" - compresi Mornese e Tagliolo - che si trovano, insieme ad altri, fuori dei confini della Repubblica di Genova. (La denominazione sopracitata la troviamo ancora riportata nel 1788 in uno Stato della Chiesa di Mornese che dice testualmente: "Il Sovrano di detto luogo si è S.S.M.R. il Re di Sardegna benchè sia un feudo imperiale detto delle Langhe".).
Il paese sotto i Savoia sarà incorporato giurisdizionalmente nella Provincia del "Monferrato d'oltre Tanaro detto Monferrato Superiore" (oggi: Alto Monferrato orientale) ed avrà come suoi ultimi Vassalli, dal 1767 fin verso il 1800, il Marchese Egidi Gregorio Orsini di Roma ma residente in Milano ed infine il Conte Luniares Pio di Savoia che chiuderà la serie dei Feudatari.
Come in tutti gli altri paesi della zona, durante le diverse reggenze del feudo mornesino da parte di queste svariate famiglie che più sopra abbiamo nominato, avvennero le solite controversie di confini che erano un male endemico del tempo e che provocavano sovente contese che duravano anni e che talvolta erano anche cruente. Abbiamo notizia di quella sorta verso il 1550 con Casaleggio e di un'altra dal 1640 al 1648 fra Mornese e Parodi nella quale intervennero anche i finitimi borghi di Casaleggio, Montaldeo e S. Cristoforo. Di questa ultima controversia esiste ancora oggi, in A. S. Genova, una "Carta di Confini" eseguita dagli estimatori Geronimo Rodinò e G. B. Massaroti. Da questa carta possiamo vedere che il sito controverso era quello dello Scaglione e della Fontana del Cerro. La visita ai confini era stata effettuata nel 1645. La linea di confine segnata sull carta parte da Est di Mornese presso la cascina e campo di u certo Matteo Mazzarello, costeggia il Perusso verso la Costa prosegue per il Poggio della Castagnera, rasenta la strada d Mornese fino alla località di Prato della Mercanzia, piega ad Es lungo il ruscello Vallescura e termina al Monte Paganone.
Ma le controversie di confini non erano le sole a travagliar questi nostri borghi isolati, chiusi in se stessi, politicamente ostili l'un l'altro perchè dipendenti da signorie e feudalità diverse e quasi sempre nemiche. Mornese, per esempio, era un'ultima propaggine del Ducato di Monferrato che governava dalla lontana Mantova, più tardi dalla più vicina Casale e, più tardi ancora da Torino. I paesi e le terre che lo circondavano erano, in parte dipendenti da Milano e, pertanto, Spagna prima e Austri poi. Infine, confinava con la Repubblica di Genova che aveva sempre il suo da fare per guardarsi le frontiere che le venivano insidiate un po' dagli uni e un po' dagli altri. I signori feudali che tenevano il paese appartenevano alla nobiltà genovese ma, nello stesso tempo, per antiche concessioni, signoreggiavano su territori e castelli che genovesi non erano o non appartenevano alla Repubblica, cosicchè ne derivava una confusione ed un marasma politico ed amministrativo che certo non giovava nè alla prosperità nè al benessere di questi paesi e delle loro popolazioni.

Nel medioevo la maggiore ricchezza di questi luoghi era costituita dallo sfruttamento dei boschi. Gli abitanti curavano i castagneti. Da documenti antichi si ricava che la produzione di questi frutti era molto rilevante. Il patrimonio boschivo era sfruttato anche per la fabbricazione del carbone di legna che veniva prodotto con l'antico metodo della cremazione della legna verde raccolta in cumuli che, ancora non molti anni or sono, si vedevano fumare nei nostri boschi.
La coltura granaria era molto poco in uso come pure quella della vite che si intensificò molti anni più tardi. Erano molto estesi i gerbidi e le colture prative che servivano al pascolo del bestiame.
La produzione delle castagne era in quei tempi - e si mantenne per lunghi anni ancora - il reddito primario di queste zone perchè i loro frutti costituivano il cibo quotidiano degli abitanti di questo territorio.
Era una produzione protetta da ferree disposizioni che garantivano la più importante fonte di sostentamento. Ancora oggi noi vediamo nei boschi delle piccole costruzioni in muratura o in legname: sono esse gli "Ubeighi" che servivano per diricciare seccare e custodire le castagne.
Altre fonti di sostentamento erano le colture degli orti per la produzione di legumi ed ortaggi; pochissimo grano e qualche poco d'uva e di frutta.
 Mornese Il bestiame da pascolo, bovino, ovino e caprino dava il latte, i formaggi e la carne che contribuiva alla alimentazione umana. I suini non erano molti e, come ci informano antichi documenti, il miele, specialmente di castagno, che qui veniva prodotto in notevole quantità, veniva esportato anche in Genova.
Nella seconda metà del XIV secolo, però, l'attività agricola non dev'essere stata molto fiorente, sia per la grande pestilenza del 1348 che sottrasse al lavoro dei campi molte valide braccia, sia perchè, alcuni anni dopo nel 1364, si abbattè su queste terre una memorabile carestia dovuta ad una grande invasione di locuste o cavallette che, in quell'anno, distrussero gran parte della vegetazione delle vicine campagne piemontesi e lombarde. I paesi toccati da queste calamità si erano appena rimessi che, nel 1373, furono colpiti da un'altra terribile carestia la quale fece rincarare enormemente i prezzi delle derrate alimentari a tale punto che moltissimi furono i morti letteralmente di fame.
Accrescevano le angustie delle popolazioni le continue scorrerie di soldatesche mercenarie che, ovunque passavano, arrecavano devastazione, rovine e malattie.
Altre fonti di alimento di questi nostri paesi erano la pesca e la caccia. Sebbene queste attività fossero permesse ai poveri con innumerevoli limitazioni, anche esse contribuivano ad una ulteriore risorsa di nutrizione. Sia la selvaggina che il pesce potevano anche essere venduti sui mercati. La selvaggina preponderante era costituita in quei tempi da lupi (che venivano cacciati perchè costituivano un pericolo per la popolazione e per gli animali domestici), da cinghiali detti porci selvatici che abbondavano allora nei nostri boschi e da uccelli, specialmente di passo e pernici. La loro cattura veniva effettuata con particolari ingegni in uso in quei tempi come lacci, reti, balestre, fosse mimetizzate, ecc. In certi luoghi, la Comunità si riservava una parte della preda dei cacciatori che veniva ripartita poi alla popolazione meno abbiente.
Le attività artigianali di quell' epoca erano le solite di ogni paese o borgo soggetto alle necessità di una rigida conservazione autarchica; mugnai, fornai, calzolai, sarti, sellai, fabbri, falegnami, muratori e qualche tessitore, garantivano ai paesani quei prodotti necessari alle loro più impellenti necessità quotidiane.
La vita comunitaria e sociale era regolata dagli antichi usi, costumi, consuetudini e tradizioni che erano stati mantenuti ed anche rispettati dai reggitori della cosa pubblica, siano essi stati la Comunità o il feudatario.
Nei feudi imperiali, il Signore del luogo era di solito il più importante proprietario terriero ed aveva alle sue dipendenze numerose famiglie di fittavoli, contadini, artigiani e manovali che curavano e facevano produrre le sue terre. La vita di questi dipendenti era certamente dura e il loro reddito irrisorio. Avevano molti doveri e pochissimi diritti. Vi era però sempre nei borghi un rappresentante di una autorità più alta di quella del feudatario che era il Podestà, nominato prima dai Genovesi, poi dalle autorità monferrine ed infine sabaude, al quale il popolo minuto poteva, in qualsiasi momento, rivolgersi per denunziare soprusi o violenze. Vi era inoltre il Consiglio della Comunità che soprintendeva alle necessità delle popolazioni.
Vi fu certamente qualche abuso, ma non ci risulta che in Mornese si sia arrivati a certi eccessi e pretensioni di "Jus feudali" da portare a sollevazioni di popolo contro il feudatario come era avvenuto nel 1528 in Montaldeo con la famosa strage dei Trotti.
I Doria - che furono i primi feudatari - tennero il feudo in tempi troppo difficili anche per loro stessi per preoccuparsi troppo di migliorarne le condizioni; sovvenzionati da Genova, ne ricostruirono il castello, fortificarono il paese, beneficarono la antica chiesa di S. Silvestro e l'Oratorio cedendo poi il feudo ad altri che lo tennero ben poco.
Il primo dei feudatari Serra, che sopravvennero poi, Giovan Battista, impiantò una fabbrica di carta sul Gorzente che dava lavoro a non pochi operai del paese apportando, un certo benessere economico. Nei pressi di tale fabbrica fu eretto anche un piccolo Oratorio campestre dedicato a S. Giovanni Battista, del quale oggi si ha appena un lieve ricordo. I vasi di pietra durissima, usati per la preparazione della pasta cartacea, erano ancora visibili, sul luogo, prima della costruzione della Diga del Gorzente.
In quell'epoca (1600-1665) sorse in paese una piccola vetreria, una fabbrica di vasi di terra cotta, una manifattura di tabacchi e un'altra per la fabbricazione di polvere pirica.
A questo proposito dobbiamo tener presente che Mornese, sotto l'alta sovranità dei Duchi di Mantova, godette di non pochi privilegi, fra i quali la piena franchigia sul commercio dei tabacchi, delle polveri da fuoco, del sale, nonchè l'esenzione dall'uso della carta bollata e dei diritti d'insinuazione e non pagava imposte, tranne una tassa in tempo di guerra.
Ad incentivare questa modesta economia vi era pure una discreta coltura di bozzoli da seta che venivano poi venduti sui mercati di Ovada, Genova, Novi e Alessandria.
Le piccole attività industriali (se così possiamo chiamarle) che abbiamo citate più sopra, vennero a cessare con i disagi, le rovine ed il transito di soldataglie straniere che seguirono alle guerre che ebbero luogo dal 1664 al 1702.
Durante la sovranità dei Re di Sardegna ci fu una lieve ripresa e fu pure fondato dal parroco del tempo Don Gazzi, unitamente ai feudatari Serra, un modesto "Monte di Pietà" che provvedeva a sovvenzionare i poveri del paese con somministrazioni di minestre calde, indumenti e piccole somme in denaro. Questa istituzione era ancora funzionante, sebbene con capitale limitato, nel tardo '800, tanto da essere citata dal Casalis.
Troviamo che, nel 1751, in Mornese vi erano due notai della stessa famiglia: Simone Andrea Carrante e Lorenzo Carrante suo figlio. L'assistenza sanitaria vi era svolta da un chirurgo flebotomo: Antonio Sardo del luogo di Gavi e da due ostetriche: Anna Maria Gastalda e Elisabetta Mazarella.
La bufera rivoluzionaria francese non lascia immune questo piccolo borgo dalle perturbazioni e dai sommovimenti che ne deriveranno. I Mornesini, oltre alle loro divergenze politiche interne, dovranno subire il passaggio incessante di truppe liguri, francesi, piemontesi e austro-russe, tutte ostili, tutte nemiche ma, più che altro, tutte propense al saccheggio e alla distruzione. Il paese ci è abituato da secoli ma, ogni volta, ne esce con i raccolti distrutti, le giacenze di viveri asportate, il bestiame rubato, le case incendiate e saccheggiate, le donne violentate e gli uomini bastonati e feriti. E questo si ripete in pochi anni per diecine di volte, dai moti di Carrosio alla sconfitta dei francesi a Novi che fa transitare per Mornese in fuga orde di fuggiaschi affamati ed abbruttiti ed altre schiere inseguitrici, altrettanto assetate di sangue e di rapina. E così pure l'anno dopo, con la battaglia di Marengo che instaurerà per tre lustri il dominio napoleonico, anch'esso con le sue imposizioni, spogliazioni e coscrizioni forzose di uomini, di denari e di vettovaglie.
Alla restaurazione Mornese ritornerà sotto i Re di Sardegna e dipenderà amministrativamente dal Mandamento di Castelletto, dalla Provincia di Novi e dalla Divisione di Genova.

 Mornese Nel 1817 nasce in Mornese un fanciullo che sarà poi Don Domenico Pestarino; colui che provvederà alla formazione religiosa e spirituale di quella grande Santa mornesina: Maria Domenica Mazzarello, nata in frazione Mazzarelli nel 1837.
Amico di Don Bosco e, poi, Salesiano lui stesso, Don Pestarino costruirà - in accordo con il Santo - in Mornese Alto, il Collegio che, preventivato per l'istruzione dei ragazzi di Mornese e dintorni, diventerà invece la prima sede dell'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice istituite da San Giovanni Bosco e Santa Maria Mazzarello.
Su questi due importantissimi personaggi della storia religiosa di questo paese, molto è stato scritto (e molto ancora si scriverà) da storici e biografi preparati. Noi, in questo piccolo e modesto saggio di minuscola storia civile mornesina, non ci sentiamo di affrontare un argomento così grande ed impegnativo che non si può certamente limitare o circoscrivere in poche righe di un opuscolo che vuole dare ai lettori una informazione generalizzata sulle vicende del borgo di Mornese.
Ci sentiamo pertanto in dovere di segnalare due recentissime pubblicazioni edite nel 1980-1981 dalla Editrice ELLE DI CI di Leumann (To): "Madre Mazzarello Santa e Cofondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice" di Luigi Càstano e "Don Domenico Pestarino in orbita tra due Astri" di Adolfo L'Arco.
Entrambi gli autori - precisi, documentati e diligenti biografi - ci presentano le figure di S. Maria Mazzarello e di Don Pestarino con dovizia di particolari, chiarezza di linguaggio espressivo e profonda analisi critico-storica che, distaccandosi dalle solite agiografie di maniera, rendono le loro opere interessanti, accessibili a tutti e che, più che altro, fanno conoscere una Santa tanto altamente mistica quanto umanamente attuale e compenetrata nei problemi sociali della gioventù del suo tempo e un Sacerdote che, pur essendo all'antica, lo si vede e lo si sente già proiettato nel futuro con le sue concezioni così pratiche e così moderne e concrete.
Nel 1836 il paese sarà toccato da una grave epidemia di colera e così nel 1854; in questa triste occasione si distinguerà, per l'assistenza ai malati e per la sua grande carità, Don Domenico Pestarino. Nel 1860 vi sarà ancora una epidemia, questa volta di tifo, e ne sarà toccata anche la futura Santa, Maria Mazzarello, che ne potrà guarire.
Nel 1855, con il Corpo di spedizione italiano in Crimea, si farà onore un giovane sottotenente dell' Esercito Sardo: Paolo Filippo Vaccaneo nato in Mornese nel 1824 e morto in pensione a Livorno nel 1888. Di questo ufficiale mornesino resta un interessante diario di guerra che la Rivista "Stooria Illustrata" ha pubblicato in uno dei suoi numeri del 1976.
Nel 1864 verrà per la prima volta in Mornese Don Giovanni Bosco che vi sarà poi ancora sovente ospite, sia per accudire al costruendo Collegio salesiano che per seguire, indirizzare e curare la vocazione della Mazzarello.
Sono questi anni di grande fervore di attività e di opere in paese perchè insieme al Collegio, il popolo mornesino, guidato dal suo parroco e dai suoi sacerdoti, rinnova, ingrandisce e rende più bella ed accogliente la sua chiesa parrocchiale che verrà poi solennemente benedetta dal Vescovo di Acqui nel 1873.

Le vicende del XX secolo, sono ai più, note.
Dobbiamo ricordare che Mornese diede un alto contributo di combattenti in tutte le guerre di questo secolo; da quelle d'Africa alla seconda guerra mondiale.
Subì per un'altra volta il peso della occupazione tedesca dal 1943 al 1945 e i suoi cittadini scrissero pagine di eroismo e di gloria nella lotta per la libertà.

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