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Storia della chiesa dell'Immacolata Concezione (Padri Cappuccini) di Ovada e del suo convento.
Aggiornata al 26 Marzo 2020


Testo ed immagini della conferenza pubblica tenuta da Federico Borsari nel Settembre 2014 in occasione dell'inaugurazione del Salone "Padre Giancarlo" presso la chiesa dei Cappuccini di Ovada.


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PRIMA PARTE

La Peste

Stasera andiamo a vedere le cause per le quali venne edificata questa chiesa e ne seguiremo le vicende storiche fino ai nostri giorni.
Iniziamo con il conoscere da vicino il personaggio principale che fu la causa della costruzione del Santuario Mariano dell'Immacolata Concezione di Ovada, comunemente detto "Chiesa dei Cappuccini". Eccolo:

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Questo essere vivente sta all'origine di questa chiesa. Esso ha un nome ed un cognome: Yersinia Pestis; è un batterio ed è comunemente conosciuto come il batterio della PESTE, la malattia che nel corso di duemila anni ha causato migliaia di milioni di morti e che ancora oggi fa paura e che in alcuni paesi continua la sua opera di morte, probabilmente una delle morti peggiori che il genere umano abbia mai visto e provato.
Questo esserino, visibile solo con il microscopio, da solo non è molto pericoloso; si limita ad uccidere l'essere vivente con cui viene a contatto. La sua pericolosità sociale deriva dal fatto che esso si serve di DUE VEICOLI per essere trasportato ed infettare gli altri esseri viventi. Questi due veicoli sono questi:

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Il primo, anch'esso quasi invisibile, si chiama Xenopsylla Cheopis, ed è quella che comunemente noi chiamiamo la PULCE DEI TOPI. Il secondo veicolo è, appunto, il TOPO.
Il combinato disposto di questi tre esseri viventi crea le condizioni per la diffusione -su scala vastissima, dapprima nell'ambito animale e poi nell'ambito umano, della cosidetta EPIDEMIA DI PESTE.
In effetti, finchè il numero di topi infettati rimane sufficientemente alto, l'epidemia rimane abbastanza circoscritta, ma quando il tasso di mortalità dei topi supera un certo numero, le pulci, affamate, cercano altri "ospiti" e si spostano sia sugli animali domestici (ad esempio i gatti) che sull'uomo, infettandoli.
La Peste è una malattia che ha origini nell'Asia minore, dove era già conosciuta in tempi antichissimi; è' curioso notare che prima del quarto-quinto secolo dopo Cristo la Peste in Europa era pressochè sconosciuta e ci si chiede per quale motivo durante l'Impero Romano, che comprendeva anche vasti territori in cui essa era presente ed attiva, essa non comparve praticamente mai -a parte alcuni casi abbastanza territorialmente circoscritti - nelle città dell'Impero. A questa domanda vi è una risposta molto semplice. Gli antichi Romani facevano dell'igiene e della pulizia uno dei punti di forza della loro amministrazione pubblica. Sia la pulizia personale del corpo che quella delle città (non dimentichiamo che i Romani, quando fondavano una città, le prime due cose che costruivano -oltre alle mura di difesa- erano l'acquedotto e la fognatura) erano curatissime. Con la caduta dell'Impero Romano, queste caratteristiche vennero meno; la pulizia personale divenne assai approssimativa (e lo rimase fino all'Ottocento) così come le fognature delle città si ridussero ad essere dei canali superficiali di scolo al centro od ai lati delle strade (e tali rimasero anch'esse fino all'Ottocento), dove tra i rifiuti sguazzavano e scorrazzavano -appunto- i topi.
La prima epidemia di Peste si verificò nel 166 dopo Cristo ed è la cosidetta "Peste Antonina" (anche se gli studiosi moderni tendono ad attribuirne la causa al Vaiolo). Nei secoli seguenti si ebbero altre epidemie, una nel 260 d.C. ed un'altra nel 543 d.C. (detta "Peste di Giustiniano"). Ma la prima vera, grande epidemia di Peste, che interessò per la prima volta tutta l'Europa, si verificò nel 1347 e fu talmente distruttiva che causò dai 18 ai 22 milioni di morti durante i cinque anni (fino al 1351) in cui si espanse in tutta l'Europa.
Nel grafico che vediamo:

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è ben visibile l'ondata che interessò, partendo dal Mediterraneo, tutto l'Europa, l'Asia Minore, i territori della Russia ed anche i Paesi più lontani del Nord-Europa.
Ma come fece la Peste, dall'Asia Minore ad espandersi in questo modo?
In questa vicenda, purtroppo ma non per colpa loro, furono protagonisti i Genovesi ed un'operazione militare che oggi verrebbe definita come "guerra biologica".

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Nel 1347 i Genovesi tenevano il porto di Caffa, adesso chiamato Feodosiya, situato nella penisola di Crimea, che fino al 21 Marzo scorso era in Ukraina ma che, in seguito ai tragici fatti avvenuti, è attualmente federata con la Russia. In quell'anno i Tartari cingevano d'assedio la città ed i Genovesi resistevano fieramente all'interno della loro fortezza, della quale rimangono tuttora i resti. Poiché l'esercito tartaro era decimato dalla peste, che in Asia già da tempo infuriava, i comandanti tartari escogitarono un sistema efficacissimo per stroncare la resistenza dei Genovesi: presero i cadaveri dei loro soldati morti di peste e li catapultarono all'interno delle mura della città. Bombe biologiche al posto di proiettili. Nel giro di pochi giorni la guarnigione genovese venne contagiata e decimata; i soldati genovesi superstiti fuggirono e tornando in patria portarono con loro il morbo, contagiando via via i diversi porti del Mediterraneo in cui facevano scalo.
Dapprima infettarono Costantinopoli (oggi Istanbul) e poi Messina. Quando arrivarono di fronte a Genova, il Doge -che era stato avvertito- impedì alle navi di entrare in porto. Le navi, quindi, furono costrette a dirigere verso altri porti, in particolare Marsiglia ed i porti della Spagna. Ma i commerci dei porti toccati dalle navi infette non si fermarono e fu così che, sia via terra che via mare, la Peste ebbe modo di espandersi in tutta Europa nel modo che abbiamo visto prima.
E' evidente che per prevenire questa malattia è sufficiente l'adozione di precauzioni igieniche che se oggi possono sembrare elementari, fino ad un paio di secoli orsono tanto comuni non erano.

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A questo proposito è interessante sapere che l'ultima epidemia di Peste in Italia si verificò nel 1816 (in Puglia) mentre l'ultima grande epidemia nelle regioni asiatiche (India, Hong-Kong, Taiwan e Giappone) si verificò tra il 1894 ed il 1906 (cioè esattamente 120 anni fa).
E fu proprio nell'ambito di questa epidemia che Alexandre Yersin, medico svizzero che fece anche parte del primo gruppo di ricerca messo insieme da Pasteur (ma che fu anche etnologo, geografo, agricoltore e marinaio), isolò il batterio della Peste e per questa sua scoperta il batterio fu "battezzato" con il suo cognome: "Yersinia Pestis".

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In Europa oggi la Peste è ufficialmente "assente" ma è ancora ben presente in altri Paesi del Mondo (se ne contano circa tremila casi ogni anno) e se non stupisce più di tanto trovarla in regioni del Mondo in cui la prevenzione non è certo al nostro livello (molti paesi dell'Africa, del Medio Oriente, dall'Asia e dell'America del Sud), fa invece abbastanza specie venire a sapere che la Peste è ancora oggi presente, ad esempio, negli Stati Uniti, dove colpisce soprattutto animali e, purtroppo, anche persone; in effetti ogni anno negli Stati Uniti vengono accertati dai 15 ai 20 casi di Peste contratta da persone.
E' importante sapere che per questa malattia sono stati studiati tre tipi di vaccini ma nessuno di essi -ad oggi- è stato giudicato effettivamente efficace; dall'inizio di questo secolo e soprattutto dopo l'acuirsi del pericolo del cosidetto "terrorismo biologico", la ricerca di un vaccino efficace si è intensificata soprattutto da parte della medicina militare ma, ovviamente, i risultati di questa ricerca sono rigorosamente "off-limits". Per noi comuni mortali, quindi, la malattia si combatte con i normali antibiotici, ma la diagnosi e la cura devono essere immediate altrimenti la morte in pochi giorni è certa.


La Peste in Ovada.

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Abbiamo detto che la prima grande epidemia di peste arrivò in Europa nel 1347 portata dai soldati genovesi e, quindi, da Genova. Ovada a quell'epoca era territorio della Repubblica di Genova (lo rimase fino al 1815) ed aveva intensi traffici con il capoluogo ligure essendo uno dei suoi avamposti in terra piemontese; in questo modo Ovada fu uno dei primi borghi ad essere colpita solamente un anno dopo, nel 1348.
Questa epidemia fu disastrosa; non vi sono testimonianze documentali ma rimane una lapide a testimoniarla.

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Questa lapide, che potete trovare nella vecchia parrocchia di Ovada (che adesso è la "Loggia di San Sebastiano"), nascosta e murata dietro il pilastro a destra dell'abside, ma una copia della quale la trovate murata nella nuova parrocchia a sinistra appena entrando dalla porta di sinistra) è -appunto- lapidaria nella sua essenziale tragicità:
"...fuit mortalitas...totalis ruina contagii Uvadae, quod de quinque remansit nisi unus.".
Il che significa che in Ovada su cinque persone ne sopravviveva solamente una. Se teniamo conto che la popolazione del borgo in quell'epoca non arrivava neppure ad un migliaio di persone possiamo renderci conto dell'entità della tragedia.
Nei secoli seguenti la Peste rimase sempre presente in Ovada, spesso a livello endemico e talvolta con recrudescenze significative; ad essa si sommavano le frequenti carestie, le altre malattie che a quell'epoca erano quasi sempre mortali e le devastazioni che le frequenti guerre ciclicamente si portavano appresso. Una seconda importante epidemia ci fu nel 1625, e dai documenti sappiamo che le vittime furono 257, in maggioranza giovani e bambini; in quell'anno la popolazione ovadese era di poche migliaia di anime ed anche in quell'occasione la percentuale di mortalità si rivelò molto alta.
Negli anni seguenti non vi fu quasi soluzione di continuità ed i casi di peste rimasero numerosi fino, appunto, allo scoppio dell'epidemia del 1631.

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Questa epidemia di peste è la stessa che decimò Milano e che è descritta ne "I Promessi Sposi" di Manzoni.
In Ovada essa si presentò però in modo assai meno drammatico, anche perchè le Autorità genovesi già da qualche anno avevano inviato in Ovada un "Commissario di Sanità" che aveva preso adeguate contromisure per evitare il dilagare del contagio.
A quei tempi non si poteva parlare di "cura" come oggi viene comunemente intesa, ed anche le misure di prevenzione non erano certo quelle a cui siamo abituati oggi, ma certamente erano assai drastiche.
Fondamentalmente esse erano volte ad evitare il contatto dei contagiati con le persone sane. A questo scopo, quando si manifestava un caso di contagio, la casa della persona contagiata veniva chiusa (con il malato ed i suoi famigliari dentro, ovviamente) e tutte le aperture murate tranne una, attraverso cui l'appestato poteva essere raggiunto dal medico; il malato ed i suoi famigliari, inoltre, ricevevano l'assoluto divieto di uscire dalla casa "sotto pena della vita", cioè con l'ordine per le guardie che li sorvegliavano di ucciderli se cercavano di uscire. Se il malato sopravviveva veniva poi portato in "quarantena" presso un apposito locale (il cosidetto "lazzaretto") che si trovava di fronte alla chiesa di S.Antonio (dove adesso si trova il Museo Paleontologico) mentre tutti i suoi effetti personali venivano bruciati ed anche l'interno della casa veniva "abbrustolato", cioè vi si accendevano fuochi di legno resinoso ed aromatico i cui fumi si pensava potessero sanificare gli ambienti. Invece, per le abitazioni dei morti di peste, si procedeva alla distruzione della casa.
Per la prevenzione spicciola le persone portavano al collo sacchetti contenenti erbe odorose, lavavano le monete in ciotole piene d'aceto e limitavano al massimo i rapporti con le altre persone.

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Circa le cure, a quell'epoca la medicina era assolutamente impotente ed i "medici" si limitavano ad assistere le persone ricoverate nella quarantena e molti di essi venivano contagiati e morivano. Molto curiosa era a quei tempi la figura del cosidetto "medico della peste", che in realtà poteva essere un medico ma anche un sacerdote, il cui compito era quello di confortare i malati e somministrare l'estrema unzione. Per poter svolgere il suo compito senza correre troppi rischi di contagio, questo personaggio adottava un particolare abbigliamento, che lo copriva da capo a piedi con guanti, cappello, mantello ed una curiosa maschera a forma di becco d'uccello al cui interno venivano sistemate pezze imbevute di essenze odorose che servivano a "filtrare" l'aria che entrava da alcuni fori; in pratica si trattava di una rozza ma efficace "maschera antigas". Questi "medici della peste" per toccare i malati usavano un bastoncino di legno che dopo ogni intervento veniva bruciato e sostituito.
Grazie a queste precauzioni, in Ovada la peste del 1631 rimase abbastanza sotto controllo e alla fine i morti complessivi furono non più di un centinaio ed il merito di ciò si deve interamente al Commissario di Sanità, che rispondeva al nome di Gio Francesco Mercanti.
Abbiamo diverse notizie documentali circa questa epidemia e sappiamo chi furono i primi contagiati: i fratelli Batta e Michele Casali, che abitavano in una cascina in località "Ergini". Entrambi morirono il giorno dopo il contagio. Il Commissario di Sanità provvide subito a rintracciare le persone che avevano avuto contatti con loro e a chiuderle in casa, provvedendo a bruciarne gli effetti personali e ad "abbrustolarne" le case. Furono chiuse le porte della città e fu adottata una strategia di stretto controllo sui commerci e sulla circolazione delle persone. Furono poi vietate tutte le riunioni di persone che si svolgevano sia sulle aree pubbliche che private. In questo modo gli effetti del morbo non furono devastanti come nel passato.
Rispetto alle precedenti esperienze fu un successo di prevenzione, ma a quei tempi la peste era considerata, e non solo dal popolo, un "castigo di Dio", che puniva in quel modo i peccati sia individuali che collettivi. In quest'ottica era quindi molto comune che in occasione delle pestilenze che ciclicamente si abbattevano sull'umanità le varie comunità si stringessero intorno alle loro chiese ed ai loro governanti formulando voti collettivi per chiedere il perdono e la clemenza divina. Solitamente questi voti prevedevano, a fronte della liberazione dal morbo, l'edificazione di una chiesa. E questo è quello che esattamente accadde in Ovada il 21 Settembre 1631.

SECONDA PARTE

Il Voto

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Eravamo rimasti a quel fatidico 21 Settembre 1631. Quel giorno, nel pieno infuriare della pestilenza, il popolo ovadese, i sacerdoti ed i reggenti della cosa pubblica si riunirono nella chiesa parrocchiale (che allora era ancora la vecchia parrocchia di San Sebastiano) e formularono un solenne voto, che adesso vi leggerò per esteso. Vorrei far notare che fino alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso questo testo veniva letto integralmente dal pulpito di questa chiesa tutti gli anni il giorno 8 Dicembre, ricorrenza della Festività. Si trattava di una tradizione molto bella, che ricordava agli Ovadesi quali fossero state le origini di una delle chiese da loro più amate; secondo me non sarebbe cattiva cosa se questa tradizione si potesse un giorno riprendere. Ecco il testo:
"L'anno 1631 giorno di Domenica 21 Settembre, nella Chiesa Parrocchiale di Ovada, solenne infra i sacri. Gli Ufficiali, Sindaci e Consiglieri del Comune di Ovada, coll'intervento del Capitano Stefano Odino Luogotenente Maggiore, del Sig. Pretore del predetto luogo ammalato, in legittimo e sufficiente numero adunati, e quelli che intervennero sono i seguenti: cioè i signori Giacobbe Negrino, Francesco Pescio, Giovanni Antonio Bavazzano, Ufficiali; i Signori Giovanni Gaviglio fu Francesco e Matteo Cabella Sindaci; ed i Signori Giovanni Vincenzo Tribone, Giovanni Stefano Lanzavecchia, Antonio Mainero, Giovanni Stefano Compalati, Antonio Barletto, Giacobbe Pescio, Domenico Bavazzano, Benedetto Battista Montano, Sebastiano Moizo, Antonio Ivaldi, Giovanni Pagliuzzo, Vincenzo Mazzucco, Giovanni Maria Mascera, Consiglieri.
Confessano che pei loro gravissimi peccati e di questo popolo, purtroppo pubblici, per giusto giudizio sono percossi ed afflitti con epidemico flagello, ma che d'altronde non ignorano che un cuore contrito ed umiliato, non è da Dio rigettato, ma che anzi Gesù Cristo Signor nostro colle braccia aperte sta sempre pronto ad abbracciare i penitenti, che a Lui fiduciosi ricorrono, e che invocano il Suo santissimo Nome; perciò detestano i loro trascorsi, e propongono di emendarsene, e di affatto cancellarli col Divino aiuto, e la grazia del Santo Spirito, che implorano sopra di essi, ed il predetto Popolo, e supplicano umilmente con ogni zelo, e colle più fervide preci, il Padre delle Misericordie e il Dio di ogni consolazione, acciò degnisi lor perdonare, e a tutto il Popolo, e che per i meriti della SS. Passione di N.S. Gesù Cristo, la implorata intercessione della Beatissima Vergine, di Lui Madre, si degni anco di benedire essi, detto Popolo, e di liberarli dal suddetto morbo pestilenziale. Al cui onnipotente Dio Padre e Figlio e Divin Paraclito, non che alla SS. Vergine, promettono e votano, alle mani del Molto Reverendo Padre Don Giovanni Battista Cassolino arciprete del sumenzionato luogo, toccate le sacre scritture, quanto segue:
Di celebrare da quinci innanzi, ed in perpetuo la festa della Concezione della SS. Vergine, e di curarsi che venga celebrata dal Popolo anzi detto coll'Autorità di Sua Eccell. Rev.ma il Vescovo di Acqui, e di edificare un tempio all'onore della medesima, in questo Borgo di Ovada, ovvero fuori, a loro arbitrio. Di celebrare in perpetuo le feste di San Sebastiano Martire, e di San Rocco Confessore, e di fare altresì che dette feste venghino celebrate dallo stesso popolo, colla precitata Autorità come sopra. Di far celebrare nei detti giorni della Concezione della SS. Vergine, e dei SS. Rocco e Sebastiano in tutti gli anni ed in perpetuo al loro rispettivo altare, il sacrosanto sacrificio con rito solenne, e questo celebrato, di fare una solenne processione, e che ad essa intervengano ed assistano tutti li confratelli di ogni oratorio di questo luogo, processionalmente ordinati, e finalmente di far precedere ciascun anno, ed in perpetuo alle singole festività della Concezione di Maria e dei SS. Rocco e Sebastiano il digiuno di tutto il Popolo, da osservarsi la vigilia di dette feste. Supplicano inoltre li predetti uffiziali, sindaci e Consiglieri, il Serenissimo Senato della Ser.ma Repubblica di Genova, ed il prelodato Vescovo di Acqui a voler degnarsi di approvare il voto dei supplicanti, e per esso interporre ed in miglior modo, la loro autorità.
Per me Michele Cassolino notaio, ecc. Presenti l'Ill.mo Signor Giovan Battista Grimaldo fu Maria Orazio, Commissario rappresentante per la prefata Ser.ma Repubblica, et il Signor Agostino Mainero, testimoni richiesti"
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Analizzando questo testo si scoprono alcune particolarità molto interessanti. La prima è che la costruenda chiesa rivestiva appieno le caratteristiche di "santuario"; la seconda è che, nello stesso documento, vengono istituzionalizzate altre due festività prettamente ovadesi, quella di San Rocco e di San Sebastiano, da celebrarsi con tutti gli onori necessari e con lo svolgimento di altrettante processioni. E' da dire che la tradizione della processione di San Rocco è stata rispettata fino all'anno 1974, anno in cui è stata effettuata per l'ultima volta. Una terza particolarità è che a queste celebrazioni doveva sempre essere presente il Vescovo, usanza che nel caso della Festa della Concezione della Vergine è ancora oggi in vigore.

La costruzione

Per arrivare all'inizio della costruzione della chiesa occorse però attendere che l'epidemia riducesse la sua intensità; nel frattempo si trovò il terreno su cui edificarla, che fu donato nel 1635 da un certo Gio Batta Solaro. Il terreno, allora usato a fini agricoli, si trovava nella località denominata "di San Bernardino" (dalla presenza di una cappella dedicata a tale Santo) ed il Solaro lo donò alla Municipalità riservandosi il diritto di far erigere all'interno della erigenda chiesa una cappella famigliare per la sepoltura sua e dei suoi eredi.
A proposito della cappella di San Bernardino, essa non è andata distrutta ma è stata inglobata in una costruzione più recente. Se voi andate a gustare un aperitivo (ma non ve lo consiglio) nel Bar che esiste qui a pochi passi (quello denominato "I Due Farabutti" e che era il vecchio "Bar Autostazione") vi troverete esattamente all'interno della antica cappella di San Bernardino. D'altra parte, se osservate con attenzione, vedrete che all'esterno di questa costruzione, al di sopra della pensilina che lo circonda, si possono ancora vedere i capitelli della facciata ed i resti ormai quasi scomparsi di un affresco.
Nel 1638, invece, Gio Batta Sciorato si impegna a far dipingere un quadro raffigurante la Madonna e San Giovanni Battista per la nuova chiesa, lasciando ai suoi eredi l'incombenza di provvedere "in perpetuo" a fornire di pallio e tovaglia il secondo altare di sinistra ed a far celebrare annualmente una santa messa.

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E così arriviamo al giorno 10 Giugno 1640, cioè nove anni dopo la formulazione del voto. In quel giorno fu eretta la croce "ante ostium ecclesiae" che solitamente si piazzava nel luogo ove si sarebbe poi aperta la porta della chiesa, fu posata la prima pietra e fu celebrata la prima messa. Alla cerimonia, celebrata con tutti gli onori ed alla presenza del Vescovo e delle Autorità Civili della città, prese parte anche il Padre Provinciale dell'Ordine dei Cappuccini, ai quali la Comunità aveva nel frattempo deciso di affidare l'officiatura del nuovo tempio.
Questa decisione fu presa in seguito ad una prima richiesta di far venire i Padri Cappuccini in Ovada formulata nel 1596, richiesta che a quei tempi non era andata a buon fine. A seguito del voto formulato, gli Ovadesi sollecitarono più volte l'Ordine Cappuccino fino a che il 13 Gennaio 1640 il Padre Provinciale decise di acconsentire, ed è così che il 20 Settembre 1640 fece il suo ingresso in Ovada il primo nucleo di tre Padri Cappuccini, di cui sappiamo i nomi. Si trattava di Padre Girolamo, Padre Deodato Lando da Genova e Padre Gabriele da Voltri, che si stabilirono provvisoriamente in alcuni locali vuoti dell'ospedale di S.Antonio. Purtroppo questi locali, che erano stati occupati negli anni precedenti da malati di peste, risultarono ancora parzialmente infetti ed uno dei Padri, Padre Deodato Lando da Genova, si ammalò e, riportato a Genova, vi morì dopo qualche mese, nel Gennaio dell'anno seguente. Per questi motivi, la Municipalità ovadese decise di trasferire i Padri dai locali dell'ospedale ad altri locali più salubri, ubicati nella "contrada Voltinee" (l'attuale via Voltegna) ed affittati da proprietario, tale Giacomo Odicini.
Nel contempo, mentre i Padri Cappuccini iniziavano la loro opera di religione e di assistenza, che consisteva nel conforto degli ammalati presso l'ospedale, si iniziarono anche i lavori di costruzione della chiesa, che furono affidati a due "fabrimurari" (muratori), i fratelli Gio Antonio e Giacomo Montina. Ovviamente, come era di prassi a quell'epoca, la gran parte dei materiali da costruzione vennero procurati dalla popolazione, che oltre a reperirli ne curò anche il trasporto presso il luogo di costruzione. Dalle cronache del tempo risulta che tutti gli Ovadesi contribuirono, in varia misura ma sempre con dedizione ed entusiasmo, a fornire pietre e sabbia raccolti dal greto dei torrenti, chiodi, legname e tutto il materiale necessario all'erezione della chiesa. Oltre a questo, diversi Ovadesi allora benestanti effettuarono cospicue donazioni.
Nel 1642 la Nobildonna Domenica Dorotea Beraldi donava alla nuova chiesa un vasto appezzamento di terreno adiacente coltivato a prato ed alberi di gelso. Lorenzo Scasso consente ai Padri Cappuccini di costruire una fontana in un suo terreno adiacente; alcune persone lasciano notevoli donazioni in denaro a fronte dell'impegno della celebrazione annuale ed in perpetuo di sante messe; altre persone si impegnano a fornire olio per le Sacre Lampade della chiesa e, infine, curiosità tipica di quell'epoca, il Marchese di Silvano d'Orba, Alessandro Botta Adorno, si impegna a privarsi di una pietanza alla settimana per donarne l'equivalente in denaro alla nuova chiesa.

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Trascorrono così più di vent'anni ed arriviamo al 26 Marzo 1662, quando il Vescovo di Acqui Terme, Mons. Ambrogio Bicuti, provvede alla consacrazione del nuovo tempio, ormai ultimato. La lapide di ricordo della celebrazione è murata là in fondo a sinistra della porta di entrata e riprende in toto quanto previsto dal voto fatto nel 1631, compresa la caratteristica di istituire la nuova chiesa come Santuario, comprendendo la possibilità di concessione di un'indulgenza di 40 giorni a tutti coloro che la visitino ogni anno nel giorno della sua consacrazione, cioè il 26 Marzo. E così inizia la vita della nuova chiesa, voluta dagli Ovadesi e da essi realizzata. Si tratta di una chiesa modesta ma molto cara alla cittadinanza, che la frequenta con assiduità, fede ed attenzione alle sue esigenze e necessità. Nel 1676 viene costruito un piccolo campanile, nel 1690 viene riparato il tetto distrutto da una tromba d'aria, nel 1704 viene riparata la volta del coro danneggiata da un terremoto e nel 1732 verrà ricostruito il terrazzo di volta ed alcune murature del convento adiacente. Tutti questi interventi saranno sempre a carico della Municipalità Ovadese, sempre vicina alla chiesa ed ai Padri Cappuccini e custode della volontà popolare che aveva voluto fortemente l'erezione di questo Santuario mariano. Così appariva il complesso conventuale dei Cappuccini (da una stampa dell'epoca) nel 1719:

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Ma i tempi cambiano velocemente, ed arriviamo così all'Anno del Signore 1798.

TERZA PARTE

Dal 1800 ad Oggi

Siamo arrivati all'anno 1798. L'Europa intera sta vivendo un periodo molto complicato e destabilizzante poiché le idee di Libertà, Uguaglianza e Fraternità che avevano dato origine alla Prima Rivoluzione Francese di nove anni prima si stavano propagando in tutto il Vecchio Continente anche grazie alle campagne militari che il futuro Imperatore dei Francesi, Napoleone Buonaparte, stava conducendo con grande successo (la prima Campagna d'Italia si era svolta soli due anni prima).
In seguito a queste vicende, che peraltro vedevano il territorio dell'Ovadese percorso ed occupato a turno dalle truppe ora Francesi ora Austriache, anche in Genova il potere si era trasferito dalla vecchia repubblica "Serenissima" ed oligarchica, alla nuovissima (costituita il 14 Giugno dell'anno precedente 1797) repubblica "Democratica", che aveva tolto ogni potere alla nobiltà ed al clero, abolendo tutte le vecchie istituzioni civiche ed affidando i poteri amministrativi ad una "Commissione di Governo". Di conseguenza, anche in Ovada (che dipendeva amministrativamente da Genova) le vecchie istituzioni vennero sostituite con altre nuove, composte da cittadini eletti e nominati dal popolo. E' curioso vedere come anche in questo frangente, durante il quale furono aboliti tutti i titoli nobiliari, tutti i privilegi di casta e di censo e degli Ordini Religiosi, in Ovada nessuno pensò mai neppure lontanamente ad abolire il convento dei Padri Cappuccini e neppure a scacciare gli stessi dalla citta; essi continuarono a svolgere la loro opera di carità ed assistenza ai malati ed ai bisognosi sia nell'ambito della città e del suo territorio che all'interno dell'ospedale.

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Questo fino al 25 Aprile 1810 quando Napoleone, allora Imperatore dei Francesi, Re d'Italia, Protettore della Confederazione del Reno e Mediatore della Confederazione Svizzera, emanò il famoso Decreto di soppressione degli Enti Ecclesiastici con il quale venivano soppressi tutti "gli stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunìe ed associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione" con la sola eccezione del clero secolare. Il decreto prevedeva inoltre il divieto di vestire gli abiti degli Ordini aboliti e prevedeva anche che tutti i religiosi forestieri venissero rimandati ai Paesi di appartenenza.
E così, a causa di un Imperatore, accadde anche in Ovada quello che non erano riusciti a fare neppure i Rivoluzionari, cioè la soppressione e chiusura dei due Conventi (quello dei Domenicani e quello dei Cappuccini) e l'allontanamento forzato dei religiosi che li occupavano.
Il decreto di soppressione fu notificato il 23 Settembre ed il 15 di Ottobre le chiese ed i conventi furono chiusi ed i loro occupanti forzatamente allontanati. Per ciò che riguarda i Padri Cappuccini, sappiamo i nomi di queste persone. Esse erano il Padre Guardiano Gian Tomaso da Sassello, Padre Agostino Basso di Ovada, Padre Giuseppe da Castelletto, Padre Soldi -anche lui ovadese-, Padre Mattia da Genova e due fratelli terziari, Frate Andrea e Frate Mauro di Roccagrimalda. Assieme a loro vennero anche allontanati i due addetti alle cure dalla chiesa e dell'orto, di nome Lazzaro ed Antonio, entrambi di Voltri.
La chiesa ed il convento vennero chiusi e tutti gli arredi, le suppellettili ed anche i paramenti sacri e perfino le campane vennero confiscati e venduti alla pubblica asta. Risulta, a questo proposito, che uno dei maggiori acquirenti di quest'asta fu il Parroco di quel tempo, Don Antonio Compalati, il quale riuscì ad aggiudicarsi moltissimo materiale pagando sia con le dotazioni parrocchiali che con soldi personali, riuscendo a salvarlo dalla dispersione e conservandolo nella nuova chiesa parrocchiale, che era stata ultimata ed aperta al culto pochi anni prima.

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Nel 1815, a seguito della caduta di Bonaparte e del Congresso di Vienna, Ovada passò sotto il Piemonte ed una delle primissime cose che fece la nuova Municipalità fu quella di rivolgere al Re un'accorata supplica al fine di poter ottenere il ritorno dei Padri Cappuccini nella città. Questa supplica ebbe successo e così il 23 Maggio 1816 -giorno dell'Ascensione- i Padri Cappuccini rientravano in Ovada e nel loro convento, accolti in modo trionfale dalla popolazione; per l'occasione su svolse una solenne processione di ringraziamento che vide la statua dell'Immacolata portata a spalla attraverso tutta la città, sia nel borgo nuovo che in quello vecchio, mentre moltissimi Ovadesi lasciarono cospicue offerte e donazioni per la chiesa che riprendeva l'attività.
Negli anni seguenti i Padri Cappuccini si dedicano al ripristino della chiesa e dei locali del convento, che nel frattempo erano stati fortemente deteriorati con il fattivo e sempre entusiasta contributo della popolazione e ben presto sia la chiesa che i Padri ripresero pienamente la loro solida presenza nella città, intensificando l'azione di carità e di assistenza nei confronti di tutti; questa loro intensa ed assidua opera nei confronti dei poveri, dei malati e delle fasce più deboli della popolazione (che a quei tempi erano la stragrande maggioranza) fece loro guadagnare l'appellativo di "Frati del popolo". In questi anni vennero anche restituiti alla chiesa gli arredi e le suppellettili che erano stati acquistati a suo tempo all'asta dalla Parrocchia e da diversi privati che li avevano conservati.
A quell'epoca, il complesso conventuale dei Cappuccini di Ovada si presentava, pressappoco, così:

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Trascorsero così alcune decine di anni fino a che, nel 1866, entrarono in vigore -questa volta votate dal Parlamento Italiano- le cosidette "leggi eversive", che portarono per la seconda volta alla soppressione dei conventi. Queste leggi, promulgate nel Luglio 1866 e, in seguito, nell'agosto dell'anno seguente, avevano ufficialmente lo scopo di evitare che gli Enti Ecclesiastici conservassero le loro proprietà (chiese, terreni, opere d'arte, ecc.) nei secoli, promuovendone la libera circolazione, cioè il passaggio di proprietà. In realtà lo scopo di queste leggi era quello di privare la Chiesa e gli Enti Ecclesiastici dei loro beni, avocandone la proprietà allo Stato. Si deve dire che in quei primi anni del novello Stato Italiano il contrasto politico con il Vaticano era molto forte e quest'atto di forza rientrava politicamente tra le azioni di ostilità nei confronti non tanto della religione, quanto del potere temporale che la Chiesa a quei tempi ancora conservava e che vedeva schierata dalla sua parte una buona parte della società borghese italiana. Sta comunque di fatto che con queste leggi tutti i beni di diversi Enti Ecclesiastici (tra cui i Cappuccini) passarono in proprietà dello Stato (e, nelle realtà locali come Ovada, in proprietà dei Comuni). Fu così che chiesa e convento divennero proprietà del Comune, il quale continuò a farla officiare per un certo tempo da due Padri Cappuccini che, però, avevano solamente l'incarico di celebrare la Santa Messa. A queste condizioni il Capitolo genovese dei Padri Cappuccini, dopo qualche tempo, decise di ritirare i due Padri e la chiesa rimase senza officiatura, nonostante l'Amministrazione comunale insistesse per mantenerli. Anche in questa decisione da parte del Capitolo Genovese dei Cappuccini si può cogliere una specie di "ritorsione" politica nei confronti dello Stato italiano. Insomma, possiamo dire che questa chiesa fu anch'essa, nel suo piccolo, un pretesto di contrasto nell'ambito di una lotta politica a livello nazionale che in quegli anni era veramente fortissima.
Il Comune cercò di correre ai ripari nominando dei cappellani. Dapprima questi cappellani venivano votati dai componenti dell'Amministrazione e subito si verificarono contrasti insanabili. Dopo un paio di cappellani nominati e subito dopo rimossi (in uno di questi casi la nomina venne addirittura annullata dal Re dietro ricorsi e controricorsi presentati dalle diverse parti in causa), la chiesa rimase tristemente chiusa fino a che, nel 1914, venne finalmente nominato un cappellano gradito a tutti (era nel frattempo cambiato l'orientamento del Consiglio Comunale) e che era un Padre Cappuccino, Cherubino Anfosso da Isolabona, il quale, comunque, aveva solo l'incarico di celebrare la Messa negli orari stabiliti dal Comune e che fu costretto a rinunciare allo stipendio elargitogli dal Comune (cinquecento Lire all'anno) a favore delle opere pubbliche di assistenza.
Nel frattempo, però, i Cappuccini avevano lavorato, con ottimi risultati, al progetto, che avevano messo in cantiere già nel 1894, della costruzione di una nuova chiesa e di un convento tutto per loro sulla collina delle Cappellette.
In effetti il promotore, anche finanziariamente, di questo progetto fu Padre David Bruno da Chiavari, che aveva trascorso diversi anni in America Latina e che, ritornato in patria con una discreta fortuna là accumulata, con quei soldi decise di far progettare dall'Arch. Pesce una nuova chiesa ed un nuovo convento per la città di Ovada in modo che i Padri Cappuccini potessero nuovamente avere un tempio da officiare ed un luogo dove poter abitare per riprendere quelle attività che gli Ovadesi, nonostante le forti contese politiche di quegli anni, sempre desideravano e che spesso reclamavano mediante petizioni e richieste.
E così, mentre in Ovada la chiesa dei Cappuccini saltabeccava tra cappellani rimossi, periodi di chiusura e situazione di crescente degrado, sulla collina delle Cappellette sorgeva una nuova chiesa ed un nuovo convento, che furono benedetti ed inaugurati dal vescovo di Acqui Terme il 25 Giugno 1905, dove i Cappuccini si installarono quasi subito. Eccoli qui:

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Negli anni seguenti la situazione politica sia a livello nazionale che locale si stabilizzò e tra il Comune e l'Ordine Cappuccini ripresero e si intensificarono i contatti per fare in modo che i "Frati del Popolo" ritornassero nella chiesa che avevano officiato per tanto tempo e che tanto cara rimaneva a tutti gli Ovadesi. I primi frutti di questi contatti si ebbero nel 1917, quando il Cappuccino Padre Silvio da Garessio fu nominato Cappellano della chiesa e dopo due anni, nel 1919, i Cappuccini ritornarono ad occupare il vecchio convento di quella che allora era chiamata ufficialmente "Contrada dei Cappuccini" e che oggi si chiama Piazzetta dei Cappuccini. Contemporaneamente i Frati cominciarono a trattare la cessione del nuovo convento e della chiesa sulle Cappellette alla Congregazione Passionista, cessione che si formalizzò nel 1922 quando nella struttura entrarono le Suore Passioniste di Clausura (che la occupano ancora oggi) ed i Cappuccini riscattarono -rientrandone in possesso- la vecchia struttura cittadina.
Da allora è storia nota che gli Ovadesi più anziani ancora ricordano e la cui memoria è ancora assai presente. Ecco una veduta della zona di quel periodo:

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Negli anni seguenti la chiesa venne dapprima rinnovata e poi, anche a seguito di un incendio che la distrusse parzialmente nel 1933, rifatta nelle linee architettoniche che ancora oggi possiamo vedere. Anche in questa occasione, come era sempre successo nei secoli passati, la popolazione Ovadese -ed anche il Comune- contribuirono in modo sostanziale alla realizzazione delle nuove opere, che furono affidate all'impresa Peruzzi (che praticamente eseguì i lavori a prezzo di costo) mentre un grande contributo fu dato da Giovanni Battista Scorza (allora uno dei più rinomati mobilieri della città) che fornì il materiale ligneo necessario. Qui vediamo come appariva la chiesa ricostruita:

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Da allora la chiesa ed il convento sono stati un punto fermo nella devozione e nella religiosità degli Ovadesi, che in questo tempio trovarono conforto, accoglienza ed aiuto anche negli anni più bui del secondo conflitto mondiale grazie all'opera dei Padri Cappuccini che la officiavano.
Rimane l'ultimo capitolo, che si apre nei primi Anni Settanta del secolo scorso, quando una parte del terreno adiacente alla chiesa ed al vecchio convento venne ceduta per la costruzione del palazzo ora confinante. In quell'occasione venne proposto ed attuato il progetto per la realizzazione di un nuovo convento, da edificarsi in sostituzione di quello vecchio la cui area era stata ceduta, e dell'ampliamento della chiesa, che fino ad allora era sprovvista della navata sinistra.
Il progetto, firmato dall'Ing. Emilio Parodi di Genova, fu realizzato dall'impresa edile ovadese di Ugo Carosio, che ricordiamo personalmente in diverse occasioni durante le interminabili e spesso accese discussioni che ebbe con Padre Nazario da Arenzano, che allora seguiva molto da vicino la realizzazione dell'opera e che spesso proponeva al Carosio idee che stravolgevano i suoi piani ma che, realizzate a regola d'arte e nel migliore dei modi grazie alla grande disponibilità di tutti, hanno reso possibile avere la struttura moderna, confortevole ed architettonicamente molto bella che possiamo apprezzare oggi. Dobbiamo doverosamente ricordare, anche in questo caso, il grande contributo che diedero alla realizzazione dell'opera l'Ing. Rinaldo Tagliafico e l'Arch. Giuse Scorza, che anch'essi possono essere annoverati a pieno titolo tra i progettisti ed i realizzatori di questa realtà che ci è sempre molto cara ed a cui gli Ovadesi di oggi, nonostante tutto, rimangono profondamente attaccati.
Nella lapide che vedete qui sono ricordate sia la ricostruzione del 1933 che i lavori del nuovo convento del 1974:

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Da qualche decennio, purtroppo, anche a causa della crescente carenza di vocazioni e della progressiva e massiccia secolarizzazione della società, ampiamente denunciata dal nostro Pontefice Emerito Benedetto XVI, anche la chiesa dei Cappuccini ha risentito della mancanza di sacerdoti, ed è con molto affetto che voglio ricordare qui l'ultimo Padre Cappuccino che ha fatto da baluardo fino all'ultimo in questo avamposto della fede, Padre Giancarlo da Ovada, al secolo Lelio Barboro, di cui tutti gli Ovadesi serbano un commosso ed affezionato ricordo.
Dopo la sua morte la chiesa è rimasta chiusa, come già tante volte nel passato, senza frati ed il convento desolatamente vuoto, e -lo dico per me- è assai desolante passare davanti alla porta chiusa della chiesa e non poter entrare a recitare una preghiera o anche solo per un breve momento di raccoglimento.
Da qualche mese però, sembra che sia aperta una nuova speranza di riavere la nostra chiesa dei Cappuccini attiva ed officiata come gli Ovadesi la ricordano e la vogliono. Questo grazie alla disponibilità dei Padri Cappuccini nel mettere a disposizione il convento per ospitarvi le Suore Ospitaliere della Misericordia, che -come tutti sanno- svolgono la loro opera all'interno del nostro Ospedale. Questo farà in modo che il convento stia riprendendo vita e la chiesa sia stata, anche se parzialmente, riaperta al culto ed alla normale frequentazione.
A questo si deve aggiungere un importante progetto di solidarietà sociale, ormai a buon punto di attuazione, che consisterà nella realizzazione all'interno della struttura conventuale, di una foresteria per offrire accoglienza temporanea a quei malati -ed ai loro famigliari- che non possano sostenere le spese di un alloggio in loco o che per le condizioni di salute non abbiano la possibilità di rientrare al loro domicilio durante il ciclo di cura.
Si apre quindi un nuovo tempo di attività e di servizio agli altri per questa chiesa, così come era stato fin dall'inizio e così come è stato per quasi quattro secoli.
Concludo ricordando come, qualche anno fa, in occasione della ripubblicazione di un articolo di mio padre relativo a questa chiesa, scrivevo in calce:
Si ripropone, quindi, ancora una volta la situazione che per altri motivi si era presentata in passato: la mancanza di religiosi di questo Ordine in Ovada, la chiusura della chiesa e l'abbandono del convento. Se allora la popolazione e le autorità avevano preso a cuore la situazione, adoperandosi per il ritorno dei Cappuccini nella città, oggi il problema si rivela di più difficile soluzione e gli Ovadesi di oggi non ricordano -o non sanno- i motivi per cui i loro antenati avevano voluto l'edificazione di questa chiesa e la presenza dei Cappuccini in Ovada. Vedremo se il futuro ci riserverà un nuovo periodo di attività di questa nostra istituzione oppure se, come in tanti altri casi -neppure troppo distanti- ci ritroveremo all'interno di una ex-chiesa per bere un aperitivo in compagnia.
Oggi, qui con voi e vista l'evoluzione della situazione, sono contento di poter dire che l'aperitivo ce lo andremo a bere da un'altra parte.
Grazie.

AGGIORNAMENTO al 26 Marzo 2020

Oggi, 26 Marzo 2020, si compie il 358° anniversario della Consacrazione della chiesa. Rispetto alla data della conferenza, ci sono state alcune variazioni. Le Suore Ospitaliere della Misericordia hanno terminato il loro periodo di servizio presso l'Ospedale Civile di Ovada ed hanna lasciato il convento. Nei locali hanno preso sede operativa due Associazioni di Volontariato Oncologico, Associazione Vela Onlus e Fondazione CIGNO Onlus. La chiesa, grazie alla volontà della Provincia Ligure dei Padri Cappuccini di Genova (proprietaria della chiesa e del convento), ha ripreso la sua attività liturgico-religiosa e vi si svolgono le Messe Domenicali e Festive (attualmente sospese a causa della grave epidemia di Covid19 che ha colpito tutto il territorio nazionale), ivi comprese le celebrazioni tradizionali dell' 8 Dicembre per la Festività dell'Immacolata Concezione, in occasione delle quali già da alcuni anni si svolgono anche manifestazioni musicali (concerti spirituali) di grande pregio. Grazie all'interessamento ed al lavoro di molti volontari, inoltre, sono stati eseguiti e sono tuttora in programma alcuni lavori di sistemazione e riparazione mentre nel refettorio si sono svolte diverse "cene di solidarietà" organizzate dalle associazioni di volontariato per il finanziamento di iniziative volte al sostegno dei malati oncologici e dei loro famigliari.

RINNOVO DEL VOTO CONTRO LA PESTE - 25 Marzo 2020

Nella difficilissima situazione mondiale determinata in questo periodo dalla grande diffusione del Virus SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2), comunemente denominato "Covid19", il giorno 25 Marzo 2020, ricorrenza dell'Annunciazione del Signore, la Città di Ovada e la sua popolazione, rappresentate dal Parroco, MM.RR.Sac. Maurizio Benzi, dal Sindaco Sig. Paolo Lantero e dal Vice Sindaco Dott.ssa Sabrina Caneva, hanno voluto, in questa chiesa dopo 389 anni dal voto originario, rinnovare il voto alla Santa Vergine, chiedendone l'intercessione affinché la città venga alleviata dalle sofferenze causate da questa moderna e gravissima pestilenza ed affinché la carità di N.S. Gesù Cristo porti aiuto, conforto, consolazione e speranza a tutti. Di seguito alcune fotografie (Copyright "La Stampa").

 Rinnovo Voto 2020

 Rinnovo Voto 2020

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