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I Cappuccini e il Santuario Mariano dell'Immacolata Concezione
Il testo integrale


Sono passati oltre tre secoli da quel lontano 20 Settembre 1640 nel quale i primi Padri Cappuccini arrivano in Ovada, inviati dal Padre Provinciale di Genova: "...mandati dai Superiori a stare nella terra di Ovada dove si doveva dare principio al nuovo convento...".
Quando questi primi frati giunsero nel nostro Borgo, la chiesa - della quale si erano appena tracciati i confini - era ancora allo stato di progetto e, soltanto tre mesi prima, il 10 Giugno 1640, era stata innalzata - da Mons. Felice Crova Vescovo di Acqui, assistito dal Padre Francesco Maria da Genova, Provinciale Cappuccino - la croce "ante ostium ecclesiae" e posta la prima pietra delle fondamenta sul luogo dove avrebbe dovuto sorgere in seguito l'altare maggiore.
La decisione di innalzare una nuova chiesa in Ovada è legata ad un triste periodo di calamità naturali che, la nostra allora piccola cittadina, aveva attraversato anni prima ed ancora stava attraversando per causa di guerre, carestie e conseguenti epidemie di peste, ricorrenti ed endemiche in quei tempi e derivanti le une dalle altre.
Già nel 1625 una grave mortalità si era verificata in Ovada, causata da fame e carestia per la guerra che allora si combatteva tra Genova e il Ducato di Savoia e, che in queste zone, aveva fatto gran danno. Il Registro dei morti di tale anno 1625 li riporta in numero di 257, con una elevatissima percentuale di bambini e vecchi. La cifra è veramente enorme per un paese di poche migliaia di anime e ci conferma l'estrema indigenza delle popolazioni.
Nei sei anni susseguenti, qualche caso di peste si era verificato qua e là per il borgo e nelle campagne, finchè nell'anno 1631 l'epidemia scoppiò con violenza e mortalità tali che le autorità genovesi dovettero inviare appositamente in Ovada un Commissario di Sanità per coordinare e sovrintendere a tutti quei servizi necessari alla tutela della salute pubblica.
L'Eccellentissimo Signor Gio Francesco Mercanti (tale era il nome del funzionario che gli atti di archivio ci hanno tramandato) era un uomo che certamente ci sapeva fare e non andava troppo per il sottile nel prevenire e reprimere sul nascere ogni caso di cui venisse a conoscenza. Il Senato genovese, naturalmente, gli aveva impartito ordini precisi, anche in considerazione che il traffico molto attivo tra Ovada e Genova potesse dare adito all'entrata nella città di portatori di contagio. E, forse, fu proprio questa estrema diligenza dell'esimio Commissario nell'imprigionare in casa le persone sospette, nel bruciare le robe e nello abbrustolare le case, che limitò l'espandersi di una epidemia che avrebbe potuto fare ben altro numero di vittime.
Gli ovadesi, in questi tragici frangenti, attoniti di fronte a tanti patimenti, a tante morti, a tanta miseria; frustrati nelle loro speranze terrene ma confidenti nella clemenza celeste, pronunciarono allora uno splendido atto di fede votando la costruzione di una nuova chiesa da dedicarsi alla Concezione della B.V. Maria.
Non possiamo fare a meno di riportare interamente, nella sua stesura originale, il rogito di questo sacro impegno che tutta la popolazione ovadese volle - radunata nella parrocchiale di S. Sebastiano - per impetrare la protezione divina sulla nostra città:

"L'anno 1631 giorno di Domenica 21 Settembre, nella Chiesa Parrocchiale di Ovada, solenne infra i sacri.
Gli Ufficiali, Sindaci e Consiglieri del Comune di Ovada, coll'intervento del Capitano Stefano Odino L.T.M. del Sig. Pretore del predetto luogo ammalato, in legittimo e sufficiente numero adunati, e quelli che intervennero sono i seguenti: cioè i signori Giacobbe Negrino, Francesco Pescio, Giovanni Antonio Bavazzano, Ufficiali; i Signori Giovanni Gaviglio fu Francesco e Matteo Cabella Sindaci; ed i Signori Giovanni Vincenzo Tribone, Giovanni Stefano Lanzavecchia, Antonio Mainero, Giovanni Stefano Compalati, Antonio Barletto, Giacobbe Pescio, Domenico Bavazzano, B. B. Montano, Sebastiano Moizo, Antonio Ivaldi, Giovanni Pagliuzzo, Vincenzo Mazzucco, Giovanni Maria Mascera, Consiglieri.
Confessano che pei loro gravissimi peccati e di questo popolo, purtroppo pubblici, per giusto giudizio sono percossi ed afflitti coiu epidemico flagello, ma che d'altronde non ignorano che un cuore contrito ed umiliato, non è da Dio rigettato, ma che anzi Gesù Cristo Signor nostro colle braccia aperte sta sempre pronto ad abbracciare i penitenti, che a Lui fiduciosi ricorrono, e che invocano il Suo santissimo Nome; perciò detestano i loro trascorsi, e propongono di emendarsene, e di affatto cancellarli col Divino aiuto, e la grazia del Santo Spirito, che implorano sopra di essi, ed il predetto Popolo, e supplicano umilmente con ogni zelo, e colle più fervide preci, il Padre delle Misericordie e il Dio di ogni consolazione, acciò degnisi lor perdonare, e a tutto il Popolo, e che per i meriti della SS. Passione di N.S. Gesù Cristo, la implorata intercessione della Beatissima Vergine, di Lui Madre, si degni anco di benedire essi, detto Popolo, e di liberarli dal suddetto morbo pestilenziale.
Al cui onnipotente Dio Padre e Figlio e Divin Paracleto, non che alla SS. Vergine, promettono e votano, alle mani del M.R.P. D.Giovanni Battista Cassolino arciprete del sumentovato luogo, toccate le sacre scritture, quanto segue:
Di celebrare da quinci innanzi, ed in perpetuo la festa della Concezione della SS. Vergine, e di curarsi che venga celebrata dal Popolo anzi detto coll'Autorità di Sua Eccell. Rev.ma il Vescovo di Acqui, e di edificare un tempio all'onore della medesima, in questo Borgo di Ovada, ovvero fuori, a loro arbitrio.
Di celebrare in perpetuo le feste di San Sebastiano Martire, e di San Rocco Confessore, e di fare altresì che dette feste venghino celebrate dallo stesso popolo, colla precitata Autorità come sopra. Di far celebrare nei detti giorni della Concezione della SS. Vergine, e dei SS. Rocco e Sebastiano in tutti gli anni ed in perpetuo al loro rispettivo altare, il sacrosanto sacrificio con rito solenne, e questo celebrato, di fare una solenne processione, e che ad essa intervengano ed assistano tutti li confratelli di ogni oratorio di questo luogo, processionalmente ordinati, e finalmente di far precedere ciascun anno, ed in perpetuo alle singole festività della Concezione di Maria e dei SS. Rocco e Sebastiano il digiuno di tutto il Popolo, da osservarsi la vigilia di dette feste.
Supplicano inoltre li predetti uffiziali, sindaci e Consiglieri, il Serenissimo Senato della Ser.ma Repubblica di Genova, ed il prelodato Vescovo di Acqui a voler degnarsi di approvare il voto dei supplicanti, e per esso interporre ed in miglior modo, la loro autorità.
Per me Michele Cassolino notaio, ecc. Presenti l'Ill.mo Signor G.B.Grimaldo fu M. Orazio, Commissario rappresentante per la prefata Ser.ma Repubblica, etl il Signor Agostino Mainero, testimoni richiesti".


Il testo di questo voto solenne veniva, ancora non molti anni or sono, letto ogni anno, nel giorno dell'8 Dicembre, dal pulpito della Chiesa stessa. Ci auguriamo che questa consuetudine che ci ricorda l'antica e profonda fede degli ovadesi di quel tempo, venga ripresa.
Le difficoltà contingenti del momento erano pero tali che l'inizio vero e proprio della costruzione si protrasse fino ai primi mesi del 1640.
In questo lasso di tempo e precisamente nel 1637 qualche altro caso di peste si verifica nei paesi circostanti ed in quasi tutta la Liguria, così che si riprendono le più rigorose misure di prevenzione. Francesco Cattaneo, Commissario di Sanità nel luogo di Ovada, per evitare che il morbo penetri anche nel nostro borgo, ordina una estrema vigilanza alle porte e proibisce, con suo decreto del 18 Settembre 1637, " ...ogni radunanza per giuoco nelle loggie, botteghe e ridotti dove suolsi giuocare a carte e dadi sotto pena di due anni di galera tanto ai giuocatori quanto ai padroni delle loggie, case, botteghe, negozi ed altri luoghi dove si giuocherà. Dalla quale pena però possono esimersi pagando lire cento entro tre giorni dopo la sentenza, altrimenti s'intenderà, dopo i tre giorni essere incorsi in detta pena di galera...".
E' naturale che in questa situazione di tensioni, di preoccupazioni e di persistente indigenza, l'inizio della fabbrica della chiesa vada per le lunghe.
Finalmente si decide di dare inizio ai lavori e si pensa altresì di affidare l'officiatura del nuovo tempio che sorgerà ai Padri Cappuccini, ritenendoli i più adatti e stimandoli anche, dati i tempi che correvano, i più idonei ad esercitare quel ministero dì carità e di assistenza spirituale e materiale che l'epoca richiedeva.
Dobbiamo tenere presente, a questo proposito, che già nel 1596 la Magnifica Comunità di Ovada aveva proposto ai Cappuccini genovesi di stabilirsi in Ovada, offrendo loro la Chiesa di S. Antonio con l'attiguo terreno e con il regalo di una cascina oltre Stura, purchè si fabbricassero il convento. Le trattative, condotte in Genova dall'ovadese Bartolomeo Maineri, non ebbero per allora successo e, soltanto il 13 Gennaio 1640, il Capitolo provincializio dell'Ordine, sollecitato da altre richieste della Comunità di Ovada, decide di mandare i suoi frati nel nostro borgo.
Ecco perchè il 10 Giugno 1640, troviamo il Padre provinciale cappuccino, insieme al Vescovo di Acqui, nella posa della prima pietra e nell'innalzamento della Croce. Le cronache ovadesi del tempo ci precisano che: " nella domenica prossima del Corpus Domini si piantò la Croce della Chiesa dei PP. Cappuccini e vi si disse, in quel punto (ante ostium ecclesiae) la prima Messa. Il Vescovo portava il SS.mo con l'intervento degli Uffiziali della Comunità che erano i Signori Paolo Mainero, Gio Batta Pizzorno e Antonio Basso... ".
Ed infine, come già detto, in Settembre, il giorno 20, giunse il primo nucleo di frati: Padre Girolamo, Padre Deodato Lando da Genova, Padre Gabriele da Voltri ed altri sacerdoti e laici Il problema dell'alloggio di questi frati - in attesa della costruzione del convento - fu risolto ospitandoli temporaneamente in certi locali vuoti dell'Ospedale di S. Antonio; locali certamente malsani e: " ...non purgati bene dalle infezioni passate degli infermi che vi erano stati, sì che il Padre Deodato s'infermò, come accadde ad altri frati, ebbe forte febbre e fu curato con carità, procurando quel popolo a lui e agli altr il bisognevole. Trasportato poi in Genova si aggravò e morì il 29 Gennaio 1641... ".
Dobbiamo però dire che gli ovadesi si preoccuparono subito di migliorare l'abitazione di questi primi frati, perchè la Magnifica Comunità di Ovada, in data I Gennaio 1641, affitta da certo Giacomo Odicini una sua casa posta in "Contrada Voltinae pro usu habitatione R. fratrum capucinorum" per la non indifferente somma di sette doppie d'oro di Spagna.
Risolto in questo modo pratico il problema della casa, questi religiosi danno inizio alla loro specifica missione che è quella di innalzare, in accordo con la Comunità ed il popolo ovadese, chiesa e convento.
L'impresa costruttiva è affidata ai fratelli Gio Antonio e Giacomo Montina q. Giuseppe "fabrimurarius" che si impegnano di "...fabbricare le muraglie, la volta e il tetto della chiesa che dalla Comunità di Ovada si è principiata sotto il titolo della Concezione nella contrada di S. Bernardino, bene, perfettamente come si conviene a buoni maestri, e la muraglia di palmi due di larghezza però sgreza, e continuare detta fabbrica sinchè sia finita, escluso però in tempo d'inverno, in tempi cattivi nei quali non si può lavorare, provedendo detti signori Officiali, a spese di detta Comunità, pietre, calcina, mattoni, legnami, ferramenti, chiodi e ogni altra materia necessaria per detta fabbrica in modo che detti maestri abbiano a mettere solo la loro opera e fatica... ".
L'opera di costruzione vera e propria ha così inizio il 16 Agosto 1641 e i nostri frati si mettono, infaticabili, a girare terre, colline, paesi e castelli del circondario per raccogliere materiale e fondi per l'erigenda fabbrica. La Comunità e il popolo ovadese, per parte loro, concorrono tutti con entusiasmo donando terreni, materiali e denaro, ma sopratutto prestando la loro opera manuale nel trasporto di legnami, di pietre e sabbia che raccolgono nei greti dei due fiumi e che, processionalmente, cantando inni sacri, trasportano sul luogo del lavoro.
Le fatiche dei reverendi Padri non si limitano però soltanto alle cure della fabbrica, ma si compendiano in un diuturno ed instancabile ministero di carità che essi svolgono particolarmente nell'Ospedale S. Antonio di Ovada, dove si prodigano nella cura degli infermi e di molti soldati ammalati o feriti nel corso della intercorrente guerra. In questa pietosa opera si distinguerà particolarmente Padre Gabriele da Voltri che, contagiato egli stesso, si ammalerà e morirà giovane di 38 anni e verrà sepolto, il 30 Gennaio 1643, tra le mura della nuova chiesa ancora in costruzione.
Frattanto la fabbrica del tempio e dell'attiguo convento prosegue. Fare un elenco oggi dei benefattori e dei donatori che concorsero alla sua edificazione ed al suo arredamento sarebbe impossibile. Citiamo soltanto alcuni esempi tratti dai rogiti notarili del tempo:
già il 25 Luglio 1635, Gio Batta Solaro, ispirandosi al voto popolare di quattro anni prima, con rogito dal Notaio Agostino Richelmì, dona alla Comunità l'area dove fabbricare la chiesa: "...D. Jo Bap.ta Solaris q. Jacobi de loco Uvadae, ob devotionem quam habet erga B. Virginem Mariam... donavit, dedit et concessit officialibus M. Com. Uvadae situm existentem in terra prativa et arativa, extra burgum dicti loci Uvadae in loco dicto S. Bernardini, qui situs servire habeat pro ibidem fabricanda ecclesia sub titulo Conceptionis B.M. ...", riservandosi il diritto d'innalzarvi una cappella con sepolcro per sè e suoi eredi.
L'11 Febbraio 1638, Gio Batta Sciorato q. Giacomo di Ovada, con atto del notaio Michele Cassolino, lascia l'obbligo ai suoi eredi di far celebrare una Messa mensile in perpetuo nella chiesa che la Magnifica Comunità di Ovada dovrà costruire, e di far dipingere un quadro di Nostra Signora e di San Gio Batta, da collocarsi nella seconda Cappella a sinistra entrando ed a provvedere detta cappella di pallio e tovaglia: "...celebrari faciendum in perpetuum missam unam in singulo mense pro eius anima et hanc semper, et quando constructa fuerit nova ecclesia construi coepta a M.ca Communitate Item gravavit dictos heredes ad fieri et sui pingi faciendum (un quadro come detto sopra) illudque ponendum et collocandum in ecclesia praedicta in Capella sive sacello secunda in ordine a latere sinistro ingrediendo dictam ecclesiam, nec non ad manutenendum altari dictae Capellae... " ed a questo scopo lega i redditi di una sua terra em>"montuosa e vignata sita in Ovada".
Il 3 Luglio 1642, con atto del notaio Pistone, Donna Domenica Dorotea Beraldi, di illustre famiglia ovadese, dona un suo vasto appezzamento di terreno prativo con alberi di gelso per dotazione della chiesa e dei frati. Lorenzo Scasso, sempre con atto notaio Pistone, permette ai frati di costruirsi una fontana in terreno di sua proprietà (la fonte esiste tuttora abbellita ed ornata di un piccolo monumento a S. Francesco nella odierna Piazzetta dei Cappuccini).
Biaggio Gambino lascia nove lire genovesi annue, da pagarsi ai Cappuccini nella festa di S. Martino.
Una persona che mantiene l'anonimato (ma che dai docu- menti risulta essere una Signora ovadese) consegna al Rev. Stefano Odino la cospicua somma di cento doppie d'oro di Spagna per comprarne, con il frutto annuale, tanto olio per l'altare maggiore della nuova chiesa e, con l'avanzo, far celebrare nella stessa chiesa tante messe in suffragio e secondo l'intenzione della donatrice.
E, per chiudere questa non completa rassegna di benefattori e mettere in evidenza un particolare curioso della mentalità dei tempi che correvano, citiamo il caso del Marchese di Silvano, Alessandro Botta Adorno, uno dei più affezionati sostenitori dei frati, il quale si priva di una pietanza alla settimana per concorrere alla dotazione della chiesa.
Si arriva così al 1662 e il tempio e convento sono terminati. Per intanto, moltissimi ovadesi concorsero per gli addobbi, per gli altari, per il corredo, e costante benefattrice fu sempre la Comunità, alla quale i cappuccini non ricorsero mai invano. La chiesa fu inoltre arricchita dai frati di molte sacre reliquie e, il 26 Marzo 1662, Mons. Ambrogio Bicuti, Vescovo di Acqui, procede alla solenne consacrazione.
La lapide che ci ricorda l'avvenimento la troviamo oggi murata sulla parete interna della facciata, a sinistra entrando:

MDCLXII DIE DOM.CO XXVI MARTY EGO IOS.
AMBROSIUS BICUTUS EP. US AQUENS. CONSECRAVIT
AECCLESIA ET ALTARE HOC IN HONOREM D.O.M.
IMMACULATAE CONCEPTIONIS BEATAE MARIAE
VIRGINIS S. FRANCISCI NEC NON SS. ROCHI
ET SEBASTIANI ET RELIQUIAS SS. MART. M. MARTINI
ET URBANI IN EO INCLUSI ET SINGULIS XPI.
FIDELIBUS ODIE UNUM ANNUM ET IN DIE
ANNIVERSARY CONSECRATIONIS HUIUS MODI
IPSA. VISITANTIBUS 40 DIES DE VERA
INDULG.A IN FORMA AECCLESIAE
CONSUETA CONCESSI.

Come vediamo dalla iscrizione, la chiesa venne allora considerata come un vero e proprio Santuario Mariano, con la concessione di 40 giorni di indulgenza ai visitatori per tutto un anno consecutivo ed altrettanti per la visita nel giorno anniversario della sua consacrazione (26 Marzo).
Il nuovo tempio, pur nella sua modestia di stile, di arredamento e di strutture, suscita però una attrazione particolare nel cuore degli ovadesi che lo frequentano assiduamente, vi lasciano cospicue elemosine, vanno a gara per dotarlo di paramenti e di sacri arredi, e moltissime famiglie di buona condizione e di censo elevato vi fanno seppellire i loro morti o vi si riservano un loro sacello gentilizio.
L'umanissima carità dei frati, la loro abnegazione ed i loro sacrifici nel curare gli ammalati, nell'assistere gli indigenti, nel sollevare le sofferenze dei ricoverati nell'ospedale e quel loro distinguersi con l'umiltà, la sopportazione e la santità della vita, li rende estremamente benvoluti alla Magnifica Comunità di Ovada che sa ben valutare i meriti che essi vanno guadagnandosi anche in campo che definiremmo oggi di carattere prettamente sociale. Le Autorità Comunali ovadesi non recepiranno mai invano le sollecitazioni di questi religiosi e andranno sempre loro incontro per ogni necessità. Nel 1676 concorreranno alla elevazione di un piccolo campanile; nel 1690 delibereranno un sussidio di quaranta lire genovesi per la riparazione del tetto danneggiato da un ciclone; nel 1704 altre cento lire genovesi verranno erogate per riparare la volta del coro danneggiata da scosse di terremoto; nel 1732 il Comune devolverà lire 159 per restaurare i voltoni della terrazza del convento e le muraglie della clausura. Non vanno inoltre dimenticati gli interessamenti e l'appoggio che gli amministratori della cosa pubblica daranno a molte controversie insorte tra i frati ed alcuni disconoscenti eredi di benefattori per impugnazione di donazioni o di lasciti.
La stessa Municipalità Democratica ovadese del 1798 (periodo rivoluzionario della Repubblica Democratica Ligure) non penserà mai di allontanare i frati dal loro convento; soltanto le leggi napoleoniche del 1810, che contemplano la soppressione di alcuni Ordini religiosi, faranno partire i Cappuccini da Ovada. A questo proposito, un cronista anonimo del tempo ci dice che l'ordine di soppressione fu notificato ai due conventi ovadesi il 23 Settembre 1810 e che i frati dovettero svestire l'abito del loro ordine per indossare la veste talare nera del clero secolare. Furono fatti uscire dai loro conventi il 15 di Ottobre e, siccome la loro chiesa veniva chiusa, fu trasportato il Santissimo nella parrocchiale. Dalla chiesa dei Cappuccini lo trasportò in Parrocchia un sacerdote ovadese: Prete Gazzo, figlio del Signor Giuseppe Gazzo detto il Povero. I frati che in quel momento componevano il convento cappuccino erano i seguenti: Padre Gian Tomaso da Sassello (guardiano), Padre Agostino Basso ovadese, Padre Giuseppe da Castelletto, Padre Soldi da Ovada, Padre Mattia da Genova, il fratello Fra Andrea e il terziario Fra Mauro da Roccagrimalda, più due uomini addetti alle cure dell'orto, uno chiamato Lazzaro e l'altro Antonio, tutti e due di Voltri.
A seguito di questa soppressione la chiesa venne chiusa, il convento abbandonato e gli archivi andarono del tutto dispersi. Notizie, anche frammentarie di quel periodo, sono difficilmente reperibili oggi perchè, nel susseguirsi degli avvenimenti avvenuti allora, moltissima documentazione scritta fu depauperata, alienata o addirittura distrutta.
Nel 1811, le suppellettili, le campane, i mobili e gli altri oggetti vari che erano appartenuti ai due conventi di Ovada, furono venduti con pubblica asta ad acquirenti diversi, uno dei quali - e bisogna dirlo a suo grande merito - fu il M.R. Francesco Antonio Compalati, allora Prevosto di Ovada, che riuscì a farsi aggiudicare, pagando ingenti somme di suo, la maggior parte degli oggetti che regalò in parte per la dotazione della nuova parrocchiale da poco aperta al culto, e assegnò il resto ad altre chiese di Ovada per evitarne la dispersione e, in attesa di tempi migliori, per farne poi la debita restituzione.
Sappiamo così che la piccola campana del convento cappuccino del peso di Kg. 100 circa, venne stimata dallo "expert en cloches" Pietro Bonfiglio per la somma di duecento franchi e, per tale cifra, viene registrata da certo Domenico Cavassola "Revoeur par l'enregistrenient et Demanio ou Bureau d'Ovada". Altri oggetti di "Boisserie", rimasti nel convento cappuccino, vengono valutati per un ammontare complessivo di franchi 102,42.
Nel 1815, caduto Napoleone ed a restaurazione avvenuta, il Consiglio degli Anziani di Ovada si premurerà di supplicare il governo Piemontese di riaprire la chiesa e far tornare i Cappuccini:
"... questo sacro stabilimento rimonta nella sua origine ad un'epoca troppo interessante e memorabile per non eccitare la più viva fiducia di quegli abitanti di vederlo restituito alla devozione loro, sotto gli auspici del nostro Augusto e Piissimo Sovrano. La Chiesa è stata fabbricata dalla Comune fino dal 1640 in occasione della peste per voto solenne di penitenza, come si vede dall'iscrizione: "Uvadae Votum", esistente ancora in essa ed ha prestato i più grandi servigi spirituali a tutta la numerosa popolazione del Borgo e della Campagna; e a questa non solo, ma ad una gran parte ancora di confinanti paesi i di cui abitanti d'ogni condizione affluirono sempre a questo Santuario a profittare dell'opera instancabile di tanti benemeriti e zelanti suoi Religiosi. Possono fare ampia ed onorevole testimonianza di tale vantaggio e pubblica edificazione le popolazioni intiere di Cremolino, Molare, Cassinelle, Trisobbio, Roccagrimalda, Silvano, Tagliolo, Belforte, ecc. Il ristabilimento di questa chiesa è di assoluta necessità.
L'Amministrazione, animata di riflessi tanto rispettabili e dell'evidente utilità e bisogno della popolazione, osa sperare dalla munificenza ed illuminata pietà di V.E. un favorevole successo alle sue suppliche, ottenendo, mediante GRAZIOSO SOVRANO RESCRITTO, il compimento del fervoroso voto di questo Popolo, risorto a tante e più fondate speranze sotto le paterne cure di Sua Reale Maestà "
.
La supplica ebbe un immediato accoglimento e, il 23 Maggio 1816, nel giorno dell'Ascensione, i Cappuccini rientravano nel loro convento, trionfalmente accolti da tutta la popolazione. Fu fatta una solenne Processione che girò tutto il Borgo e la statua dell'immacolata - come dirà un testimone oculare - "fu portata a spalle in mezzo a tutto il popolo, a numerosissimo clero, con inni e divoti cantici, musica ed abbondanza di cera che lasciarono tutta ad uso del convento".
Ma, in ben misere condizioni trovarono i frati la loro antica dimora. I locali del convento che, durante la soppressione, erano stati appigionati ad un certo Sciorato ed erano serviti come asilo ai più poveri, erano ormai senza porte e finestre, disarmati, senza alcun arredamento e anneriti dai fuochi che vi erano stati accesi - per riscaldarsi in inverno - dai poveri derelitti che vi si erano rifugiati.
Soltanto la chiesa, perchè chiusa, non era in sì pessimo stato; però mancava di un'ancona nella Cappella di S. Antonio che era stata ceduta al convento cappuccino di Nizza Monferrato. Un'altra ancona, il pulpito, il tamburo, i gradini e i quadri erano già stati restituiti da quelle pie persone che, unitamente al Prevosto Compalati, erano riuscite a farseli assegnare, pagandoli, nelle aste pubbliche del 1811 per evitarne la completa dispersione.
Certamente i frati ebbero nuovamente il loro grande da fare per rimettere in ordine, ripulire e ristorare il convento e furono in questo moltissimo aiutati sia dalla Comunità che dal popolo.
Nel Luglio del 1837 fu ospitato nel convento Mons. Modesto Contratto, Vescovo Cappuccino di Acqui, venuto in visita pastorale in Ovada per la confermazione del Sacramento della Cresima a più di 4200 fedeli.
L'epidemia di colera che, nel 1854, devastò queste nostre terre, trovò ancora una volta nei Cappuccini quei validi prodigatori di conforto e di assistenza materiale e spirituale, che già in altre simili occasioni avevano dimostrato. In questa triste circostanza furono tanti i loro atti di abnegazione e di sacrificio - particolarmente nell'Ospedale - che ebbero altissimi encomi dalle autorità e gratitudine da tutto il popolo ovadese.
Purtroppo, le leggi nazionali del 1866, riproposero gli stessi problemi del 1811, ed il convento venne un'altra volta soppresso. Ad officiare la chiesa restarono due soli frati: il Padre Alfonso Marengo di Ovada ed il suo concittadino Fra Luigi Marengo laico; ad essi furono assegnate poche celle per l'alloggio.
Per gli altri locali del convento, parve conveniente al Municipio destinarli ad asilo per l'infanzia, ma temendosi in quei tempi un'altra epidemia di colera, l'Amministrazione comunale - che ne era ormai la proprietaria - trovò bene di adibirli, in via provvisoria, "...ad uso lazzaretto, uso cui prestavansi egregiamente sia per la loro posizione salubre, sia perchè situati fuori, a non molta distanza dall'abitato; questo perchè la provvista di un lazzaretto era divenuta necessaria dietro l'invasione del morbo asiatico da cui per due anni consecutivi venne colpito il Comune".
Così, dal 1867 al 1887, restò alla cura della chiesa soltanto qualche padre in qualità di cappellano, sperandosi in un non lontano arrangiamento della situazione. Ma, andando le cose per le lunghe e data la deficienza di personale cappuccino necessario negli Ospedali di Genova, il Superiore Provinciale decise il ritiro di quell'unico frate.
La decisione venne accolta con profondo dolore dalla cittadinanza. Il Sindaco di allora, Cav. Avv. Giuseppe Bozzano, con sua lettera del 18 Ottobre 1887, scriveva al Padre Provinciale:
"Non è a dire qual dolore abbia generato nell'animo mio la grave ed inaspettata determinazione. Quale rappresentante di una popolazione altamente cattolica, sento il dovere di pregarLa della revoca di un provvedimento la cui attuazione produrrebbe un grave scompiglio in queste coscienze, legate da una tradizione di oltre due secoli ai figli del Poverello d'Assisi, ai FRATI DEL POPOLO".
Altrettanto e con uguali sentimenti e con più vive istanze, scrisse il Vescovo di Acqui, ma il Provinciale fu irremovibile e i Cappuccini partirono da Ovada una seconda volta con dolore di tutti.
Siccome però per disposizioni delle Leggi del 1866 relative al Fondo Culto, la chiesa doveva essere officiata, all'Amministrazione Comunale non restò allora che provvedere d'urgenza alla nomina di un cappellano del clero secolare; pertanto nella seduta Consigliare segreta del 29 Ottobre 1887, su due candidati: Don Carlo Maranzana e Don Bartolomeo Siri, fu scelto il Maranzana che ebbe 10 suffragi su 13. Il suo stipendio annuale fu fissato in lire 500 nette da ogni imposta più un conveniente alloggio con l'obbligo della Messa quotidiana senza applicazione e quella festiva da celebrarsi con orario stabilito dal Municipio; servizio al confessionale come d'uso, provvista di cera e dell'olio per le lampade; manutenzione ordinaria della chiesa e dei sacri arredi a suo carico. Divieto di questua sotto qualunque pretesto, ad eccezione della domanda di elemosina nel recinto della chiesa da farsi con le forme consuete e pel solo mantenimento del culto.
A don Maranzana, dimissionario soltanto dopo un anno, subentrò il Rev. Don Carlo Riva da Pasturana che, nominato l'11 Novembre 1888, officiò la piccola chiesa monastica fino al Novembre del 1912 quando, ammalatosi, fu sostituito provvisoriamente da un frate.
Morto Don Riva nel Dicembre, con il nuovo anno 1913 la chiesa venne chiusa dal Municipio per mancanza del cappellano ufficiale. Quando venne bandito il concorso per la nuova cappellania vi concorsero i Cappuccini ed un sacerdote secolare ed allora sorsero in Ovada asprissime polemiche perchè sembrava che il Comune volesse favorire un suo candidato in contrapposizione a quello presentato dai frati. Tali polemiche si ripercossero violente sulle pagine dei due giornali locali: "Il Corriere delle Valli Stura ed Orba" sostenitore dei Cappuccini e "L'Alto Monferrato" (Corriere della Democrazia) che sosteneva il secolare. Vi intervennero il Vescovo di Acqui ed il Prefetto di Alessandria che, ognuno per sua competenza, annullarono l'elezione già avvenuta del secolare. L'Amministrazione ricorse al Re in via gerarchica ed il Sovrano, su proposta del Ministro degli Interni, respinse il ricorso e la nomina venne definitivamente annullata con Decreto del 24 Novembre 1913.
Per intanto la popolazione reclamava la riapertura della chiesa con una petizione recante duemilatrecento firme, presentata al Sindaco. Malgrado tutto ciò il tempio restò chiuso ed ancora lo era alla fine dell'anno 1914 quando - cambiata l'Amministrazione Comunale durante lo stesso anno - il nuovo Consiglio, nella seduta pubblica del 21 Dicembre 1914, con 19 voti favorevoli e 4 astenuti su 23 votanti, nominava Cappellano della chiesa il Padre Cherubino Anfosso da Isolabona, cappuccino che rinunciava allo stipendio annuale di lire 500 a favore delle opere di assistenza pubbliche.
Non possiamo però dire che, dopo il 1887, i Cappuccini abbandonassero definitivamente l'idea di mantenere un loro convento in Ovada; sfrattati dalla loro antica dimora, vollero e s'impegnarono a costruirne una nuova. Ne fu propugnatore, ideatore ed anche costruttore il Rev. Padre David Bruno da Chiavari.
Appartenente a doviziosa famiglia chiavarese, questo buon padre aveva vestito l'abito nel 1894 dopo un soggiorno di dieci anni nel Venezuela e nella Colombia dove, per fortunate combinazioni commerciali e di lavoro e per spiccata probità, aveva accumulato una ingente ricchezza. Di questa volle servirsi per la gloria del Signore e per beneficare la famiglia cappuccina, costruendo - sul pendio della bella collina delle Cappellette prospiciente Ovada - la nuova chiesa e il nuovo convento che, progettati dall'Arch. Pesce, vennero solennemente benedetti ed inaugurati da Mons. Disma Marchese, Vescovo di Acqui, il 25 Giugno 1905. Il Padre F. Zaverio O.M.C. così ci descrive la suggestiva cerimonia: "Alle ore 10 arrivò S. E. Mons. Disma Marchese, Vescovo di Acqui, accompagnato dal suo segretario, dal M.R.P. Provinciale dei PP. Cappuccini e dal R.P.Martino, Guardiano locale. Venne ricevuto dai PP. Alipio e Grisologo definitori, dal M.R.P. Giuseppe da Genova ex-Provinciale, e da tutti i PP. componenti la famiglia locale cappuccina. Assistito dal Rev. Prevosto e dal Clero tutto di Ovada, nonchè dal Superiore dei PP. Scolopi, fece la solenne cerimonia della benedizione della Chiesa; uscito per la porta maggiore del tempio, benedisse tutto intorno l'esterno della chiesa, quindi rientrato e cantate le litanie dei Santi, benedisse l'interno mentre la popolazione di Ovada affollata sulla piazza stava ansiosa ad attendere l'apertura. Terminate le cerimonie di rito, si diede accesso al popolo. Adornati che furono gli Altari, ebbe principio la prima Messa, la quale solennemente venne celebrata dal Rev. Arciprete di Ovada con assistenza di Mons. Vescovo diocesano e cantata dai Revv. Sacerdoti della Città, che a tal uopo si offersero essi stessi. Fu una vera dimostrazione di simpatia che gli ovadesi fecero in questi giorni ai Padri Cappuccini".
Ma, sebbene la chiesa fosse bella e grande, il convento in una ottima posizione collinare ed il tutto in moderne e perfette condizioni ambientali ed ospitali; sia per i frati e, tanto più per gli ovadesi, il vecchio edificio conventuale e la più modesta chiesa monastica restavano sempre, per il loro cuore, legati a quell'antico voto di fede che in Ovada li aveva voluti edificati vicino al popolo e per i quali, popolo e frati, tanto avevano sacrificato e sofferto.
Persino nella definizione toponomastica popolare, la strada che ivi vi si portava dall'antico Borgo e che oggi è Via Cairoli, si definì sempre "Contrada dei Cappuccini" e, in dialetto "ra cuntrà di Capusigni". La chiesa, pur officiata da sacerdoti secolari, fu sempre "ra giescia di frati" il convento pure e persino l'asilo infantile, che fu costruito in seguito nelle adiacenze, si chiamò sempre "l'asilu di frati".
Queste condizioni di clima spiritualmente affettivo non potevano che preparare la fine dell'esodo.
Intanto, nel 1917, un altro Cappuccino, Padre Silvio da Garessio, viene nominato Cappellano della vecchia chiesa e, nel 1919, i frati vi tornano stabilmente, iniziando nello stesso tempo le trattative sia per il riscatto definitivo dell'antica proprietà, sia quelle per la cessione del convento sulle Cappellette all'Ordine Passionista. In questo periodo, ai nostri frati viene affidata ufficialmente la cura spirituale dell'Ospedale cittadino che tuttora conservano e che da secoli hanno sempre disimpegnato con vero senso di carità ed alto spirito di sacrificio ed abnegazione disinteressata.
Nel 1922 il convento delle Cappellette passa alle Suore Passioniste di clausura ed essi possono così riscattare dal Comune la loro antica sede.
E' questo il periodo di Padre Ignazio Rolando da Armo, un vero cappuccino all'antica, burbero benefico, lavoratore instancabile, pratico in ogni lavoro anche manuale o meccanico, Sacerdote di semplice e profonda fede, pronto in ogni momento ad accorrere per portare la sua opera in campo spirituale come in quello materiale e sociale. Molti ovadesi lo ricordano ancora oggi per il suo perenne discorrere e dialogare in dialetto genovese, con battute di spirito argute ma di pratica ed antica sapienza.
Padre Michele Bianchinotti da Antessio, Guardiano che, negli anni di sua permanenza in Ovada, dal 1928 al 1934, riuscirà a compiere il miracolo del rifacimento completo della chiesa nella sua elegante struttura pseudo-romanica come la vediamo oggi. Uomo di spiccate doti sacerdotali, accompagnate da buon senso pratico, da un'ottima preparazione in campo amministrativo ed organizzativo, facondo e dalla parola facile e convincitrice, egli in pochi anni e con il suo sapersi dar da fare, ridarà ad Ovada una chiesa completamente nuova. Ed in questo suo ardito compito, sarà tangibilmente aiutato da tutte le famiglie ovadesi di ogni ceto, tra le quali non possiamo certamente non nominare - per dovere di verità e di storia - la famiglia Peruzzi che, con la sua impresa costruttrice, riedificherà quasi completamente e molto disinteressatamente il tempio e la famiglia del Comm. G.B.Scorza, industriale mobiliere ovadese, che, per le necessità di fabbricazione procurerà la maggior parte del legname da opera e non soltanto quello.
Abbiamo fatto qui pochi nomi di frati e di persone laiche; chè non sarebbe possibile citarne altri perchè, soltanto per i non frati ci si ritroverebbe tutta Ovada.
Dobbiamo ora farne qualcun'altro, in quanto che, se oggi ci ritroviamo un convento nuovissimo, modernamente funzionale, stilisticamente ed architettonicamente armonizzato alla chiesa e all'ambiente antico come voluto e caldeggiato dalle Autorità competenti ed inoltre una chiesa vastamente ampliata ed arricchita questo lo dobbiamo a coloro che, in questi trascorsi anni, così li hanno voluti: intendiamo gli ex-Ministri Provinciali dei Cappuccini Liguri: Padre Agatangelo da Langasco e Padre Gaspare Tomati ovadese di vecchia schiatta; Padre Policarpo da Ponzanello, Padre Pancrazio da Silvano e Padre Gian Carlo Barboro da Ovada, ex-Superiori e Superiore attuale del Convento ovadese; Padre Nazario Damonte da Arenzano, che con la sua instancabile operosità - che ci ricorda il Padre Michele - ha provveduto per la parte amministrativa ed alla risoluzione pratica di non pochi problemi di carattere tecnico ed amministrativo.
Non poco merito va al Signor Ugo Carosio, impresario edile, che - pur mugugnando non poche volte da buon ovadese all'antica - ne ha realizzato la perfetta costruzione su progetto dell'Ing. Emilio Parodi di Genova.
All'Ing. Rinaldo Tagliafico ed all'Arch. Giuse Scorza, entrambi ovadesi, ed al Tecnico dei PP. Cappuccini Geom. Amilcare Merialdo, di Palo di Sassello, dobbiamo dare atto della loro preziosa collaborazione che non si è limitata soltanto ai suggerimenti.
La chiesa è oggi vasta e grandiosa sebbene il suo stile, almeno all'interno, non sia ben definito. Una spaziosa navata è stata aggiunta sul lato sinistro, così da dare modo di potervi eventualmente sistemare due cappelle laterali, in simmetria con quelle già esistenti sul lato destro. Vi si notano due bei quadri di scuola genovese, oggi ottimamente restaurati, uno dei quali, quello di San Felice, potrebbe essere attribuito al Palmieri, ma la cosa è incerta. Altri quadri che già vi erano sistemati prima dei lavori, sono oggi in via di restauro e vi ritorneranno ben presto per adornarne le pareti. Gli altari sono in legno, tipici nelle chiese dei Cappuccini. Pregevolissimo è il complesso di quello maggiore, tutto in legno lastronato in radica di noce e con bellissime sculture che ornano e sostengono il piccolo tempietto del Tabernacolo.
L'antico voto degli ovadesi, perpetuatosi nei secoli e pur con tante così alterne vicende, si rinnova oggi, in una fresca opera di architettura moderna, per ricordare a noi la profonda fede dei nostri avi.
Questa è la storia dei Cappuccini in Ovada, della loro chiesa e del loro convento dal 1640 ad oggi. Storia fatta di eventi naturali, di fatti storici e di uomini.
I Cappuccini, uomini anch'essi rivestiti del ruvido saio del Poverello d'Assisi, ne sono i protagonisti e, ad essi, ripetiamo la bellissima frase manzoniana che ne compendia l'umiltà della vita e la grandezza morale delle azioni:
"...l'opera e il cuore di questi frati meritano che se ne faccia memoria con ammirazione, con tenerezza, con quella specie di gratitudine che è dovuta, come in solido, per i gran servizi resi da uomini a uomini, e più dovuta a quelli che non se la propongono per ricompensa.".

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NOTE del curatore:

Questa pubblicazione fu edita in occasione della costruzione del nuovo convento attiguo alla chiesa dei Cappuccini, avvenuta nel 1975. Da allora ad oggi sono trascorsi 44 anni e la situazione è molto cambiata. Col trascorrere del tempo la presenza dei Padri Cappuccini si è ridotta fino a che era rimasto a presidiare il convento ed officiare la chiesa il solo ovadese Padre Giancarlo (Lelio Barboro), che è purtroppo mancato nei primi mesi dell'anno 2012.
Si è riproposta, quindi, ancora una volta la situazione che per altri motivi si era presentata in passato: la mancanza di religiosi di questo Ordine in Ovada, la chiusura della chiesa e l'abbandono del convento.
Fortunatamente, a partire dal 2015, il convento è stato rimesso in uso ed al suo interno sono alloggiate le Suore Ospitaliere della Misericordia, che prestano la loro opera presso l'Ospedale Civile e che hanno riaperto la chiesa, regolarmente officiata per la Santa Messa domenicale e per le Festività Comandate da parte dei Padri Cappuccini che giungono appositamente da Genova. Nei locali del convento sono ora anche alloggiate le sedi di alcune associazioni di volontariato mentre nel porticato annesso si svolgono i Mercatini dell'usato, il cui ricavato serve per sostenere le operazioni di manutenzione della chiesa e del convento. Nei locali della nuova sacrestia, inoltre, è stato realizzato un ampio salone dove si svolgono regolarmente conferenze, incontri e dibattiti.

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