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Ovada nel Medioevo - La Materia Statutaria


Secondo Ambrogio Pesce, in un suo articolo sulle origini storiche ovadesi, apparso nel 1904 sul "Corriere delle Valli Stura ed Orba" edito dalla Tip. Comm. Borsari, il Borgo di Ovada, già sotto gli Aleramici, aveva corte e castello, possedeva statuti, privilegi e franchigie.
Siamo perfettamente d'accordo con lo storico sopraddetto per quanto riguarda la corte ed il castello; per tutto il resto non sappiamo su quali fondamenti si sia basato il Pesce per tali affermazioni in quanto, alla luce della documentazione esistente, non si conoscono (almeno per il momento) notizie scritte e certe su Ovada - salvo ben inteso il Diploma imperiale ottoniano di Ravenna del 967 e la Charta di Visone del 991 - risalenti a prima del 1217.
Nel secolo XIII, Ovada, quale modesto insediamento urbano intorno al suo castello, era sottoposta a diverse Signorie locali, tutte più o meno di discendenza aleramica, quali i Marchesi del Bosco, quelli di Ponzone e i Malaspina che, ognuna per suo conto, ne amministrava - se ciò si può dire nel senso letterale della parola - il suo pezzo di proprietà. Cosa in quei tempi molto comune, se si pensa che vi erano castelli e borghi rurali la cui signoria apparteneva magari a 50 consignori.
Erano Signorie intricatissime, con parentele altrettanto complesse che spesso mutavano di cognome intitolandosi alle loro possessioni (vedi i Marchesi del Bosco) e che non erano quasi mai use a concedere indipendenza alle genti loro sottomesse.
Si potrebbe pertanto scartare a priori l'esistenza di veri e proprii ordinamenti statutari per una regolamentazione sociale della vita borghigiana. Se vi erano - scritte o verbali che fossero - non potevano essere che semplici convenzioni di pura dipendenza tra il vassallo ed il suo signore.
In ogni caso, non abbiamo trovato in proposito alcuna memoria scritta.
Nel "Liber Jurium" che trovasi in Archivio di Stato di Genova, i primi documenti che troviamo su Ovada risalgono al primo ventennio del sec. XIII e non accennano per nulla a Statuti o Franchigie. Ci riportano soltanto la storia, conforme a quella di molti altri Paesi dell'Oltre Giogo, della lunga e contrastata vicenda di acquisto rateale, da parte di Genova, di quei territori nei secoli XIII e XIV.
Ovada venne in parte ceduta ed in parte venduta dai suoi possessori e in diverse riprese alla Repubblica tra il primo e l'ultimo decennio del 1200 e costò complessivamente a Genova una cifra che si aggira sulle ventimila lire genovesi di allora.
La prima concessione fatta dal Comune di Genova ad Ovada furono le Franchigie nel 1290. Gli Statuti risalgono invece al 1327.
Se la concessione delle immunità o franchigie fu una necessità quasi immediata che Genova non poteva fare a meno di accordare al borgo perchè interessava la libertà commerciale e il libero transito di merci tra Ovada e la sua dominante e che, inoltre, non comportava che la rogazione di un documento amministrativo e deliberativo da parte del potere centrale, la formazione di un vero e proprio ordinamento statutario, fu invece una cosa molto più complessa, ardua ed impegnativa che, necessariamente, dovette essere studiata, discussa e concordata da entrambe le parti; tanto è vero che dovettero trascorrere ben cinquant'anni perchè questa regolamentazione fosse definitivamente scritta e pubblicata (dal 1277, anno dell'acquisto più importante del territorio ovadese da parte di Genova, fino al 1327, anno della stesura e proclamazione degli Statuti).
Fu certamente un lavoro difficile e diligente per i legislatori di quel tempo (e ci dispiace che non sia rimasta traccia dei loro nomi) che dovettero, in mancanza di regolamentazioni scritte) servirsi di tutti quegli usi, consuetudini e tradizioni oralmente trasmessi e da secoli usati, analizzandoli, raccogliendoli e uniformandoli nel modo più consono alla legislazione della Repubblica.
Gli estensori dei "Capitula" dovettero studiare una forma di legislazione che, pur autonoma, non fosse però in contrasto con le direttive comuni degli ordinamenti genovesi; ebbero cura che, nell'ambito generale del predominio pur allora esistente del diritto romano e dei suoi derivati barbarici, fossero fissate per iscritto le norme connesse alle consuetudini locali, tenendo presente che il concetto originario di Statuto da "statuere" fosse ben inteso come manifestazione di una attività imperativa svolta legalmente dalla "Universitas hominum". Non poterono fare a meno di tener presente la sentita aspirazione dell'uomo comunitario medioevale verso la certezza del diritto, ovvero verso la formazione di norme scritte, chiare e precise, distinte secondo la procedura della loro emanazione, ma sempre di chiara efficacia regolamentare. Nello studio per la formazione degli articoli riguardanti il diritto penale e criminale e, tenendo conto del rifiorire della civiltà dopo l'epoca dell'oscurantismo barbarico, si sforzarono di sostituire al concetto primordiale germanico della punizione come una semplice soddisfazione dell'offeso per propria iniziativa, quello più evoluto che concepisce la pena come un esercizio del diritto dell'autorità, mentre sulla scorta romana rielaborarono la teoria del reato cominciando a distinguere l'elemento "dolo" e l'elemento "colpa" e l'istituto della "justa et legitima defensio" come causa di discriminazione.
Pur tenendo presente che in tutti gli Statuti comunali dell'epoca troviamo sempre quattro parti basilari che sono: Ordinamenti e Uffici pubblici del Comune - Diritto penale - Procedura e Diritto privato - Giurisdizioni speciali e varie -; nell'analisi da noi fatta per gli Statuti di Ovada, non abbiamo potuto fare a meno di suddividere in forma più particolareggiata le svariate materie che li compongono. Ne è venuto fuori uno schema che possiamo riassumere in questa forma:

N° 36 articoli di Diritto costituzionale ed amministrativo con le norme e garanzie per il reggimento e l'amministrazione autonoma del Comune e la nomina dei funzionari municipali
(1-2-3-4-5-6-7-8-9-14-23-33-34-35-36-37-38-39-40-41-43-44-45-48-49-50-54-60-85-96-106-108-118-
133-184- 195).

N° 28 capitoli di Diritto penale, Giustizia penale e criminale
(51-64-86-87-88-89-112-113-117-122-125-153-192-200-201-202-207-209-210-211-212-213-214-215-
216-217-218-219).

N° 64 articoli sul diritto civile, procedura civile e tutto ciò che riguarda l'amministrazione della Giustizia civile
(10-11-12-13-52-53-55-67-68-69-70-71-72-73-74-75-76-77-78-79-80-81-82-83-84-90-91-92-93-94-95-
99-100-101-102-103-104-105-107-111-119-121-124-128-129-132-135-141-145-151-152-181-182-185-
186-187-190-192-196-198-199-208-217-221).

N° 25 di Polizia urbana, Pubblica Sicurezza, Sanità ed Igiene
(22-46-47-56-57-58-59-97-98-109-110-114-115-116-136-142-179-180-183-189-191-203-204-205-206).

N° 18 per il Commercio, Annonaria e Lavoro
(24-25-26-27-28-29-30-31-32-61-62-63-66-68-119-120-130-131).

N° 12 con disposizioni relative all'Edilizia, Viabilità, Regolamentazione delle acque
(15-16-17-18-19-20-21-134-138-140-174-178).

N° 36 che riguardano l'Agricoltura
(42-123-126-127-139-144-146-147-148-149-150-154-155-156-157-158-159-160-161-162-163-164-
165-166-167-168-169-170-171-172-173-175-176-177-188-194).

N° 2 infine di Disposizioni varie.

Sono in totale 221 articoli che, come si vede, non hanno disposizione di lineare susseguenza e non sono stati in origine raggruppati per argomento. Noi stessi, in questo lavoro, e per ragioni di continuità narrativa, non seguiremo lo schema che abbiamo tracciato sopra, ma esamineremo le varie materie in capitoli separati e con intitolazioni adattate alle necessità dell'esposizione.
Il fatto che gli svariati articoli non siano stati in origine scritti in ordinata sequenza è probabilmente dovuto alla vasta mole di materia che dovettero affrontare i giuristi del tempo, materia che, come già stato detto, non aveva documentazione scritta e si riallacciava solo alla tradizione, usi e costumi popolari. Bisogna inoltre considerare che si dovettero appianare le non poche differenze legislative ed amministrative che dovevano esistere tra una piccola comunità agricola ed una grande repubblica marinara, uniformando, nel limite del possibile, le esigenze di entrambe le parti.
Salta palesemente agli occhi la vastità della materia trattata che dà a questi Statuti una completezza ben difficilmente reperibile negli Statuti di altre comunità, anche considerando l'approfondimento e la particolarità quasi cavillosa di a1cuni articoli. Abbiamo già detto quanto sia stata per noi rimarchevole la lacuna di non avere potuto ritrovare nei tanti documenti analizzati, i nomi degli estensori di tale codice; autori che si dimostrano profondi conoscitori della materia e del diritto e, nello stesso tempo, validi coordinatori degli interessi delle due parti. Alla prima stesura dei capitoli è stata aggiunta nel 1447 una appendice che, a nostro avviso, non è da considerarsi di carattere statutario, ma che tratta più propriamente di una convenzione di pace dopo le guerre tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Genova, a causa delle quali il territorio ovadese era stato sottomesso al Ducato milanese, fino a che, alla morte di Filippo Maria Visconti nel 1447, Ovada ritornò a Genova ed è in tale circostanza che venne stabilita detta convenzione. (Serra: Storia dell'Antica Liguria e di Genova).
Si tratta in effetti di una sanatoria generale per gli atti ostili, dovuti alla guerra, e commessi in Ovada contro la Repubblica genovese. L'unico punto che riguarda gli Statuti in questa convenzione è il IV in cui si riconfermano i poteri del Podestà e la nomina di un castellano che siano cittadini di Genova: "di buona fama e virtù e che sino al termine della loro carica agiscano secondo gli ordini e gli Statuti di Genova, mentre per tutte le condanne e multe del Comune di Ovada agiscano secondo gli Statuti del Comune di Ovada, escluse le condanne riguardanti i crimini di lesa maestà".
Per tutto il resto, come si è detto, questa convenzione di pace non riguarda per nulla la materia statutaria.
Indipendentemente da questa convenzione - inserita forse erroneamente nella ricopiatura settecentesca non al posto giusto - gli Statuti di Ovada vengono una prima volta confermati nell'anno 1360 sotto il Dogato di Simone Boccanegra ed una seconda volta dieci anni dopo sotto il Doge Gabriele Adorno con approvazione lasciata al ballottaggio: "Fuerunt ballotole albe decem numero nulla nigra". Queste due approvazioni non fanno però parte del corpo statutario da noi preso in esame, ma le abbiamo potute rintracciare, durante le nostre ricerche, in un manoscritto del Roccatagliata, Tomo I n° 122 fog. 62 nell'Archivio di Stato di Genova.
Fa invece parte del volume parrocchiale ovadese da noi esaminato la riconferma degli Statuti fatta nel 1554 - dopo una accurata revisione degli stessi - ed eseguita da Pietro Francesco Grimaldo Robbio, uno dei Sapienti della Repubblica, il quale, proponendone la completa conferma, emette solo due riserve di carattere finanziario. Queste riserve, dettate dall'aggiornamento del valore della moneta che nei circa due secoli era notevolmente aumentato, propongono che la primitiva somma di 500 lire genovesi da pagarsi alla Repubblica sia adeguata ai tempi nuovi e che possa inoltre adeguarsi ulteriormente ai tempi futuri; e che il salario del Podestà sia aumentato dalle 100 lire iniziali alle lire 200 annue.
Tale revisione viene approvata dalla Ecc.ma Repubblica di Genova in data 19 marzo 1554. La copia dei "Capitula" porta in calce la dichiarazione di autenticità firmata dal Notaio G.B. Pesce che riportiamo:

"1723 die 26 Martiis
Extracto fuit per me Notarium infrascriptum in omnibus ut supra ex consimili volumine autentico existente penes D.Jo.Baptista Piscium Not. et ad praesens Cancellarius M.ce Communitatis Uvadae mihi jam dicto Notario presentato per D. Laurentium Buffam et exinde ei restituto in hiis cartis centumduodecim presenti computata omnibus mea manu firmatis facta prius diligenter colationem licet pro salvas et pro fide.
Joannes Baptista Piscius Notarius"
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