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Ovada nel Medioevo - L'Ordine Pubblico


Venticinque capitoli degli Statuti ovadesi sono dedicati alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla sanità ed igiene. L'oggetto di tutte queste norme - che non sono poi molte - mira a tutelare direttamente o indirettamente la pubblica incolumità, la quiete e la sicurezza del borgo e tutti quei fatti che possono turbarle.
Gravissima è infatti la punizione per chi in Ovada prepari, organizzi o costituisca fazioni; viene stabilito che nessuna divisione debba esistere tra gli uomini di Ovada, nè tra il popolo e il Comune. L'articolo che riguarda questa preoccupazione dice testualmente: "Gli uomini di Ovada Siano come un solo uomo e se qualcuno di Ovada o qui abitante pensasse di fare qualche divisione o "sarram" o preparasse fazioni in Ovada sia in multa di venticinque lire di Genova".
E' strano però, a nostro avviso che si riscontri negli Statuti che, sia il Podestà sia il Vicario o il Consiglio Comunale possano autorizzare le fazioni. Ci viene pertanto spontaneo pensare che le sole fazioni possibili nell'Ovada di quel tempo, fossero unicamente quelle favorevoli, consentite e gradite alla Autorità costituita; tipico esempio di autoritarismo medioevale che mira più che altro alla salvaguardia delle istituzioni.
E' compito del Podestà o del Vicario tenere gli uomini di Ovada in pace e, se per caso sorgesse qualche dissenso fra essi e questa discordia si potesse considerare pericolosa per la tranquillità del borgo, il Podestà deve cercare ogni mezzo per riportarli alla pace o, se non altro, deve porsi come intermediario per portare tra essi una buona e sicura tregua, con eventuali cauzioni e garanzie.
Se anche questo fosse impossibile, il Podestà è tenuto a confinare i contendenti, o almeno i capi delle fazioni contendenti, in luoghi che gli sembreranno più opportuni affinchè vi stiano sicuri ed a tenerveli fino a che una riappacificazione tra di loro appiani le divergenze che potessero turbare la sicurezza del borgo.
Coloro che rifiutassero di accettare questa disposizione saranno espulsi e banditi da Ovada e distretto, previo pagamento di una sostanziosa ammenda variante da venti soldi a cinquanta lire genovesi, valutata l'importanza delle persone.
Allo scopo di rendere ben valide le due disposizioni riportate sopra, il Podestà con i quattro Sapienti deve scegliere ed eleggere ogni anno sei uomini buoni e giusti di Ovada, affinchè invigilino e cerchino di concordare ed appianare sul nascere tutte le liti, i cavilli e le discordie che intervenissero tra gli ovadesi. Se questi sei uomini, entro un mese, non riuscissero nel loro intento, rimetteranno il loro compito o mandato nelle mani del Podestà che si regolerà in base alle disposizioni riportate precedentemente.
Sebbene che, negli Statuti, non vi sia mai alcun accenno a forze di polizia che in quel tempo esistessero in Ovada, si deve immaginare però che il Podestà disponesse di un adeguato numero di birri per far rispettare le leggi e gli ordini, perchè la sua sola presenza od eventuali sanzioni non sarebbero state sufficienti a tutelare l'ordine, tanto più che dagli stessi articoli che andiamo esaminando, noi vediamo che l'ordine e la vigilanza nel borgo, particolarmente nei servizi di guardia alle porte, alle torri ed alle mura era svolto dai cittadini stessi che sostituivano un regolare corpo armato. La custodia del borgo era affidata al Podestà che disponeva e stabiliva le persone di Ovada a cui erano affidati i servizi di guardia o di sentinella. Questi cittadini, che venivano scelti di volta in volta e che ricevevano l'incarico per mezzo dei Nunzi del Comune, dovevano svolgere il loro compito particolarmente di notte, nella sorveglianza delle porte, delle mura e delle torri. Il loro servizio si esplicava dall'ultimo suono di campana della sera fino al suono della diana mattutina; dovevano percorrere il loro itinerario prescritto, vegliare e rispondere alle ronde ed ai guardiani della torre, dovevano stare in piedi e mai assentarsi dal posto loro assegnato. In caso fossero stati trovati non al loro posto, pagavano un soldo genovese di multa; coloro invece che avessero rifiutato di prestare questo servizio, erano puniti con l'ammenda di tre soldi genovesi.
Nessuna persona poteva entrare o uscire dal borgo se non per le porte ed i contravventori a questa regola erano puniti con la multa di venti soldi genovesi se lo facevano di giorno e di tre lire se lo facevano di notte.
Durante le ore notturne e cioè dal suono della seconda campana fino alla diana, nessuno poteva circolare per il borgo se non per motivi di estrema necessità quali: la chiamata di un prete, di un medico, di un notaio oppure per l'acquisto di qualche medicinale urgente (cosa che ci fa supporre l'esistenza in quel tempo in Ovada di uno speziale), ovvero per andare o venire al forno per cuocere il pane.
Chi circolava di notte per questi motivi o per autorizzazione del Podestà, doveva essere munito di luce evidente ed è strano che gli inferiori ai quattordici anni non fossero soggetti a queste disposizioni.
Era altrettanto vietato ai cittadini di Ovada di trattenersi durante la notte nelle taverne, nelle bettole e nelle osterie ed i tavernieri non potevano tenere porte o finestre aperte nella taverna durante le ore notturne. I trasgressori erano puniti con la pena di cinque soldi di multa. Era fatta eccezione solamente per i forestieri ospitati nelle taverne stesse. Questi forestieri erano in pieno diritto di chiedere da mangiare, da dormire ed altro agli osti o ai tavernieri, purchè ne pagassero il conto e non fuggissero senza pagare; cosa evidentemente molto frequente data la codificazione di una tale norma.
Nessun borghigiano poteva portare armi per il borgo di Ovada, tranne i coltelli per tagliare il pane e tranne coloro che dovevano andare e venire fuori dal borgo con regolare autorizzazione. La eventuale infrazione a questa norma era punita con cinque soldi genovesi se commessa di giorno e dieci se di notte.
Le risse entro il borgo erano severamente vietate e nella eventualità che un tafferuglio fosse scoppiato tra gli abitanti, il Notaio della Curia, il Podestà o i quattro Sapienti dovevano fare in modo di intervenire immediatamente, richiamando i rissanti a cessare la contesa. Anche i cittadini potevano intervenire per impedire la zuffa, purchè a questo scopo non usassero coltelli sguainati. I contendenti che non cessavano di picchiarsi al primo richiamo erano puniti con cinque soldi di multa, al secondo dieci soldi, al terzo venti, al quarto cinque lire, al quinto dieci lire ed al sesto con un massimo di venticinque lire. Non possiamo immaginare quello che sarebbe accaduto nel caso che, dopo il sesto richiamo con gravissima multa, i rissanti avessero continuato la lotta.
Sempre a proposito di risse, era altresì vietato agli uomini di Ovada di gridare alle armi in occasione di zuffe, pena una multa di dieci lire genovesi. Nessuno poteva gridare falsi allarmi o gridare al fuoco, se non ci fosse stato l'incendio; le multe in questi casi erano molto gravi, da venti a trenta soldi genovesi. Da queste sanzioni, però, erano sempre esclusi i minori di quattordici anni.
In caso di vero e giustificato allarme, che venisse suonato dai guardiani della torre o "turritani" con le campane o i corni, tutti coloro che in quel momento si fossero trovati nel territorio che va da 'S. Antonium ad mercatum' fino al borgo di Ovada, dovevano immediatamente impugnare le loro armi e recarsi nella postazione o nel luogo loro assegnato per la difesa del borgo.
Quelli che non avevano un luogo prestabilito erano tenuti a portarsi immediatamente nella Platea Communis con le loro armi. Quelli che invece si fossero trovati fuori del borgo o fuori dell'area che andava da questo alla zona di S. Antonio, dovevano cercare di ritornare immediatamente entro le mura, se potevano recarvisi con sicurezza; in caso di impossibilità, dovevano fare in modo di uscire dal pericolo cavandosela da soli, ma porgendo eventuali aiuti e soccorsi ad altri ovadesi in difficoltà.
Particolare attenzione le autorità ovadesi dedicavano al controllo ed alla repressione del giuoco d'azzardo. Giochi proibiti venivano considerati quelli dei dadi, della "Burnassa", del "Tabulerio" e del "Lume". Tralasciando il gioco dei dadi, che ancora oggi conosciamo, ed avendo trovato nel glossario del Rossi che il tabulerium era una specie di gioco della Dama, non ci è stato possibile sapere nè poter interpretare quali e come fossero quelli della burnassa e del lume.
Per chi giocava o facesse giocare a detti giochi, le multe salivano fino a venti soldi genovesi; particolarmente ricercati e perseguiti erano non soltanto i giocatori che avessero giocato sulla pubblica piazza, in casa propria o sotto la curia, ma più che altro coloro che favorivano il gioco organizzando bische clandestine in casa propria e particolarmente di notte.
Due giochi leciti di difficile interpretazione, alla luce delle conoscenze attuali, erano quelli cosiddetti della "Chiappella" e della "Balestra", che si potevano giocare in qualsiasi posto, anche dentro le bettole e le taverne.
Vietate erano anche le scommesse che altri potevano fare sui giocatori e sul gioco stesso e, siccome tali scommesse davano talvolta modo a gravosi impegni da parte degli scommettitori - impegni anche scritti - tali obblighi erano sempre ritenuti nulli e nessuno poteva invocare diritti sulle promesse fatte come scommessa di gioco.
Per salvaguardare l'igiene e la sanità pubblica nessuno poteva spargere, gettare immondizie, acque luride od altre sozzure sulle strade del borgo.
I conciatori di cuoio, i macellai od altri similari non potevano scorticare o fare spellare bestie malate, nè immergere i loro cuoi e lavare le loro pelli nei punti a monte di Ovada dei due torrenti Orba e Stura. Questa infrazione era punita con la multa di venti soldi genovesi. Agli stessi conciatori era però consentito di immergere i loro cuoi e lavare le loro pelli sotto le pianche che si trovavano all'estremo confine di Ovada oltre il castello; praticamente dove oggi sorgono i due ponti.
Sullo spiazzo cimiteriale davanti alla chiesa parrocchiale, nessuno poteva lasciare o depositare spazzatura o cose vecchie sotto pena di cinque soldi di multa. Era possibile però deporvi pietre o legname che potessero servire per la costruzione di case.
Queste sono le uniche precise disposizioni igienico-sanitarie regolarmente codificate negli Statuti con articoli specifici; ma ve ne sono altre inserite in articoli di tenore diverso quali l'Agricoltura, l'Edilizia ed il Commercio e che sono già state trattate e commentate nel contesto.
Gli oggetti smarriti da qualcuno e ritrovati dovevano essere consegnati alla Curia del Comune, di modo che il Podestà potesse far fare pubbliche grida da leggersi in tutti i luoghi per ritrovarne il proprietario. A differenza di oggi, non vi era premio nè percentuale per coloro che consegnavano alla Curia gli oggetti ritrovati, ma vi era, per contro, la punizione severa per chi non consegnava all'autorità l'oggetto ritrovato. L'ammenda era pari al valore dell'oggetto.
L'offesa di togliere il berretto o il cappuccio di testa alle persone oppure di sfilare la spada dal fodero a qualcuno era punita con cinque soldi genovesi di multa per il cappuccio o berretto e solo due soldi per la spada.
Può sembrare una incongruenza questa minore penalizzazione per un fatto che appare più grave, perchè disarmare una persona è cosa più seria di quella di cavargli il berretto, ma non si può dimenticare che in quei tempi le svariate dignità o cariche o professioni avevano una loro ben precisa distinzione nell'abbigliamento e sopratutto nel copricapo; quindi il reato consisteva non solo in una offesa morale, ma anche in una lesa dignità.

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