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Andrea Dania caduto per l'indipendenza della Grecia.


Articolo n. 92 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Gennaio-Marzo 1985

 Andrea Dania Abbiamo già parlato su queste colonne (1) delle vicende eroiche dell'ovadese Andrea Dania, colonnello napoleonico, Comandante dei Filelleni, caduto per l'indipendenza della Grecia il 16 luglio 1822 in Peta.
Un libro edito in Atene nel 1981 ci da lo spunto per riportare qui ancora alcuni momenti della vita del Dania in quel periodo precedente la sua eroica fine. Il suo autore, Demetrios Karadgenis, lo conosciamo soltanto per via epistolare, in quanto fummo in corrispondenza con lui nel momento della stesura del suo libro e mentre era alla ricerca di notizie, particolarmente sui personaggi non greci che fecero parte della spedizione. Ad opera compiuta egli volle essere così gentile da inviarci una copia del suo libro, segnalandoci quelle pagine che più avrebbero potuto interessare anche le azioni del Dania ovadese. Gli siamo grati, perchè, dalle fonti documentarie greche, egli ci illumina su particolari e momenti del Dania che noi non potevamo certamente conoscere. Il libro, scritto in greco moderno, si intitola "La Spedizione in Epiro del 1822 e la Battaglia di Peta". Sono 150 pagine fitte dove il Karadgenis, storico e ricercatore diligente, accurato e preciso, analizza con ottima cognizione di causa la situazione dei Greci oppressi in quel tempo dai Turchi, la loro dura lotta politica e militare per conquistare l'indipendenza della loro patria e fare della Grecia una nazione libera. Noi, non conoscendo per nulla il greco moderno e soltanto con una lieve antica infarinatura liceale di greco antico e classico, non abbiamo potuto seguire l'opera nella sua completa stesura e, pertanto, ci siamo limitati a farci tradurre le diverse pagine segnalateci dall'autore e che più in particolare riguardano il nostro concittadino.
 Andrea Dania Certamente il Dania non fu una figura di secondo piano fra i protagonisti delle vicende di quella lontana spedizione. La notorietà del suo valore e le sue peculiari doti di comandante gli avevano guadagnato la stima e la considerazione dei capi politici greci, e dai suoi sottoposti fu designato con l'appellativo di "Il Leone dei Filelleni".
Erano questi una compagine di vecchi soldati napoleonici appartenenti un pò a tutte le nazionalità europee. Uomini che avevano, per la maggior parte, partecipato a tutte le campagne bonapartiste, valorosi e provati al fuoco di innumerevoli battaglie e che, caduto l'astro del Grande Corso, si erano affrettati ad accorrere al richiamo di libertà della Grecia.
L'autore del libro ha potuto, dopo lunghe ricerche d'archivio, elencarne una buona parte. Questi nomi, forse dimenticati in Patria, figurano oggi, accomunati agli ignoti, sul monumento che è stato eretto nel 1981 dai Greci sul luogo del loro olocausto.
Nel nostro già citato articolo sul Dania, apparso precedentemente su questa rivista, abbiamo potuto documentare anche fotograficamente i luoghi ove avvenne la battaglia ma, grazie all'autore del libro, possiamo oggi riportare le fiere parole che il colonnello rivolse ai suoi uomini prima dello scontro che egli già presagiva sarebbe stata un'immolazione: "...Qui in Grecia fiorirà nuovamente la nostra fortuna militare distrutta in Francia e un ardore giovanile ravviverà ancora una volta la nostra vecchiaia come agli inizi della nostra carriera. Ma se i Turchi mutileranno i nasi e le orecchie a queste nostre teste ed esse saranno staccate dai nostri corpi coperti di ferite ed inviate a Costantinopoli perchè il Sultano le veda, dovranno pur dirgli: Ecco le teste dei guerrieri valorosi che hanno ucciso centinaia di Mamelucchi ma sono rimasti fedeli fino alla morte al loro onore ed alla loro libertà. Allora pongano pure queste nostre teste, ormai canute, sopra i muri della Capitale dove coloro che le guarderanno potranno prendere esempio ed invidiare non la nostra morte, ma il morire per la fede.". Nelle parole del Dania si sente il rimpianto di tutta l'epopea napoleonica che l'uomo ha vissuto intera e che quasi vorrebbe rivivere pur nella certezza della sua prossima fine (2).
 Andrea Dania Anche il momento estremo della caduta l'avevamo già descritto sulla scorta delle "Memoires sur la Grece pour servir à l'Histoire" che Maxime Reybaud, uno dei facenti parte della spedizione e dei pochi superstiti, pubblicò a Parigi nel 1825. Riportiamo qui quanto scrive oggi il molto ben documentato Karadgenis e notiamo che le due versioni si equivalgono completandosi: "...Egli (il Dania), seguito da pochi compagni, monta a cavallo e muove verso il declivio dall'altura e mentre procede giunge accanto a lui un moro che lo scorge e gli si slancia contro, afferra il cavallo di Dania per le redini e simultaneamente, per difendersi dai colpi che gli infligge il Capo dei Filelleni, si inginocchia sotto il collo del cavallo. Il cavallo, spaventato, salta, poi si atterrisce e si inchioda al suo posto. Allora uno stuolo di Albanesi e Turchi si avvicina e lo assale; uno di questi, un cavaliere, lo colpisce alle spalle con la sua spada all'altezza delle reni. Dania crolla ed immediatamente quelli lo abbattono e lo decapitano. Prima di spirare grida 'Vittoria o morte'...".
La nobile nazione greca non ha dimenticato questi eroi e, nel 1980, ne ha raccolto le spoglie, già onorevolmente sepolte in diversi luoghi delle battaglie, e le ha riunite in un unico mausoleo marmoreo sul monte Stavros, perchè il loro ricordo rimanga vivo ed imperituro.

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NOTE del curatore:

1) Cfr. artt. nn. 7 e 54.
2) Per capire questo genere di uomini d'arme, occorrerebbe approfondire di molto tutta quella serie di coincidenze che li portarono a vivere 'Una vita per l' Imperatore'. Questi uomini non erano semplicemente soldati, erano persone che, arruolate giovanissime in tutta Europa nelle file delle Armate Napoleoniche, in nome di quegli ideali di Libertà, Eguaglianza e Fraternità avevano seguito il loro Capo in tutte le sue avventurose imprese e che, 'dalle Alpi alle Piramidi', lo avevano amato ed adorato quasi come una divinità, andando all' assalto gridando il suo nome e sputando 'Merde' in faccia a quegli Inglesi dal volto grigiastro che essi odiavano più che il Diavolo. Era gente che combatteva in nome di quegli altissimi ideali che Napoleone Buonaparte, da buon Imperatore figlio della Rivoluzione Francese, avrebbe voluto estendere a tutta l'Europa ma che in fondo rappresentarono la sua fine. E' noto il 'feeling' che Napoleone aveva con i suoi uomini. Tutti gli storici, sulla base delle testimonianze, sono concordi nel ricordare che egli amava i suoi soldati al punto di ricordarne i nomi (ed erano migliaia di persone) e di chiamarli, appunto, per nome, scherzando anche con loro, mentre è altrettanto conosciuta la carica enfatica dei discorsi che egli rivolgeva loro alla vigilia delle grandi battaglie, discorsi che, se oggi possono fare sorridere per la forte retorica, producevano effetti esaltanti nelle loro menti. Se noi teniamo conto di questo, possiamo capire come anche il Dania fosse rimasto affascinato, se non dalla persona di Napoleone, senz'altro da quegli ideali che egli propugnava e, in particolare, l'ideale di Libertà, perchè non dobbiamo dimenticare che fino ad allora la libertà dei popoli non era mai esistita ed il potere era ancora saldamente nelle mani di una oligarchia di tipo feudale che affondava le sue radici nel Medioevo. E allora, una volta caduto Napoleone, cosa potevano fare uomini che fin da ragazzini non avevano fatto altro che marciare, combattere e rincorrere un'utopia di Libertà per la quale si sarebbero tranquillamente fatti ammazzare? Certamente essi non si sarebbero mai assoggettati a quella restaurazione che li avrebbe resi nuovamente sottomessi ad un potere di tipo illiberale ed oppressivo. Essi si ritenevano, ed in certo qual modo erano, uomini liberi. Ecco la chiave di volta per capire il motivo per cui, non appena venuti a conoscenza di una terra che lottava per la libertà, per quella libertà che essi avevano inculcata nella mente, partirono. E qui qualcuno potrebbe confonderli con i mercenari ed i soldati di ventura, ma occorre dire che costoro, che erano uomini d'arme di grande esperienza, avrebbero potuto benissimo passare al servizio, come Generali e Comandanti, di un qualsiasi regnante europeo, che probabilmente li avrebbe profumatamente retribuiti e, invece, partirono, senza che nessuno glielo chiedesse, a loro spese, per una terra sconosciuta, in cui sapevano che avrebbero potuto trovare la morte, al solo ed unico scopo di fare qualcosa per un popolo oppresso che tentava di affrancarsi. E' molto difficile, oggi, anche solo cercare di capire questi uomini, perchè appartengono ad un particolare periodo del passato, a quel periodo di transizione tra l'epoca feudale e l'era moderna, quel periodo in cui le nuove idee di progresso ed i nuovi ideali di libertà ed autodeterminazione dei popoli si diffondevano in maniera capillare, preparando poi l'Europa moderna. Il Dania, senza saperlo, ha contribuito, combattendo prima per Napoleone e poi per la Grecia Indipendente, a costruire questa Europa Moderna. Qui in Ovada, dove è nato, nessuno ormai sa più cosa abbia fatto; ci fa piacere che il Paese in cui e per cui è morto lo ricorda ancora.

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