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La piccola guerra del Marchese di Silvano contro il Capitano di Ovada.


Articolo n. 66 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Gennaio-Febbraio 1982

 Guerra tra Silvano e Ovada "Ieri, 5 marzo 1689, è morto all'età di anni 34, per un colpo di fucile, Giovanni Pescio del fu Gregorio ed oggi, 6 marzo 1689, è stato sepolto nella chiesa parrocchiale. Ha potuto soltanto ricevere il Sacramento dell' Estrema Unzione.".
"Ieri, 11 marzo 1689, è morto all'età di anni 46, per un colpo di fucile, Giovanni Andrea Passalacqua, ed oggi, 12 marzo 1689, è stato sepolto nella chiesa parrocchiale. Ha ricevuto tutti i Sacramenti."
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Con questi due stringati e laconici atti di Stato Civile, redatti a distanza di pochi giorni uno dall'altro dal Prevosto della Parrocchiale di Ovada, Giacomo Antonio Grosso, si conclude la prima parte della tragica spedizione effettuata nella notte del 5 marzo 1689 dal Feudatario di Silvano, Luigi Botta Adorno, contro il Capitano di Ovada, Raffaele Lomellino. Il G.B.Rossi, nel suo 'Paesi e Castelli dell' Alto Monferrato', edito a Torino nel 1901 da Roux e Viarengo editori, a pagina 35, ci informa, assai vagamente, di una scorreria effettuata nel 1689 sul territorio di Ovada da una banda di uomini armati monferrini capitanati dal feudatario di Silvano, per vendicarsi di una sentenza che il Podestà di Ovada aveva pronunziato sfavorevole al feudatario stesso per una vertenza di confini. Una ricerca accurata e più approfondita su registri e documenti di epoca, nonchè la scoperta di un vecchio articolo apparso, nel 1929, su uno dei pochi numeri del periodico 'Il Raccoglitore Ligure' a firma di un anonimo 'Omega', ci ha permesso di mettere più chiara luce su quanto ci dice il Rossi.
Innanzi tutto non si trattò di una vicenda di confini, sebbene la causa prima di tali avvenimenti fu un sequestro di bestiame legalmente e giuridicamente effettuato dal Magistrato di Ovada alla 'Cascina Nuova' che trovavasi allora, come tutt'ora, all'estremo limite del territorio di Ovada verso Silvano.  Guerra tra Silvano e Ovada In quel tempo ed in quel punto passava la linea di confine tra la Repubblica di Genova ed i Feudi Imperiali, dei quali Silvano faceva parte. Feudatario di Silvano e pertanto soggetto al Monferrato era il Marchese Luigi Botta Adorno, di famiglia pavese e discendente di quella Maddalena Adorno, ultima di sua famiglia che, sul principio del sec. XVII, sposando un Botta, aveva trasmesso in tale casato sia l'antico e glorioso nome dogale degli Adorno genovesi che i loro feudi e proprietà, Silvano compreso. In seguito a questo fatto i Botta Adorno erano stati ascritti anche alla nobiltà genovese. La Cascina Nuova, pur trovandosi in territorio ovadese e dunque sottoposta giurisdizionalmente e fiscalmente alla Repubblica di Genova, era di proprietà del Botta Adorno che, sembra, trovasse estrema difficoltà e pretesti a pagare le 'avarie' (tasse) al Magistrato di Ovada. La pendenza (oggi la si chiamerebbe 'contenzioso') si trascinava già da qualche anno ed il debito ammontava nel 1689 alla per quel tempo ingente cifra di oltre 85 lire oro genovesi per arretrati non pagati. Il Capitano Jusdicente di Ovada, Raffaele Lomellino, di antica famiglia di magistrati genovesi, dopo inutili e vani richiami prima al 'massaro' della Nuova, poi allo stesso proprietario, aveva provveduto a sequestrare 'manu militari' diversi capi di bestiame della cascina ed a condurli in Ovada nelle sue stalle. Figuriamoci lo sdegno del Marchese di Silvano, che si sentì, per questo atto di forza, gravemente leso nei suoi diritti feudali dal temerario Capitano Lomellino. La sua reazione fu immediata e consona ai metodi di quel tempo: convocò i suoi contadini e vassalli e decise di fare una spedizione armata su Ovada per riconquistare il bestiame ed infliggere una buona lezione al troppo ardito e sconsiderato capitano.
 Guerra tra Silvano e Ovada La spedizione ebbe, come abbiamo visto più sopra, un esito tragico. Nella piena notte del 5 marzo 1689 il gruppo di armati, partiti da Silvano, si diresse su Ovada. Arrivati allo Stura, il Botta si fermò e diede le ultime disposizioni ai suoi uomini per l'azione. Gli assalitori, guadato il torrente Stura (il ponte a quei tempi non era stato ancora costruito), si inerpicarono per lo scoscendimento naturale e di qui entrarono direttamente nel borgo basso, evitando le porte, che bene o male erano chiuse e guardate. Una parte di essi si diressero alle stalle del capitano, altri si appostarono qua e là per sostenere l'azione dei guastatori ed impedire alla gente del borgo di accorrere. La relazione del Capitano Lomellino al Serenissimo Senato di Genova è chiara in proposito: "...et entrate esse (genti monferine) nel luogo di Ovada, occuparono tutti li posti et cantonate, et subito con pali di ferro percossero per una hora et mezza di continuo la porta delle mie stalle....". Questi colpi d'ariete vibrati con forza ed il vociare che facevano gli scassinatori assiepati davanti alla porta delle stalle ("...ruba bovi! Viva il Duca di Mantova! Viva il Marchese di Silvano!..."") nonchè il suono della campanella d'allarme suonata dal Capitano, destarono di soprassalto i buoni borghigiani ovadesi che, se tentavano di affacciarsi od accorrere, ne erano impediti da quei tali appostati sulle cantonate o sotto gli archivolti che, con minacce e spari di archibugio, intimavano loro di ritirarsi e rinchiudere. E, in questo frangente, ci rimise la pelle il povero Giovanni Pescio che, affacciatosi imprudentemente, fu poi trovato ucciso "con botta in mezzo alla testa in propria casa sopra della finestra.".
 Guerra tra Silvano e Ovada Finalmente, i rintocchi della campana a martello che venivano dal campanile misero in moto anche quei pochi soldati della scarsa guarnigione del castello che, accorsi in fretta e furia ed armati di tutto punto, iniziarono, con l'aiuto di quei borghigiani più ardimentosi, la caccia agli assalitori. Vi furono inseguimenti e spari da una parte e dall'altra con feriti gravi, e ventisette di quei monferrini che avevano avuto l'incarico di sorvegliare il paese, furono accerchiati e fatti prigionieri sotto un archivolto. Uno di questi, il Giovanni Andrea Passalacqua, ferito gravemente, morì poi alcuni giorni dopo, l'11 marzo, per le ferite riportate. Ma il danno era fatto e quei pochi che erano riusciti a fuggire si erano portati dietro anche i diversi capi di bestiame asportati dalle stalle del capitano. Dei prigionieri, inviati subito a Genova e ben bene inquisiti sotto tortura, non ne conosciamo la sorte che, nel migliore dei casi, fu certamente quella del remo a vita.
Il Botta, riparato a Casale ed impensierito per le impensate conseguenze del suo gravissimo atto, in una lettera indirizzata al Conte Alessandro Grattarola Beccaria di Grognardo, Capitano delle Milizie del Monferrato, tentò di fare apparire che l'ordine di portarsi ad Ovada e riprendere il bestiame fosse partito da Mantova: "...il seguito si è che sotto i 9 dello scorso febraro piacque al Sr. Capitano di Ovada far fare una invasione di stato potentissima, del che avvisato io in Genova, stimai atto di mia atenzione farne passo con Sua Serenità e Ill.ma Giunta de Confini. Fra questo mentre vennero gli ordini pressanti della Altezza Sua di Mantova acciò si riprendesse li bestiami nell'invasione di Stato rappresagliati che si trovavano in Ovada nella casa del Capitano; ne veduta alcuna promissione per la parte della Repubblica, non hanno potuto a meno questi sudditi di non essere hieri in Ovada a ripigliarsi con costo di un morto, tre feriti e venticinque prigionieri per la parte dei Monferrini, e per quella di Ovada uno gravemente ferito, altri leggermente, e due morti per quanto mi dicono. V.S. Ill.ma perdoni l'infado e mi dia l'honore di servirLa come vivamente bramo.".  Guerra tra Silvano e Ovada Come si vede, in questa lettera i fatti sono grossolanamente travisati e falsificati per giustificare un'azione personale dove la ragione di stato non c'entrava proprio per nulla. E' vero bensì che, a cose ormai avvenute e con l'incidente ancora caldo ed abbastanza scottante, Mantova non poteva fare a meno di prendere a cuore la faccenda, più per proteggere dalla giustizia genovese il suo vassallo ed i proprii sudditi che per giustificarne l'operato ed assumersene la responsabilità. Vi furono scambi di note diplomatiche dove si voleva "...che fussero rilassati li prigionieri e che ne seguisse quel detto che chi ha avuto ha avuto, non essendo adesso tempo di far festa, acciò altri venghino a ballare...". La Repubblica di Genova però, e malgrado l'interessamento personale del Duca di Mantova ed anche di alcuni diplomatici francesi, non cambiò opinione ed i giudici genovesi, forti del fatto che la Cascina Nuova era nella giurisdizione di Ovada e che il sequestro di bestiame era un fatto più che legale e non costituiva alcuna violazione del territorio, ma se mai era da considerarsi come una semplice vertenza fiscale e che la violazione del territorio con tutte le altre conseguenze era stata effettuata da parte del Botta, ritenendolo pienamente colpevole, lo condannava "...in pena della testa, confiscatione de beni e fra questo mentre in perpetuo esilio da tutto il Dominio della Serenissima Repubblica di Genova in modo tale che pervenendo in alcun tempo nelle forze di giustizia sia condotto al luogo del patibolo, et ivi dal ministro di quella li sia troncata la testa dalle spalle in modo tale che naturalmente muoia, e l'anima se gli separi dal corpo.". Veniva inoltre ordinata la devastazione e distruzione di tutti i suoi beni rustici o no situati nei Domini della Repubblica. E qui l'ultima parola l'ebbe il Capitano Lomellino, che il 30 aprile 1689 con "quantità di guastatori e tagliadori" si recava alla Cascina Nuova e la faceva saltare con una potente mina. Nella sua relazione al Senato Genovese il Capitano di Ovada annota, con non celata soddisfazione: "Molta gente del Silvano, ne loro confini, stavano vedendo.".
 Guerra tra Silvano e Ovada Nello stesso anno 1689, il 31 dicembre, nasceva in Pavia, quarto figlio del nostro feudatario di Silvano e di Maria Matilde Lupi sua sposa, Antoniotto Botta Adorno che, cinquantasette anni dopo, nel 1746, Generale e Maresciallo di Campo al servizio di Maria Teresa d' Austria, doveva distinguersi e diventare tristemente famoso per le repressioni, la durezza e la tracotanza del suo comportamento durante l'assedio di Genova che si concluse poi con l'episodio di Balilla in Portoria il 5 dicembre 1746 e la cacciata degli Austriaci. Molti cronisti di quel tempo e storici successivi hanno descritto il Generale Antoniotto Botta Adorno come animato da estremo odio e risentimento verso la Repubblica di Genova per il fatto che il padre suo Luigi era stato condannato a morte in contumacia per attentato contro la sicurezza della Repubblica ed omicidio. Aggravante di tutto questo era il fatto che il Generale Antoniotto, per il nome che portava, poteva ritenersi come genovese e, pertanto, da giudicare alla stregua di un qualsiasi traditore della patria marciante alla testa del nemico contro la sua città.
A nostro parere, il Botta di genovese non aveva che quell'antico cognome di Adorno che risaliva ad un'eredità di un secolo prima. Nato da padre lombardo e da madre parmigiana, egli crebbe, fu educato e visse sempre nell' orbita dell' Impero dove percorse tutta la sua carriera militare che lo portò, in seguito e casualmente, ad impugnare le armi contro Genova. Non sappiamo quanto potè influire sul suo operato il ricordo della lontana disavventura del padre. Certo è che la disastrosa campagna di Genova non gli fruttò che amarezze e dispiaceri. Ai primi di febbraio dell'anno dopo, 1747, fu spogliato, dalla Corte Imperiale Viennese, del supremo comando dell'esercito, che venne affidato al Conte di Schulenbourg. Il Botta, messo a riposo, ebbe in seguito incarichi diplomatici in Spagna nel 1750 ed in Toscana nel 1759. Ritiratosi a vita privata in Pavia, vi morì nel 1774, ottantacinquenne.

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