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Le Radici di Ovada.


Articolo n. 138 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Gennaio-Agosto 1992

 Radici di Ovada Nel processo espansionistico territoriale del Comune di Genova al di qua del Giogo durante il XIII secolo il borgo di Ovada era, per sua posizione strategica, alla confluenza di due fiumi ed a ridosso dell' Appennino, da tempo nelle mire dei reggitori di quel Comune per assicurarsi un baluardo avanzato verso la pianura alessandrina di dove più facilmente Genova sarebbe stata minacciata. In quel tempo Ovada, quale modesto insediamento urbano intorno al suo castello, era sottoposta a diverse Signorie locali, tutte più o meno di discendenza aleramica, quali i Marchesi del Bosco, quelli di Ponzone ed i Malaspina che, ognuna per suo conto, ne amministrava, se ciò si può dire nel senso letterale della parola, il suo pezzo di proprietà. Cosa in quel tempo molto comune se si pensa che vi erano castelli e borghi naturali in cui la Signoria apparteneva magari a 50 consignori. Erano Signorie intricatissime, con parentele altrettanto complesse che spesso mutavano di cognome intitolandosi alle loro possessioni (vedi i Marchesi del Bosco) e che non erano quasi mai use a concedere indipendenza alle genti loro sottomesse. Verso quei piccoli potentati dell' epoca, rissosi fra di loro, squattrinati e prepotenti, si indirizzò la sottile diplomazia genovese al fine di venire in possesso di quei territori che tanto interesse avevano per Genova. Fu un lavoro ed una trattativa difficile che si svolse fra il primo e l'ultimo decennio del 1200, coronata però da ottimo successo, perchè prima della fine del secolo Genova era saldamente in possesso di tutto il territorio ovadese, che aveva comperato a lotti dai diversi proprietari. Conquista pertanto pacifica e perfettamente legale. Infatti la prima concessione fatta dal Comune di Genova alla popolazione del Borgo da poco acquistato fu la elargizione delle Franchigie nel 1290. Era una necessità quasi immediata che Genova non poteva fare a meno di accordare al borgo perchè interessava la libertà commerciale ed il libero transito di merci fra le due località che allora subivano dazi e balzelli che ne frenavano gli scambi. Trent'anni dopo, nel 1327, vennero gli Statuti che per la loro elaborazione complessa, ardua ed impegnativa, dovettero essere studiati, discussi e concordati da entrambe le parti.
Ma Ovada, così com'era stata acquistata, era un piccolo borgo indifeso, senza una vera e propria cinta muraria, con un castello antico e diroccato che risaliva con tutta probabilità ai tempi delle Signorie Vescovili di Milano e che gli Aleramici avevano rifatto alla meno peggio. Insomma, Ovada necessitava di un urgente ed impegnativo piano di ristrutturazione che Genova, con buona volontà e per suo interesse, non poteva mancare di realizzare affinchè il borgo potesse diventare un piccolo bastione antemurale difensivo ai confini del territorio genovese.
Inizia così la lenta ma costante opera di fortificazione del borgo di Ovada. Si ripristina e si ristruttura il castello, alla confluenza dei due fiumi, munendolo di potenti bastioni, di munite torrette di guardia, di un possente torrione rotondo che ne guarda l'ingresso e dell'antico non si tocca e si lascia al suo posto l'altissima torre quadra che si manterrà integra fino al tempo della sua demolizione. Il fossato di difesa sarà valicato da un ponte di legno retrattile che nei secoli più tardi sarà sostituito da un breve viadotto in muratura. Si provvede alla costruzione di una importante cinta muraria nei punti più vulnerabili e si apprestano minori opere di difesa ai vertici delle scoscese ed impervie rampe che scendono ai due fiumi, creando così quella caratteristica configurazione topografica a triangolo che distinguerà sempre il borgo di Ovada. Si costituiscono le porte, la principale delle quali sarà quella cosidetta 'Genovese' che immetterà nel cuore del borgo e si aprirà quasi direttamente sulla piazza del mercato e dirimpetto alla Loggia Pretoria. Da questa porta si dipartirà l'antica strada che passando davanti al vecchio ospizio dei Pellegrini (S.Antonio, non ancora ospedale) raggiungerà i Piani della Levata per poi salire verso la Costa e, per la via dei monti, dirigersi verso la Liguria.
All' interno del borgo le opere saranno molte: sistemazione viaria, ristrutturazione di case vecchie e costruzione di abitazioni nuove. La chiesa parrocchiale di S. Maria (intra muros), piccola, ad una sola navata, vetusta di secoli, quasi cadente, si presenta subito ai nuovi reggitori come non più consona alle esigenze della popolazione del borgo che è notevolmente aumentata. Si rende necessario un suo ampliamento, che ne aumenti la capienza, ne rinforzi le strutture, ne rialzi il campanile. E' un lavoro che durerà non pochi anni che gli ovadesi sotto la direzione dei Genovesi porteranno completamente a termine soltanto verso la fine del XIV secolo e, più precisamente, nel 1391. La chiesa sarà così a tre navate con ben nove altari, sarà decorata di affreschi (oggi ancora visibili grazie all'interessamento della Signora Marie Ighina). L'altare maggiore, in marmi policromi, sarà decorato sui due lati dello stemma di Genova del quale Ovada si fregiava allora come ancora oggi e che mette in risalto la dipendenza del borgo dalla sua dominante.
Il periodo non è felice, perchè alla metà di quel secolo (nel 1348) Ovada sarà quasi spopolata dalla peste che infierirà per tutta la penisola italiana. A ricordo di questo triste avvenimento una lapide in pietra viva sarà murata nella nuova costruzione (e vi è ancora oggi) sull'ultimo pilastro di destra verso l'Altare Maggiore. La lapide, concisa e parlante, ci dice che in quel tempo la mortalità era tale che ogni cinque ne restava vivo solo uno.
 Radici di Ovada Scomparsa l'epidemia i lavori riprendono con lena e sotto il dogato di Antoniotto Adorno la nuova chiesa è pronta per essere officiata. Era in quel tempo Notaio e Scriba nella Curia di Ovada Benedetto Borrobianco da Porto Maurizio, funzionario, potremmo dire, statale, era la seconda autorità genovese in loco dopo il Podestà. Le sue funzioni erano politiche ed amministrative nello stesso tempo. Il controllo dell'esecuzione dei lavori gli era stato affidato e ne rispondeva direttamente ai Reggitori di Genova. Gli Atti Ufficiali dei Curia gli erano commessi e ricevevano il carisma della legalità dalla sua firma e dal suo sigillo. Contava, in effetti, e valeva certamente più del Podestà, che aveva funzioni più di rappresentanza che d'altro. Il suo peso era notevole se una iscrizione celebrativa poteva abbinare il suo nome a quello del Doge regnante, senza menzionare il Podestà di Ovada. Ma così è, perchè la lapide in pietra arenaria che al termine dei lavori il Borrobianco fece incidere per porka all'interno della chiesa a ricordo della sua opera, mette il luce lui, il Doge Antoniotto Adorno e la Repubblica di Genova.
Il manufatto è, come si è detto, in pietra arenaria, materiale molto comune e reperibile in Ovada e nei suoi dintorni. Pietra non costosa, che servirà sempre anche nei secoli di poi per portali, iscrizioni, lapidi. Molto duttile e cedevole, si presta per incisioni e può facilmente essere tagliata, scolpita e variamente lavorata. In Ovada non sono pochi gli esempi di arenaria usata anche come materiale da costruzione. L'artista che la scolpì e la incise, con tutta probabilità un artigiano ovadese, ci si rivela non molto preciso e poco pratico di tali lavori. Il carattere gotico del tempo non è chiaro, le abbreviazioni in uso allora sono talvolta fuori luogo (se pur necessarie anche per la ristrettezza dello spazio), alcuni errori sono evidenti e lo stemma dogale degli Adorno che sovrasta l'iscrizione e che fu posto in un secondo tempo è di errata interpretazione araldica perchè lo spaccato di bianco e nero di tre file in campo d'oro è posto in sbarra e non in banda come dovrebbe essere, ed inoltre è di sole due file anzichè di tre. Errore molto vistoso per i tempi che correvano, tant'è vero che si corse ai ripari molto tempo più tardi sovrastando la lapide con un pannello riportante lo stemma esatto. La primitiva iscrizione è inquadrata da due scudi riportanti in contrapposizione due leoni rampanti coronati, che pensiamo siano il blasone del Borrobianco. Pensiamo, perchè malgrado le nostre inchieste, non siamo riusciti a reperire uno stemma di tale famiglia. I due leoni sono poi ripetuti in affiancamento allo stemma degli Adorno. Il testo integrale dell' iscrizione, così come è inciso sulla lastra originale è del seguente tenore: "MCCCLXXXXI - DIE VIII SEPTEBRIS AD HONORE DEI ET BEATE MARIE HOC OPUS FIERI FECIT PROVIDUS VIR BENEDICTUS BERROBLANCHUS DE PORTUM AURICIO NOTS ET CURIE VADE SCRIBA TPR SECDI DUCATUS ILLUSTRIS ET MAG.CI DNI DNI ANTHTI ADURNI DEI GRAIAM DUCIS ET PPLI DEFS".
A parte le molte abbreviazioni e gli errori, il testo ci dice che l' 8 settembre del 1391, durante il secondo dogato dell' Ill.mo Signore Antoniotto Adorno, per Grazia di Dio Doge di Genova e difensore del popolo, l'opera (questa chiesa, questo edificio) fu compiuta e portata a termine in onore di Dio e della Beata Vergine Maria, dal previdente e zelante uomo Benedetto Borrobianco di Porto Maurizio, Notaio palatino e pubblico scrivano della Curia di Ovada.
La lapide fu murata, con tutta probabilità, all'interno della chiesa e qui rimase fino a che detta chiesa venne sconsacrata e chiusa al culto. Portata nella nuova chiesa parrocchiale, si trovava, nel 1871, sulla scala che conduce alla biblioteca in posizione nascosta e pochissimo visibile ai fedeli. Fu riscoperta ivi dal prete Marcello Remondini, genovese, e siccome allora era ancora in buone condizioni di conservazione e ben leggibile, il Remondini, buon disegnatore, pensò bene di farne una copia, dedicandola a Don Tito Borgatta, che fortunatamente è giunta fino a noi. Non si sa quando e per quali motivi fu poi rimossa e murata alla base del campanile dell' antica parrocchia che, nel frattempo, era stata ridotta a pubblica loggia. Quest'operazione mise la lapide, che fino ad allora era stata tenuta in interni, alla mercè di tutti quei fenomeni atmosferici (pioggia, sole e gelo) che non poco contribuirono al suo disfacimento. A compiere l'opera contribuì, con tutto il suo peso, un vespasiano che per molti anni fece mostra di sè proprio sotto la lapide.
 Radici di Ovada Oggi tale piccolo monumento che ci riporta indietro nella storia ovadese e che può, a ragion veduta, ritenersi il più antico documento lapidario esistente in Ovada, dopo la breve iscrizione della peste del 1348, ci si rivela completamente distrutto: illeggibile, con l'arenaria che si stacca a sfoglie, negletto, trascurato e dimenticato da tutti, non fa certo una bella figura nè fa onore al piccolo brano di storia ovadese che racconta.
La Confraternita di San Giovanni Battista, che incorpora ed è proprietaria di una parete perimetrale della vecchia chiesa e, precisamente, quella di destra che dà sullo scalone dell' oratorio, ha provveduto ad ovviare a tale manchevolezza. In base al preciso disegno del prete Remondini ha fatto eseguire, questa volta su marmo, la copia identica della lapide originale, apportando alcune variazioni sulla lastra superiore che ripeteva per due volte il motivo del leone araldico rampante e, per definire con estrema precisione il periodo storico dell'avvenimento, ha fatto affiancare al dominante blasone dogale degli Adorno le armi papali di Bonifacio IX (Tomacelli) e quelle cardinalizie di Jacopo III (Fieschi) che in quell'epoca erano uno Papa regnante e l'altro Arcivescovo di Genova. Per l'iscrizione si è riportato fedelmente il testo coevo, compresi gli errori e le abbreviazioni. L' opera, per il taglio del marmo, la scultura e l'incisione, è stata affidata a quell'artista eclettico e volitivo che è Emilio Ravera. Ultimo rappresentante in Ovada di quella schiera di valenti artigiani di manufatti marmorei, ai quali si è sempre dedicato con passione e con instancabile dedizione, dotato di una brillante intelligenza artistico-creativa, il Ravera non solo ha eseguito il lavoro con precisa bravura, ma ha donato la sua preziosa opera assolutamente gratis. L' Amministrazione della Confraternita non può che essergliene infinitamente grata e segnalare pubblicamente il grazioso suo gesto.
Così, a distanza di seicento anni precisi, la lapide è tornata a risplendere per ricordare agli ovadesi una pagina importante della loro sroria. E' stata collocata alla sommità dello scalone di ingresso dell' oratorio di San Giovanni, sulla parete di destra, che è proprio uno dei muri perimetrali e portanti di quella antica chiesa di S. Maria che i genovesi avevano ampliata e ricostruita nel XIV secolo e che Benedetto Borrobianco volle ricordare ai posteri con la sua iscrizione. Possiamo così dire che è ritornata gloriosamente al suo giusto posto.

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