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Il Crollo della Diga di Molare.


Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" dell'Ottobre-Dicembre 1985

 Diga Molare Nel 1906 la Società "Forze Idrauliche della Liguria" chiese ed ottenne dalla Regia Prefettura di Alessandria una concessione per erigere uno sbarramento sul torrente Orba in località "Ortiglieto di Molare" secondo un progetto redatto dall'ing. Zunini, il quale prevedeva un'erogazione di 2000 litri d'acqua al secondo con una produzione di 2411 Hp di forza motrice. In data 27 ottobre 1916 tale concessione fu revocata (i lavori non erano ancora stati iniziati) e la stessa Prefettura di Alessandria «girò» la concessione alla Società "Officine Elettriche Genovesi" («O.E.G.»), alle stesse condizioni fissate dal progetto Zunini del 1906. Da notare è il fatto che la concessione fu decretata "in via di urgenza" perché le O.E.G. avevano motivato la richiesta con la necessità di "ovviare all'enorme rincaro del carbone" e si erano impegnate a "iniziare ed ultimare i lavori nel più breve termine possibile".
Ottenuta la concessione, le O.E.G. si dimenticarono di avere fretta ed i lavori furono avviati solo sette anni dopo, nel 1923, per essere ultimati nel 1925. Le O.E.G., però, more italico, pur avendo ottenuto la concessione sulla base del progetto originale, pensarono bene di aumentare un pochino la capacità delle opere. Così, senza dire nulla a nessuno, portarono il volume dell'acqua contenuta nel bacino a 18 milioni di metri cubi con un'erogazione di 25 mila metri cubi d'acqua al secondo e con una potenza nominale di 24mila Hp. Come si vede, furono pressoché decuplicati i parametri previsti dalla concessione prefettizia, basata sul progetto originale.

 Diga Molare Non passò molto tempo che le O.E.G. ebbero le prime grane. Nel 1926 il Comune di Ovada ed il Consorzio di Grillano, di cui facevano parte gli abitanti dell'omonima frazione, avviarono una causa dinanzi al Pretore di Ovada, poiché succedeva spesso che le O.E.G. scaricassero dal bacino l'acqua in eccesso senza preavvisare ed in modo molto "disinvolto"; poiché gli abitanti di Grillano che sì recavano in Ovada e viceversa erano allora costretti ad usufruire di un guado in regione "Carlovini", era già successo che qualcuno, arrivato nel bel mezzo del torrente, si era ritrovato a dover fare un indesiderato e pericolosissimo bagno a causa delle improvvise piene, provocate dalle O.E.G..
Ovviamente, venne fuori la storia dei lavori costruiti abusivamente e la sentenza, oltre a dare ragione ai cittadini di Ovada, fece in modo che le O.E.G. dovettero richiedere una sanatoria delle opere costruite abusivamente (il condono edilizio non è un'invenzione della Repubblica). Il Regio Decreto 23 giugno 1927 concesse la sanatoria, a condizione che le O.E.G. corredassero il progetto esecutivo con uno studio geognostico specifico del terreno su cui erano state costruite le due dighe. Tale studio è ancora da fare.
Qualcuno, ora, si chiederà perché le dighe, che prima erano una, siano divenute improvvisamente due.

 Diga Molare Per il lago di Ortiglieto il progetto originale prevedeva una sola diga, poiché la capacità del bacino era modesta; le O.E.G., potenziandone la capacità, innalzarono il livello della diga e, di conseguenza, del lago. Però, per una tale altezza, però, si accorsero che in un punto del perimetro del bacino e, precisamente, nel luogo in cui un avvallamento tra due crinali si era trasformato in una "sella" («sella Zerbino» appunto), l'acqua sarebbe traboccata. E provvidero a costruire uno sbarramento.
Quindi, ad opera ultimata, si aveva, guardando il bacino da valle, sulla sinistra la diga vera e propria mentre sulla destra, oltre il monte Bric Zerbino, lo sbarramento di Sella Zerbino.
La diga originariamente progettata dallo Zunini era un capolavoro di ingegneria, ma nel rifacimento del progetto le O.E.G. avevano alzato la diga di circa tredici metri, lasciandone però invariati gli altri parametri (spessore, curvatura, ecc.) dimodoché la sua stabilità, in condizioni critiche, non era assicurata (ed i dirigenti delle O.E.G. lo sapevano).

 Diga Molare La diga era, ovviamente, dotata di dispositivi di svuotamento regolamentari. Essi consistevano in una valvola di scarico «di fondo», originariamente del sistema "a campana", poi sostituita con una saracinesca, con tubazione del diametro di m 1,80 a quota 280 m.s.l.m.; la sua capacità di smaltimento era di 55 mc d'acqua al secondo; c'era poi la classica valvola "a campana" dello «scarico profondo», a quota 295,50 metri s.l.m., di tipo «Verrina» e della capacità di smaltimento di 60 mc. al secondo; completava l'opera una batteria di dodici scaricatori di superficie in cemento armato di tipo «Heyn», con una portata complessiva di 500 mc al secondo. In pratica, la diga, con tutti gli apparati di scarico in funzione, poteva scaricare 855 mc. d'acqua al secondo, tenendo anche conto dello scivolo a stramazzo, posto sulla sponda destra, che scaricava 130 mc. al secondo.
Con una simile capacità di scarico rapido, la diga avrebbe potuto sopportare un'ondata di piena ben superiore a quella del giorno fatale, ma non fu così, perché al momento giusto la valvola a campana non funzionò in quanto otturata da fango e detriti, mentre gli operai di guardia alla diga avevano l'ordine di non aprire lo scarico di fondo poiché una sua messa in funzione avrebbe creato una vibrazione nella struttura che ne avrebbe determinato il cedimento.

 Diga Molare Questo per ciò che concerne la diga vera e propria. Per quanto riguarda lo sbarramento della sella, invece, il discorso si fa più semplice.
Lo sbarramento, infatti, fu progettato e costruito in modo molto approssimativo. I tecnici progettisti non fecero alcun campionamento del terreno, sbancarono, prepararono le spalle e gettarono le due pareti di cemento; l'intercapedine fu riempita con materiale di recupero. Poiché, però, il terreno su cui era stato posto lo sbarramento era molto friabile, ben presto, a bacino riempito, si verificarono le prime infiltrazioni e perdite d'acqua a cui i tecnici delle O.E.G. fecero fronte con iniezioni di calcestruzzo. Tutto vano, poiché le caratteristiche geologiche del terreno non permettevano che il calcestruzzo penetrasse in profondità, mentre l'acqua, subdola come al solito, si scavava le sue vie d'uscita in tutta tranquillità.
Sopra lo sbarramento, poi, che già era poco sicuro, le O.E.G. costruirono la strada di accesso alla diga e fecero passare la linea telefonica che comunicava con la Centrale Elettrica di Molare.
Dunque, a sinistra una diga con i sistemi di sicurezza inservibili; a destra uno sbarramento-colabrodo. Mancava solo l'imprevisto.
Arrivò il 13 agosto 1935.

Prima di descrivere cosa accadde, ci pare opportuno avvalerci di una testimonianza diretta di ciò che avvenne, oltre che al lago, anche in Ovada, dove l'ondata di piena fece i danni maggiori ed il maggior numero di vittime.
Di testimoni oculari ce ne sono moltissimi poichè in pratica tutt'Ovada assistette alla sparizione del "Borgo"; noi, però, abbiamo pensato di ricercare un testimone tra gli addetti ai lavori, qualcuno che abbia vissuto il dramma fin dall'inizio.
Lo abbiamo trovato negli appunti autografi che il signor Grillo Matteo, deceduto alcuni anni fa ma che in quell'epoca lavorava presso la centrale elettrica "dei frati" in Ovada, ci ha lasciato come ricordo di quel tragico momento.
Prima però di addentrarci nel racconto, è bene precisare alcune cose che ci permetteranno di comprendere e seguire meglio la testimonianza del Grillo.
La centrale elettrica dei «Frati», in Ovada, regione Carlovini, produceva l'energia elettrica per il centro di Ovada; essa disponeva di una turbina che veniva azionata dalle acque del torrente Orba tramite un canale artificiale. L'edificio della centrale, così come alcuni resti del canale, sono ancora al loro posto (tutto il complesso rimase ancora in funzione per parecchi anni dopo il secondo conflitto mondiale). Questa centrale era in comunicazione telefonica con la centrale di Molare (appena a monte delle Rocche, oggi proprietà ENEL) la quale, come già accennato, era in comunicazione con la diga dello Zerbino (la condotta forzata, ancora esistente e funzionante, prelevava l'acqua dal bacino e la faceva precipitare fino alla centrale di Molare dopo un percorso di tre chilometri). La centrale di Ovada era anche in comunicazione, verso valle, con le centrali di Schierano (Roccagrimalda) e Retorto (Predosa); il tutto formava una linea di comunicazioni che seguiva il corso del torrente Orba per un notevole tratto.
Il 13 agosto 1935, dunque, il Grillo Matteo era di servizio presso la centrale dei Frati.

 Diga Molare Iniziò a piovere alle sei del mattino e l'intensità della precipitazione fu subito intensissima. Il livello del lago di Ortiglieto iniziò a salire notevolmente. Tutto l'impianto idroelettrico era sprovvisto di stazioni pluviometriche per definire l'entità della precipitazione (in ogni bacino artificiale ne dovrebbero operare almeno due: una a monte dell'invaso ed una nei pressi della diga) cosicché nessuno, quel giorno, potè stabilire quanta acqua era caduta dal cielo; si aggiunga che non era mai stato fatto neppure uno studio sull'andamento delle piene del torrente e dei suoi affluenti a monte dello sbarramento (studio obbligatorio prima di procedere alla costruzione di opere idauliche di tale tipo). In definitiva nessuno, quella mattina, alla diga, era in grado di sapere di quanto sarebbe salito il livello del lago né, se la diga avrebbe resistito.
Alle sette la precipitazione raggiunse la massima intensità, mantenendola poi fino alle dieci. I tecnici della diga sì accorsero che il livello aumentava anomalamente ma confidavano nei dispositivi di scarico normale che già funzionavano al completo, facendo aumentare molto il volume d'acqua scaricato; ad Ovada, di conseguenza, iniziarono i primi problemi. "Alle otto del mattino (...) dopo qualche ora di forte pioggia, il canale di alimentazione della nostra centrale, che prima era quasi asciutto, improvvisamente si riempì tanto da fare funzionare al massimo la nostra macchina". Il Grillo si era subito reso conto che qualcosa non funzionava a dovere perché l'aumento dell'acqua era stato troppo repentino per essere normale. Telefonò una prima volta a Molare e gli risposero che tutto andava bene ma quando, verso le 9.30, "il nostro canale d'arrivo non era più sufficiente a ricevere l'acqua", si preoccupò e, richiamando Molare, si fece spiegare bene la situazione. Gli risposero che "l'acqua nel lago aumentava forte". Il Grillo, allora, mise in opera gli accorgimenti che di solito vengono adottati in centrale in caso di piena: chiusura delle paratie di presa, apertura totale dello scarico e sollevamento della turbina.
Intanto, e sono ormai le dieci, lassù alla diga il livello era salito in maniera preoccupante tanto da indurre gli operai ad azionare lo scarico profondo a campana: funzionò per qualche minuto per poi bloccarsi, intasato dal fango e dai detriti. Lo scarico di fondo non poteva essere aperto per via delle famose vibrazioni, letali per la struttura. Non rimanevano che gli scarichi di superficie e lo scivolo, oltre alla quantità d'acqua smaltita dalla condotta forzata: era come tentare di svuotare una vasca da bagno colma con un cucchiaino da caffè.
Ben presto l'acqua raggiunse l'altezza dello sbarramento e cominciò a tracimare, formando due pericolose lame di stramazzo. Di conseguenza, ovviamente, vennero rese inutilizzabili sia la strada di accesso alla diga che la linea telefonica la quale, ricordiamo, correvano sopra lo sbarramento della sella.
La diga era quindi isolata ed infatti dice Grillo: "Alle 10.15 ricevo una telefonata da Molare che il telefono con Rossiglione attraverso la linea dello Zerbino non funzionava più". Ed aggiunge che "l'operaio mi disse di informare le persone circostanti alla centrale e, se era possibile, quelle più verso valle, che l'acqua sarebbe stata molta".

 Diga Molare Il Grillo non pone tempo in mezzo e si reca presso le case vicine per avvertire gli abitanti del pericolo incombente, dopodiché si attacca al telefono ed avvisa la centrale di Schierano.
Verso le 10.30 riceve poi un'altra comunicazione da Molare. Tra le scariche causate dai fulmini, la quasi impercettibile voce dell'operaio della centrale di Molare gli dice "che la valvola a campana del lago non funzionava più per dare scarico alle acque".
Brutta faccenda, pensò il Grillo ma, d'altra parte, l'unica cosa che poteva fare era di preparare la centrale ad un'ondata di piena. Alle 11.10, mentre sta ultimando i preparativi per salvaguardare i macchinari dall'acqua, si accorge che "l'acqua ha cominciato a straripare dal nostro canale d'arrivo, sebbene le paratie fossero già state chiuse". Richiama allora Molare e gli rispondono che "il lago sfiorava dalla diga e di avvisare ancora verso valle che l'acqua che stava per scendere era molta".
Racconta allora il Grillo: "Mi recai al piano superiore dell'officina ed esortai, chiamandoli per nome, le persone delle case adiacenti di abbandonare le loro case, pero nessuno obbedì.". Intanto l'acqua del canale d'arrivo straripava sempre più forte, tanto che incominciava ad invadere il cortile in quantità e fu così che "io ed il mio aiutante, a colpi di mazza si potè aprire una breccia nel muretto di cinta per scaricare l'acqua del cortile, mentre con disperazione gridavo ed inveivo contro le famiglie dei dintorni, già avvisate, di abbandonare le loro case".
Ed intanto continuava a piovere.
Lassù, al lago, la situazione era critica ma senza soluzione: con gli scarichi bloccati e l'acqua che straripava al di sopra delle dighe non si poteva fare altro che affidarsi alla buona sorte e sperare. D'altra parte è stato accertato che tutti temevano per la diga grande mentre era lo sbarramento della sella che stava, piano piano, preparandosi a crollare. In effetti, la lama di stramazzo della diga grande, pur cadendo da un'altezza di circa 47 metri, batteva sulla roccia del greto del torrente e non provocava danni, mentre quella dello sbarramento della sella, pur precipitando da soli 14 metri e mezzo, ricadeva sul terreno della sella, terreno friabile e di scarsa consistenza, già minato, come abbiamo detto, dalle infiltrazioni d'acqua, e lo erodeva implacabilmente, preparando la catastrofe.
"Alle tredici" riprende Grillo Matteo, "ricevetti una telefonata da Molare in cui davano ordine, prima un operaio e poi un sottocapo, di avvisare le Autorità locali ed anche il Genio Civile di Alessandria che il pericolo era imminente".
Il Grillo si precipita fuori e trova una persona dì passaggio a cui chiede di andare ad avvertire le Autorità, dopodìché rientra alla centrale. Dopo poco, avvertito dall'occasionale messaggero, "giunse un carabiniere... al quale accennammo quali erano le case i cui abitanti non volevano fuggire, però il carabiniere non potè recarvisi perché l'acqua aumentava forte. Ritornai presso il telefono e provai a chiamare Molare ma nessuno rispondeva". In effetti, la diga della sella era appena crollata.

 Diga Molare Il crollo avvenne alle 13.30 e fu spaventoso. Gravemente scalzata alla base, dietro la spinta di milioni e milioni di metri cubi di liquido (fu calcolato che al momento del crollo, nel bacino erano stipati oltre 30 milioni di metri cubi d'acqua, invece dei 18 milioni massimi previsti!), lo sbarramento letteralmente «esplose», cedendo di schianto. I suoi frammenti (blocchi di cemento e calcestruzzo di notevoli dimensioni) furono lanciati a diverse centinaia di metri di distanza e poi trascinati a valle dall'enorme massa d'acqua che in pochi istanti si era riversata attraverso la breccia, formando un'impressionante ondata di piena che iniziò il suo cammino verso valle, distruggendo qualsiasi cosa incontrasse.
Per arrivare ad Ovada, l'ondata impiegò circa mezz'ora, tenendo conto che distrusse tutte le dighe di compensazione poste a valle fino a Molare.
In quel lasso di tempo il Grillo Matteo si era riportato fuori della centrale nel tentativo, vano, di convincere gli abitanti delle case circostanti ad evacuare. Ad un certo momento, sentendosi chiamare a gran voce, si voltò e vide "i miei compagni che fuggivano, chiamando pure me di fuggire". Avevano infatti visto in lontananza l'onda che avanzava. "Senza esitare mi gettai in acqua e raggiunsi mia moglie ed i miei compagni fuggendo verso la ferrovia. Dopo alcuni secondi, la furia raggiungeva il massimo del suo furore. Ciò è avvenuto alle 14.05 o 14.07 essendo l'orologio fermo sulle 14, che però era in ritardo di sei o sette minuti".

 Diga Molare Grillo Matteo si salvò e, come lui, moltissimi altri. Ma per 115 persone fu la fine, mentre altre migliaia videro in un attimo sparire tutto ciò che possedevano.
L'onda di piena, infatti, dopo aver travolto tutti gli sbarramenti di compensazione costruiti a monte dell'abitato di Molare e dopo avere abbattuto il ponte di Molare e distrutte le abitazioni situate in sua prossimità, proseguì verso Ovada.
Il ponte di San Paolo resistette poiché l'ondata di piena lo investi di riflesso dopo essere andata a sbattere contro la «Rocca delle Anime» mentre il ponte ferroviario «della Veneta» fu preso d'infilata e quindi tenne bene; non altrettanto il ponte che da piazza Castello conduceva nel «Borgo» (piazza Nervi): venne demolito, e con esso tutte le case del Borgo; circa 35 furono spazzate via, le altre gravissimamente lesionate. Le vittime, come abbiamo detto in apertura, furono 115 e per molti fu letale l'orario della tragedia: alle 14, con la pioggia che cadeva forte, quasi tutte le famiglie erano ancora riunite nelle case per il pranzo.
Alle 14.30 cessò di piovere e dopo qualche ora l'ondata di piena si esaurì. Il resto si svolse pari pari a tante catastrofi di cui siamo stati spettatori negli ultimi anni.
I soccorsi arrivarono prontamente, compatibilmente con i mezzi disponibili all'epoca: arrivarono i militari del Genio Minatori di Novi Ligure, del Genio Pontieri di Piacenza, del 20° Reparto di Artiglieria di Acqui Terme, oltre al Genio Civile, ad un Reparto della Milizia Volontaria, ai Pompieri (allora si chiamavano così) ed alla Croce Rossa. Allora, come oggi, non poterono fare altro che recuperare e contare le vittime.
Poi fu la volta delle Autorità. Il 15 agosto arriva il Segretario del Partito Nazionale Fascista, Achille Starace; il 16 arriva Sua Maestà il Re, Vittorio Emanuele III, in borghese e, a detta di molti testimoni, con i batuffoli di cotone nelle orecchie; entrambi esprimono la loro solidarietà ai parenti delle vittime ed ai senzatetto. Starace ordina, a nome di Mussolini, che per gli aiuti immediati il P.N.F. versi immediatamente 50 mila lire mentre altre 25 mila vengono versate direttamente dal Direttore Nazionale del Partito.
Si inizia poi la ricostruzione. Il 28 agosto il Podestà di Ovada invia una lettera-ordinanza alle O.E.G. ingiungendo loro di provvedere, una volta accertata l'entità dei danni, al loro risarcimento. Le O.E.G. fanno ricorso presso la Giunta Provinciale Amministrativa di Alessandria contro tale ordinanza e si avvalgono dell'opera di ben quattro avvocati, i quali, in una memoria a stampa di ben 38 pagine, riescono a dimostrare, citando montagne di casi analoghi, raccolte di leggi e cavilli sottilissimi, che se i danni furono provocati a causa di una piena del torrente, non furono certo le O.E.G. responsabili delle piogge che l'avevano causata ed infine, giostrando abilissimamente tra codici e codicilli, riescono anche a dimostrare che il Podestà di Ovada, chiedendo il risarcimento dei danni, era andato «contro la legge e contro lo Stato».
Non sappiamo che esito abbiaavuto la causa civile; sappiamo però bene come andò a finire il processo penale intentato a carico dei progettisti della diga (tra cui lo Zunini), del Presidente e dei Direttori delle O.E.G..
Il 14 luglio 1938, dopo anni di indagini ed elaborate inchieste, tutti gli imputati venivano assolti «per non avere commesso i fatti loro addebitati». Allora, come oggi, i morti non furono sufficienti a rendere giustizia dei fatti accaduti.

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