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Collaborazione a "L'Almanacco dell'Ovada Perduta".


Articolo n. 44 - Collaborazione a "L'Almanacco dell' Ovada Perduta" - A cura Ente Manifestazioni Ovadesi - Assessorato alla Cultura e Turismo - 1978.

Parte Prima - Presentazione.

Il titolo di questo libro mi da lo spunto per proporre e riportare una descrizione dell' Ovada di cent'anni fa che uno scrittore dell'epoca ci ha tramandato Pier Luigi Bruzzone, simpatico e bizzarro tipo di signore ligure-piemontese dell'epoca, colto conoscitore di luoghi, di costumi e di usi locali nonchè di scelti vini ed ancor più amante della buona tavola, si dilettava sovente, antesignano del turismo moderno, di percorrere in carrozza le nostre ubertose terre collinari, i nostri bei paesi dove visitava amici e conoscenti ma, più che altro, per soffermarsi per succulenti cene nelle nostre invitanti e ben dotate locande. Da queste periodiche scarrozzate, che erano poi delle vere e proprie crociere perchè duravano ininterrottamente anche quindici-venti giorni, traeva poi, soddisfatto, le sue impressioni che, da buon diarista, scriveva e pubblicava a sue spese.
Stralciamo, appunto, da uno dei suoi numerosi opuscoli intitolato "Torri e Castella', edito in Alessandria dalla tipografia di Carlo Bernabè nell'anno 1875, una sua brillante, vivida e quasi fotografica impressione ovadese. Nella sua chiara, arguta e piacevole prosa, il Bruzzone ci anticipa di quasi cinquant'anni le liriche del nostro Gajone.
"..... Sarà meglio prima far sosta ad Ovada, patria di Domenico Buffa e del forbito traduttore di Klopstok, il Padre Cereseto delle Scuole Pie. (......) Ovada è un bel paese, ricco e simpatico; aggregato varie volte a circondari e provincie piemontesi, serba intatto il suo carattere ligure; pare un sobborgo di Genova, sebbene ne lo separino monti, acque e molte miglia di strada alpestre; pare d'essere a Sampierdarena. Si eleva sopra una lingua di terra che siede tra i confluenti della Stura e dell' Orba e, come dal pulvinare d'un anfiteatro romano, si domina di la tutta la valle orbasca, cinta ai lati da ubertosi colli che le si alzano all'intorno come le sponde di una culla. Nel suo genere non ha nulla da invidiare ne al Bellosguardo di Firenze, nè al Posilipo (sic) di Napoli. Da qualunque parte si volga l'occhio, vi hanno ricordi medioevali; torri, castella, santuarii, gentilizie dimore. Si sale così alle memorie delle lotte feudali che qui furono e, pensando al passato dominio dei Malaspina e degli altri che vennero dopo, si tocca con mano la fugacità delle umane cose. Non vorrei però cader nel patetico e pescar metafore nel mare magnum delle parole sonanti. Scendiamo alla prima locanda, e il locandiere ci accoglie come si accolgono i vecchi amici. Ci conosciamo da sì lungo tempo! Nel paese v'è quel movimento che indica ricchezza: rumore di filatoi, canti d'operaie, cigolio di carri che portano casse d'uva.... L'uva! Questo bellissimo sorriso di Bacco, è quest'anno in tale abbondanza da fare imbarazzo e sgomento. E sono queste uve sceltissime, dalle quali sgorga un sugo generoso che veramente meriterebbe di trovare un Francesco Redi, che in ditirambo ne dicesse le lodi. E' uno dei commerci principali del luogo, e vi dico io che in altri tempi i marenghi piovevano. (.....) Sono luoghi benedetti dalla Provvidenza; ci si mangia da canonico e ci si dorme da principe...non spodestato.". A questo punto ogni commento è perfettamente inutile; il Bruzzone ci ha proprio detto tutto.

Parte seconda - La Civica Scuola di Musica.

Le prime notizie della scuola musicale ovadese ci fanno risalire lontano nel tempo. E' certo che già alla fine del 1700 il sodalizio, se non proprio come scuola nel senso stretto della parola, funzionava già come una formazione ed associazione di amatori di musica nella quale diversi dei suoi componenti davano vita ad un complesso bandistico che si esibiva "gratis et amore' nelle svariate manifestazioni festaiole del borgo. Soltanto con i primi decenni del secolo successivo troviamo una formazione già più omogenea e con scopi più vasti nel campo dell'insegnamento musicale e concertistico. E' il periodo della Società Filarmonica, con a capo un maestro che dedica la sua attività per il buon funzionamento della nuova Banda che si sta formando su solide basi di istruzione e di tirocinio. Ricordiamo il maestro Zelweger, svizzero di San Gallo, del quale abbiamo certe notizie e che fu anche stimato insegnante d'armonia nell' Istituto Musicale di Genova. Subito dopo viene il periodo aureo del maestro Antonio Rebora, che si protrae dal 1848 al 1860 e che si rivela come un momento di attività intensissima e fervida nel quale la Banda, come filiazione maggiore della scuola, miete i suoi più grandi successi. La composizione del corpo bandistico dell'anno 1848 l'abbiamo completa da una cronaca del tempo che ci elenca tutti i componenti:
Fratelli Bruzzone, Fratelli Frixione, Fratelli Bovone, Fratelli Carlini, Massa Paolo, Mongiardini Gio Battista, Isnaldi Stefano, Beccaria Isaia, Pizzorno Giuseppe, Borassi Gio Battista, Ravera Angelo, Minetto e Priolo Giacomo. Come si può notare da questa elencazione i nomi dei musicanti sono prettamente ovadesi e le componenti familiari del nostro complesso bandistico abbastanza evidenti.
Eredi del Rebora nella direzione musicale ricordiamo i maestri Abbiate, Taschini, Minetto, Peloso, Icardi, Roggero, Gozzi, Montano, Guindami, i Gaione, Rabino, Baldi, Lumia, Torello e, via via, fino a Simoncini, Di Marino, Paolo Peloso, Attilio Ratto, Terzano, Cesare Marchini e Renato Bellaccini, che ne è l'attuale ed apprezzato direttore. Per quanto riguarda la sede della scuola, si suppone che nei primi tempi essa sia stata sempre ospitata nelle case dei vari benefattori e maggiorenti. E' certo che il maestro Rebora approntò per questo scopo diversi vani della sua casa sita in piazza della Loggia Vecchia (ora Piazza Mazzini). Venne in seguito trasferita in locali interni all'antica parrocchiale di S. Sebastiano che, sebbene il sodalizio non fosse ancora civico, il Comune, riconoscendone le finalità didattiche, aveva messo a disposizione. Per breve tempo fu in Corso Regina Margherita (ora Corso Libertà), indi negli stabili dell'antico convento domenicano che, ancora allora, erano di proprietà comunale. E' necessario ricordare che nel periodo che va dal 1890 al 1915 la Banda che, per ricordarne la memoria, si era intitolata al suo grande maestro Antonio Rebora, vinse non pochi concorsi di carattere regionale e nazionale e, di questi, vogliamo rammentare quello di Genova per le manifestazioni colombiane del 1892 con il maestro Gajone, quello del 1893 in Alessandria con il maestro Guindami, quello di Acqui nel 1904 con Gajone ed infine quello di Genova, sempre con Gajone, dove il nostro gruppo musicale fu posto fuori concorso con premio speciale per evitare il ritiro di altri corpi bandistici.
Nel 1926 il Comm. Emilio Rebora, figlio dell'insigne maestro Antonio, per onorare la memoria del padre e per assicurare la continuità, il progresso e l'incremento della scuola, faceva una prima donazione di 200.000 Lire, affinchè con la rendita di queste il Comune potesse aumentare la somma già stanziata per il mantenimento di detta scuola, che già era stata dichiarata "civica' e che già da allora si sarebbe arricchita di una nuova sezione Archi ed un' eventuale componente corale.
Sette anni dopo, nel 1933, essendo ancora la scuola senza una fissa e degna sede, lo stesso Comm. Emilio Rebora donava al Comune di Ovada il palazzetto padronale di via San Paolo, condizionando questo suo ulteriore atto di liberalità all'impegno da parte del Comune di mantenere in perpetuo lo stabile donato quale sede perenne della "Civica Scuola di Musica Antonio Rebora", esclusa qualunque altra destinazione.

Parte Terza - Un poeta risorgimentale: Antonio Rebora.

Il nome di quest'uomo è conosciutissimo nella nostra cittadina perchè legato all'istituzione della Civica Scuola di Musica che è a lui intitolata. Ma noi vogliamo ancora qui ricordarlo sotto il triplice aspetto del patriota, del musico e del poeta. Nato il 17 gennaio 1815 in Ovada da Antonio Maria e da Anna Ivaldi, forma la sua prima educazione nelle scuole scolopiche ovadesi e la perfeziona in Torino, dove studia lettere e filosofia. In questa stessa città, sotto la direzione del maestro Giovanni Belloli, apre la sua conoscenza verso la musica, sottoponendosi a profondi studi di armonia, di composizione e di contrappunto. Rientrato in Ovada, lo troviamo, nel 1848, a trentatrè anni ed in piena maturità, assiduamente impegnato nel movimento patriottico dell' Unità d' Italia.
Nella nostra citta vi erano in quell'epoca disunione e discordia conseguenti al momento politico particolarmente delicato che stava attraversando in quel momento il Regno Sardo (1). Il problema dell' Unità Nazionale batteva alle porte anche del nostro piccolo borgo e, se vi furono allora degli ovadesi che si dettero da fare per apportarvi il loro modesto contributo, noi, oggi, dobbiamo dare loro atto per essere stati chiaroveggenti e precursori. Il maestro Rebora era uno di questi; uomo di antica famiglia ovadese, signore di eclettica e vasta cultura, musicista, poeta, mecenate e munificente, compendiava la sua signorilità con lo spirito arguto e popolaresco degli ovadesi di antica schiatta; e da questo spirito traeva quel sottile umorismo benevolo che lo rendeva benvoluto e simpatico a tutti. Amico di Antonio Nervi (del quale era quasi coetaneo e per il quale compose una Messa di Requiem nel 1836), di Gian Domenico Buffa, del Cereseto, di G.B. Torrielli, di Benedetto Cairoli e corrispondente assiduo di Ugo Bassi, del Brofferio, del Guerrazzi e di Gustavo Modena, non poteva non risentire l'influenza di tutti questi uomini insigni che tanta parte ebbero nella realizzazione del Risorgimento. Impossibilitato a partecipare personalmente alla grande epopea nazionale, non mancò di tenersi in costante contatto col Bertani in Milano e Genova, al quale fece sempre pervenire, settimanalmente, ingenti somme di denaro destinato alla causa italiana. Musicò lo "Stabat Mater' degli Italiani del Ferraio con calde ed appassionate intonazioni melodiche e, siccome come musicista era pur anche poeta, scrisse allora le sue "Canzoni' ed i suoi "Sonetti Patriottici', alcuni in italiano ed altri in vernacolo, ma tutti traboccanti di fede e di speranza nei destini della Patria.
Di tutta queta vasta produzione letteraria, andata per la sua maggior parte dispersa, ci è stata conservata intatta quella sua ode di omaggio dialettale all' Italia che egli compose nel 1848 in occasione della Festa Patriottica che si svolse in Ovada il Giovedì Grasso di quell'anno. Fu declamata da lui stesso durante il famoso pranzo imbandito nella "Piazza del Pallone' (oggi Piazza Garibaldi) ed ebbe così tanto successo che venne stampata dalla Tipografia Moretti di Novi Ligure e divulgata in diverse migliaia di copie. Lo spazio non ci consente di riportarla se non per qualche breve strofa, ma in essa vi si trova tutta l'italianità del Rebora, la sua ardente ispirazione patriottica e lo sprone agli italiani ad unirsi compatti per combattere lo straniero oppressore:

(.........)
A quei tempi i eru frustei
Fuicai, scioppi, pieure,stanghe
d'seinque rase e foscia d'sei
tirè feura feina er vanghe;
chi faxeivu tra lui guera
sci, zurumle da italiagni
per mangè an tra nostra tèra;
ai trattruma pez che cagni.

i gnivu zu a rubè pagnotte
e per paga i eru botte;
i sbragiavu libertà
per fichene u nasu an cà
per tradine.... e l' Italia al sà!

(...........)

Figurev na bala feia
ricca, unaxta e ben vesteia
che a sta a l'erta e as mira an giru
per timù de quarch' brut tiru

(..........)

l'un u s'avsceina, l'atru u uarda
ma d'tuchè anscieun s'azarda;
eccu chi: sa bala feia
re l' Italia tutta uneia.
(...........)

Le speranze che il Rebora manifesta in questa sua poesia del 1848 potrà egli stesso vederle quasi del tutto realizzate perchè si spegnerà in Ovada nel 1861, quando l' Unità d' Italia sarà quasi compiuta.
Avendo ricordato il Rebora, non possiamo non accennare ad altri due poeti dialettali ovadesi che si collocano tra la fine del 1800 ed i primi decenni del 1900. Essi sono Francesco Carlini e Pietro Peloso. Il primo, maestro di scuola, scrisse nel 1881 quella spassosa composizione intitolata "Ra Carossa du Diau" che fu recitata dagli allievi delle Scuole Pie in occasione dell'inaugurazione della tramvia Novi-Ovada (2). Il secondo, organista della Parrocchiale, ci ha lasciato una serie di sonetti ancora inediti ma pur bellissimi da cui traspare e si materializza per noi vivacissima la vita borghigiana ovadese di quel tempo.
Rebora, Carlini e Peloso saranno un pò i maestri e gli ispiratori dell'insuperato Colombo Gajone, del quale conosciamo appieno la produzione letteraria dialettale che, curata minuziosamente da Emilio Costa e tradotta in lingua, è stata riunita e data alle stampe dall' Accademia Urbense. Nel nostro secolo il Gajone è stato poeta dialettale di primissimo piano e dalla sua fervida immaginazione sono scaturite un'infinità di poesie, di sonetti, di stornelli e di strambotti che recano tutti quel respiro lirico caratteristico e spontaneo ispiratogli dalla nostra terra, dal nostro folklore, dall'operosità dei nostri artigiani e contadini e dalla grazia muliebre delle nostre donne. A questi uomini dobbiamo la conservazione della tradizione popolare dialettale che, se pur sopita oggi, rimane sempre alla base della nostra antica e recente storia locale.

Parte Quarta: Ovada e l'epopea Napoleonica.

Il racconto di vicende storiche di carattere particolarmente drammatico, pur se interessano una località o una zona circoscritta e conosciuta, siano poi esse vicende piccole o grandi, ci viene più vivo se queste provengono da documenti d'epoca che essendo stati redatti per la maggior parte da testimoni oculari o da coloro che in tali fatti ebbero parte diretta, danno completo affidamento sulla veridicità, l'esattezza e la vivacità dinamica di quanto viene narrato. Trattandosi poi di diari o di lettere nelle quali l'estensore si attiene strettamente al fatto senza lasciarsi andare con la fantasia e, con la semplicità dell'esposizione, fa risaltare ulteriormente ogni piccola circostanza o particolare dando ad essa il vero sapore del tempo, del costume e dell'ambiente in cui avviene, l'effetto è veramente più efficace, perchè ci riporta quasi ad una rappresentazione visiva attuale di tali avvenimenti. Infine, se questi documenti anzichè da privati sono stati stilati da enti amministrativi o politici ufficialmente riconosciuti e rappresentati, allora ci si rivela con tutta la sua vivezza la realtà storica.
Gli eventi che qualificarono in Ovada lo spazio di tempo che va dal luglio 1798 alla seconda metà del 1799 e fino all'epoca immediatamente susseguente la battaglia di Marengo (14 giugno 1800), ci sono stati quasi giornalmente tramandati da un epistolario autentico che la Municipalità di Ovada mantenne in quel periodo con i vari dicasteri del Governo della Repubblica Democratica Ligure. Questa documentazione esiste, sebbene incompleta e forse manomessa, presso l' Archivio Storico Comunale ovadese e, se possiamo oggi visionarla, è perchè essa è, molto probabilmente, sfuggita alla dispersione di testimonianze scritte che avvenne durante e dopo quell'epoca che, come tante altre precedenti e seguenti, fu caratterizzata dal caos, dalla confusione e dal disordine portati dagli avvenimenti contingenti. Questa raccolta di lettere, come già detto, è conservata nell' Archivio Comunale in un'unica cartella portante il numero 6 e situata nello scaffale 60 al piano 5 del Reparto Storico; è venuta alla luce durante la ristrutturazione dell'archivio stesso ed è stata debitamente catalogata si da non poter più andare smarrita (3). Trattasi di due fascicoli alquanto consunti e certamente incompleti che portano per titolo "Libro di corrispondenza principiato l'anno 1798 - 14 luglio e proseguito sino ai 18 maggio 1799" e "Registro di lettere dell'anno 1799 di maggio, fino al 22.12.1800 inclusive.". Se il primo fascicolo si presenta abbastanza in ordine, il secondo risulta scompigliato, non completo e mancante di non pochi quinterni. Ciò non toglie però, che, nonostante questa carenza, si sia potuto ugualmente ricostruire il filo cronologico di quanto avvenuto in Ovada in quel tempo.
Come sappiamo, dopo la prima vittoriosa Campagna d' Italia del Buonaparte (4) nel 1796, la oltremontana ventata rivoluzionaria era scesa su tutto il genovesato e, nel 1797, tra la dispersione di emblemi oligarchici, di patenti di nobiltà ed in mezzo a tutte le violenze conseguenti, spegnevasi, con il concorso dell'indolenza della sua classe dirigente, della pressione determinante delle armate francesi e le turbolenze degli elementi giacobini, l' antica Repubblica aristocratica genovese, per fare posto a quella che si intitolava Democratica Ligure e si ispirava ai fondamentali principi della Rivoluzione Francese. Si erano andate così formando in tutto il territorio della Repubblica le nuove Municipalità democratiche elette dai Comizi di Giurisdizione e che sostituivano le antiche Comunità che fino ad allora avevano retto ed amministrato le popolazioni dei borghi e dei paesi. Anche per Ovada era stata eletta dalla Giurisdizione della Cerusa, che aveva sede in Voltri, la nuova amministrazione popolare che, alla data del 14 luglio 1798, periodo d'inizio dell'epistolario che prendiamo in esame, era composta dai cittadini: Stefano Olivieri con funzioni di Presidente, Antonio Giuseppe Da Bove, Lorenzo Cassulini, Giacomo Dedone, Simone Baretto per il Cantone di S.Lorenzo, Pietro Torriello per il Cantone della Costa, Bonelli, Grillo e Musso segretario. Dobbiamo dire che questa amministrazione, fin dal suo iniziale insediamento, non ebbe quasi mai vita facile in quanto era larvatamente osteggiata dalla borghesia del paese che aveva fino ad allora ricoperto le cariche pubbliche e che, a torto, vedeva nei nuovi rappresentanti democratici più degli avversari che degli amministratori. Doveva inoltre fare i conti con gli estremisti rivoluzionari che non erano mai contenti del suo operato e la pressavano perchè agisse con misure estremamente repressive e vessatorie nei confronti di coloro che non dimostravano sufficientemente la loro fede nelle nuove idee, e che non erano pochi (5). Inoltre, i rappresentanti eletti dei due Cantoni di S.Lorenzo e della Costa avevano fatto presente di non sentirsela di assumersi la carica di assessori perchè..."(...) non sanno ne leggere ne scrivere, sono troppo occupati nei lavori di campagna dai quali ricavano il loro unico sostentamento ed inoltre sono manenti e perciò avendo sempre avuto estrema fiducia negli uomini di questa Città, riposano quieti su di essi considerando la valle come una contrada di questo recinto locale come era avanti lo smembramento della nostra parrocchiale successo cento anni or sono....". In altre parole, dati i tempi ricorrenti e la situazione particolare, questi due piuttosto pavidi cittadini non avevano il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e le scaricavano elegantemente su tutto il Consiglio Ovadese; infatti l'onere di rappresentare le popolazioni dei due Cantoni staccati se lo assunse il Presidente Stefano Olivieri.
Il problema economico era infine il più difficile da risolvere. La dotazione finanziaria e le casse della Municipalità erano esauste, i continui passaggi e soste di truppe francesi e liguri, avvenute negli ultimi tempi, avevano definitivamente spremute le finanze comunali si che il passivo ammontava, già a quell'epoca, alla cospicua somma di Lire 13.250. Gli oneri non erano indifferenti, perchè si era dovuto provvedere "...alla urgente ristorazione dei ponti che minacciavano rovina."; il cittadino Giuseppe Torrielli, fornitore dei viveri alle truppe liguri, avanzava già mille lire per razioni somministrate alle stesse; il cittadino Gio Batta Frascara, che aveva equipaggiato gli stessi soldati con ben 400 paia di scarpe a lire quattro il paio, ne avanzava 1600 e tutte queste svariate forniture forzose gravavano insieme sulla Municipalità che non poteva nè sapeva come pagarle.
Il borgo, che praticamente si automanteneva con le sole risorse agricole ed artigianali locali, non poteva certo sopportare questi gravami e, pertanto, i reggitori della cosa pubblica erano quotidianamente obbligati a richiedere fondi e sovvenzioni al governo centrale genovese che, di per se già di molto impegnato con i suoi problemi, non poteva certo esaudirle. Di contro, lo stesso governo centrale imponeva nuove tasse, balzelli ed aggravi come, per esempio, una richiesta di finanziamento per uno specioso "Fondo per la liberazione degli schiavi liguri detenuti in mano dei Barberi.", che contribuivano a rendere sempre più difficile la situazione economico-finanziaria locale.
Gli incidenti ai confini con gli Stati del Re di Sardegna erano poi quotidiani; non passava giorno senza che qualche vertenza sorgesse per questioni di molini, di acque e di territorialità. Ovadesi che si recavano nei paesi vicini e che ostentavano la coccarda nazionale repubblicana erano il più delle volte insultati, osteggiati ed obbligati a toglierla e calpestarla. Altrettanto accadeva a quei forestieri che venivano al mercato in Ovada e che, per ritorsione, erano vilipesi, insolentiti e talvolta persino bastonati. La forza pubblica del Borgo, che era composta di soli dodici "Giandarmi" male pagati ed ancor meno temuti e rispettati, faceva quello che poteva e, il più delle volte, non faceva niente del tutto restandosene rintanata nei suoi alloggiamenti. Più volte la Municipalità aveva richiesto al Governo di Genova la sostituzione di questi elementi e del loro caporale: "...in quanto essi essendo da troppo lungo tempo in Ovada si dimostrano trascurati nel loro dovere, sono insubordinati e non fanno alcun servizio.", ma anche in questo non era stata esaudita.
In tale stato di cose, era naturale che avvenissero furti, grassazioni, assalti a postiglioni e corrieri e che i responsabili di questi crimini restassero di solito sconosciuti ed impuniti. Circolavano per il borgo individui sospetti, impostori che si facevano passare per ufficiali francesi, disertori delle truppe francesi e liguri, mestatori e lestofanti; tutta gente che, approfittando della situazione caotica ed imbrogliata di quei giorni, viveva d'espedienti alle spalle di chi li credeva o, peggio ancora, si imponeva il più delle volte con la brutalità e la violenza.
La Municipalità, impotente, si limitava a trasmettere relazioni e rapporti di questi fatti al governo e, nel contempo, si preoccupava di andare in vacanza. Sembrerà strano ed assurdo che in questa situazione gli amministratori democratici comunali ovadesi anteponessero i loro interessi privati a quelli pubblici, ma è d'altra parte vero che in una lettera del 13 settembre 1798 la Municipalità fa presente ai Commissari di Governo della Giurisdizione della Cerusa, di non potersi riunire in assemblea prima della metà di ottobre perchè "...costì si da principio alle vendemmie generali le quali richieggono la personale assistenza d'ogni Particolare che ne ricava la principale sussistenza e non vi ha fra li membri municipali di questo Comune che non sia in quelle moltissimo impegnato ed impossibilitato...". Giustificazione questa che non ci convince del tutto, pur portando in se stessa una scusante di impegno lavorativo non procrastinabile ma che, pur con tutte le attenuanti possibili, non può scagionare completamente quegli uomini responsabili dal buon andamento di tutto un paese. Non per nulla, sebbene altre grane fossero nel contempo insorte, il 18 ottobre 1798 questa Municipalità viene temporaneamente sospesa dal Direttorio della Repubblica Ligure e sostituita da un Consiglio Provvisorio formato dai cittadini: Giuseppe Gazzo presidente, Domenico Grillo, Domenico Toso, Roggero, Pastorino, Buffa, Prato vice segretario e Domenico Dania segretario. Gli altri incidenti e motivi che portarono il Governo centrale a questo drastico provvedimento furono i seguenti:
Era stata concessa l'autorizzazione a certi Gio Massetti e Angela Tornielli del Lago di Como "comici ambulanti" di rappresentare in Ovada, a pagamento e con figure di cera, diversi personaggi di Francia ..."con allocuzioni allusive alla rappresentanza di dette statue non consentanee al presente sistema e nelle quali si commiseravano la famiglia Capeto...";
La Municipalità, malgrado molte istanze, non aveva raccolto ed inviato a Genova alcun fondo per "La liberazione degli schiavi liguri detenuti in mano ai Barberi.";
Non si era provveduto a fare affiggere diversi bandi delle nuove leggi o, se qualcuno di essi era stato affisso, veniva nottetempo strappato e distrutto da ignoti, senza che la Municipalità prendesse alcun provvedimento.
Questa sospensione non durerà però molto, perchè già alla fine di Novembre tutti i consiglieri vengono riposti in carica dopo un'energica reprimenda e l'intimazione di curare di più gli interessi municipali e repubblicani. D'altronde, la Repubblica Democratica Ligure non poteva politicamente imporre un provvedimento di sostituzione per dei cittadini che erano stati liberamente eletti e che rappresentavano la volontà popolare; se lo avesse fatto, avrebbe essa stessa tradito i principi ai quali si ispirava e, d'altra parte, gli errori e le manchevolezze di un'amministrazione formata da uomini nuovi, ancora inesperti nelle sottigliezze politiche, non pratici di diritto amministrativo, impreparati e poco colti, non potevano essere che venialità riparabili.
La lezione certamente giovò ed ebbe i suoi effetti concreti per l'avvenire. I responsabili ovadesi cominciarono così a funzionare meglio e a mettere in atto le disposizioni emanate da Genova e, più che altro, ad ubbidire agli ordini che vengono perentoriamente emanati dal generale francese Lapoype, comandante militare della Liguria. Viene così effettuato un primo inventario delle armi esistenti in Ovada e che dovranno essere messe a disposizione della Guardia Nazionale; sono in questo modo confiscati "n. 186 schioppi e n. 8 barili di cartuccie.". Si "catasta" tutto il territorio comunale, opera questa che ancora oggi resta negli archivi e che sarà alla base di tutta la seguente regolamentazione del catasto. Si provvede alla formazione di un corpo di esploratori ed informatori che agiscano ai confini del territorio e che vigilino su tutto quanto avviene nei paesi e nelle località confinanti, allo scopo di darne immediato avviso alle autorità locali che, a loro volta, dovranno informarne il governo genovese ed il comando militare francese. In questo periodo la Municipalità, forte della volontà popolare, riesce a bloccare un primo tentativo, fatto da estremisti, per espellere i Padri Domenicani da Ovada e dal loro convento; questo verrà poi soppresso nel 1810 con le leggi napoleoniche. A questi religiosi, ai quali erano stati confiscati i beni, viene concessa una pensione annua di Lire 400 per ogni sacerdote e di Lire 250 per ogni fratello laico al fine di compensarli delle proprietà perdute e perchè possano continuare la loro opera che si esplicava particolarmente nell'istruzione scolastica della gioventù ovadese.
Indipendentemente dalla situazione locale ovadese che siamo andati esponendo e che era già di per se stessa abbastanza difficile data la collocazione geografica del borgo che lo poneva in posizione estremamente offensibile ed esposta, nelle lettere che in questo tempo l' Amministrazione invia a Genova e dalle informazioni che gli esploratori trasmettono, si sente affiorare il penoso ed assillante travaglio politico, sociale e militare che turba e rende inquiete queste nostre regioni nei mesi che precederanno la battaglia di Novi.
Già alla fine del 1798 la Municipalità informa il governo e le autorità militari che una banda di circa quattrocento individui controrivoluzionari, venendo da Nizza ed escludendo la fortezza di Acqui troppo ben difesa, è arrivata fino a Visone e Morsasco. Gli esploratori vigilanti ai confini precisano con testuali parole che "questi perfidi realisti entrando nei paesi fanno svellere o tagliare i Sacri Alberi. Ma da Alessandria si è mosso un forte reparto francese con cannoni che passando per la strada a valle del Belbo va a rinserrare i vili tra Nizza ed Acqui, così che questi vili saranno presto dissipati e finiranno la loro fonzione con pagare col sangue il fio della loro scelerata idea...", e la Municipalità chiude la sua lettera al governo, assicurando che "..tali notizie hanno rimesso la nostra città in calma e si vanno usando e si continuano le dovute precauzioni.".
Non passano due mesi che altre notizie di turbolenze vengono riportate dagli informatori e ritrasmesse dalla Municipalità al Direttorio Esecutivo di Genova: "... li 26.2.1799, dal mezzogiorno alle ore sette in cui scriviamo li paesi di Strevi, Rivalta, Visone, Cassine ed altri sono in insurrezione che della guarnigione di Acqui si erano portati vari francesi in Strevi all'oggetto di sedare il tumulto e che da que' paesani sia stato ucciso il comandante; che vi si era portato pure il Vescovo d'Acqui con altri soggetti per lo stesso oggetto, che lo stesso e gli altri fossero stati trattenuti in ostaggio ed indi rilasciati e finalmente che in Acqui quella poca guarnigione francese era stata obbligata a ritirarsi nel castello e che la città sia stata invasa dagli insorti che per quanto si è potuto sapere non sono più di trecento, motivo che fa credere che in detta città vi sia del partito degli stessi li quali gridavano e facevano gridare: Viva il Re. Quantonque sembri che per noi non vi sia che temere, ciò non pertanto per il buon ordine si sono ordinati due picchetti a quelli confini e le pattuglie per la città. Si sono fatte spedizioni per essere maggiormente accertati dei fatti ed avendo notizie di maggiore rilievo ci faremo premura di trasmetterle. Si danno a questo proposito anche avvisi alla Municipalità di Rossiglione affinchè invigili...". Queste allarmanti notizie di quanto avviene nei paesi vicini inducono il governo ligure ad inviare in Ovada un distaccamento di 150 uomini di truppa. Queste truppe, al comando del cittadino Capitano Boccardo, devono sostare molte ore sulla piazza di Ovada per attendere che si provveda al loro alloggiamento ed inoltre il problema del loro vettovagliamento si presenta subito alquanto difficile per il fatto che i locali fornitori non sono troppo propensi a vettovagliarle essendo ancora in credito di molte migliaia di lire per forniture precedenti non ancora pagate. Il 10 marzo 1799 arrivano notizie che l'insurrezione nei paesi vicini è stata domata e molti dei capi facinorosi sono stati fucilati in Acqui ed altri arrestati. Il primo di aprile vengono formate tre compagnie di Guardia Nazionale che avranno il compito di vigilare ai confini, di tutelare l'ordine pubblico e di coadiuvare con le truppe regolari liguri per qualsiasi eventuale difesa militare del borgo. In un clima così vasto di apprensioni e di preoccupazioni, la Municipalità ovadese deve altresì occuparsi per limitare al massimo l'attività estremista di un "Club' giacobino che è stato aperto nella casa di un certo cittadino Pier Francesco Rossi e composto da Stefano Carlini, Domenico Saredo detto il Budego, Vincenzo Martini, Bartolomeo Piana detto il Bandito, Vincenzo Frascara detto Piscia.... "gente oziosa, sussurratori del paese, insultano e pretendono di fare quello che vogliono, beffano il capo della Guardia Nazionale e vanno a fare insulti nei paesi limitrofi...". Dalla descrizione di questi individui che abbiamo riportata da una lettera d'informazioni della Municipalità al Governo Ligure, possiamo farci un'idea con quali campioni di democrazia le autorità dovevano combattere e di quali grane questi elementi potevano creare ai reggitori della cosa pubblica in momenti così delicati e pericolosi. A complicare ancor più la già caotica situazione del borgo ci si mettono anche i soliti immancabili propalatori di notizie tendenziose: "... 29.4.1799... si sono chieste precise indicazioni alla Municipalità di Nove circa voci pervenute in Ovada che gli Austriaci sono entrati vittoriosi in Milano. Tali voci sono state portate in Ovada da un certo Giuseppe Dardano detto il Birba di Silvano il quale vi ha fatto sopra anche larghissime scommesse per conto di un tale Vittorio Pietro Vernetti di Nove. Per opportuna prudenza e siccome la notizia ha allarmato tutti li buoni cittadini ovadesi il detto Birba è stato arrestato perchè denunciato come allarmista...".
Ma la grana più pelosa che l' Amministrazione ovadese dovette affrontare in quei giorni turbolenti fu quella relativa all'aggressione del generale francese St.Cyr; di questo fatto le autorità ovadesi dovettero renderne conto non al Governo della Repubblica Democratica Ligure, bensì al generale Lapoype, comandante militare della Liguria ed al quale dovettero trasmettere lunghi e circostanziati memoriali su come si erano svolti i fatti, sulle eventuali responsabilità e sui provvedimenti presi. Da tutti questi rapporti noi possiamo qui ricostruire la vicenda: il generale Laurent Gouvion de Saint Cyr, accompagnato dal generale Musnier, dal suo segretario e da una trentina di uomini a cavallo ed a piedi era transitato sul mezzogiorno del 10 maggio 1799 in Ovada, proveniente da Genova e diretto in Alessandria per la via di Montaldo e Cassine. Data la poca sicurezza di quelle strade la Municipalità ovadese gli aveva messo a disposizione una piccola scorta di venticinque uomini della Gurdia Nazionale, comandati da un sergente, che avrebbero dovuto fargli da guida per quella strada poco conosciuta dai francesi e pericolosa. Giunti che furono, verso le ore sei di sera, nel territorio di Montaldo e, precisamente, in una località situata fra la Cappella di S.Remigio ed il Molino del Budello, furono proditoriamente assaliti e circondati da un numeroso gruppo di paesani fortemente armati che ferirono i due generali ed il segretario. I venticinque appiedati della Guardia Nazionale, poco armati e tanto meno ardimentosi, appena visti i generali cadere, pensarono bene di ritirarsi precipitosamente in Ovada dove portarono la notizia dello scontro e quella ancora più grave che il St.Cyr era stato ucciso. Questa informazione, che mise in allarme tutto il Comando Militare della Liguria e che fece intervenire direttamente il generale Lapoype, era in parte inesatta e provocata dalla precipitazione avuta dai venticinque volontari della Guardia Nazionale nel ritirarsi su Ovada. Una relazione supplementare indirizzata al Lapoype dalla Municipalità ovadese precisa quanto segue: "... che oltre al dettaglio del Sargente con 25 volontari di scorta al generale St.Cyr, che quasi spogliati si sono rifugiati il medemo giorno in questa città, da altri paesani buoni patrioti sappiamo e vi diciamo oggi con sommo piacere essere per sicuro che questi (il St.Cyr) viva in Alessandria ma con una ferita in una coscia, dove si è trasferito dopo essere stato soccorso ed assistito per qualche giorno in Cassine di Strada. Il segretario poi dello stesso trovasi nell'ospedale di Acqui ferito non con arma da fuoco ma con forte contusione al capo dall'occhio sinistro e molto indebolito per essere stato abbandonato ferito da quei perfidi ladroni monferini, nudo per più ore nel fango ed acqua per averlo spogliato sino dei calzoni. Noi abbiamo tentato ogni mezzo per farlo condurre in Ovada e levarlo dalle sanguinarie mani monferine, ma lo stesso disse non essere al caso per la molta debolezza e febre da poter reggere al viaggio. Siamo però sicuri da qualche buoni patrioti di colà che è ben assistito benchè quella città sia in una quasi insurrezione e tormentata da molti delli stessi assassini che vilmente ha trucidato alcuni francesi nel fatto indicatovi dove fu ferito detto St.Cyr e dove lo stesso e tutti gli altri Uffiziali hanno perduto l'equipaggio...".
Non si può fare a meno di considerare che la buona stella e la fortuna del futuro Maresciallo dell' Impero lo abbiano salvaguardato, in questa circostanza, dal troncare precocemente e così poco gloriosamente la sua luminosa carriera militare in una banale aggressione di terrazzani tra gli ubertosi vigneti di Montaldo.
La stessa relazione non ci dice più nulla del generale Musnier che uscì illeso dall'attentato; in essa però troviamo non poche informazioni che ci illuminano sulla precaria situazione militare nella quale si trovavano le armate francesi, quasi del tutto circondate dagli Austro-Russi che le avrebbero poi battute nella battaglia di Novi: "... da un soldato di nazion piemontese oggi qui gionto proveniente da Turino dicesi che siano li francesi ristretti nella cittadella e che li paesani di quelle partisiano in insurrezione contro li francesi.... Siamo anche a farvi presente che la strada di qui per Acqui è pericolosa e scoperta dovendosi passare longo un torrente detto Caramagna che resta fra mezzo a colline altissime e popolate e vi sono molti paesi e molti malcontenti sulle armi, tanto più che ieri in tutti quei paesi sono stati pubblicati avvisi per ordine del comandante Austro-Russo, onde non è per questa strada da tentarsi per farvi passare qualche compagnia francese al coperto, ben però molto e con tutta prestezza sarebbe necessario instradare una conveniente colonna che da Savona passasse al Sassello e Ponzone indi in Acqui dove dovrebbe esservi gionto da Alessandria un corpo non indifferente di cavalleria e fanteria francese che si è aperta la strada impegnando combattimento nelle vicinanze di Strevi.".
Come si vede da queste note la situazione si fa sempre più grave ed in Ovada gli effetti del blocco autro-russo si fanno presto sentire; vi è penuria di vettovaglie e di sale, la popolazione vive in penoso disagio, i prezzi del grano e del granone sono saliti alle stelle "..senza parlare del riso che è completamente introvabili in Ovada perchè intercettato il transito dall'oltre Po.". Il 18 maggio arriva la notizia che gli Austro-Russi sono definitivamente entrati in Novi. Il 27 avvengono incidenti tra ovadesi e paesani di Roccagrimalda; questi ultimi, venuti in Ovada con la coccarda imperiale nera e gialla sul cappello, vengono insultati ed obbligati a deporre tale distintivo, che viene calpestato e sputacchiato da giovinastri ovadesi. La municipalità teme che questo inconveniente possa venire a conoscenza delle truppe Austro-Russe che già si trovano in Capriata d'Orba e che queste possano portarsi in Ovada con intenzioni offensive. Il 31 maggio 350 cavalleggeri e 250 fanti di Suvarov entrano in Ovada e vi si stabiliscono militarmente fino al 10 agosto, quando vengono ritirati per essere impiegati alla battaglia di Novi che avverrà cinque giorni dopo. L'approvvigionamento di queste truppe costò alla Municipalità ed agli abitanti di Ovada la bella somma di Lire 70.000 per viveri, foraggi e tutto il resto. Dopo il 15 agosto cominciano a ripassare i Francesi che, sconfitti a Novi, riparano su Genova per la via dei monti. Queste truppe in ritirata si dimostrano peggiori e più fameliche delle altre; le relazioni della Municipalità al direttorio esecutivo ligure ce lo dimostrano: "...dall'avvisato giorno transitarono quelle de' francesi in numero di mille e più oltre alquanti di cavalleria, che furon proviste di pane, vino risi e carne e di Guide, ciò che importò altra somma non indifferente; queste unitamente ad altre e che fra tutte componevano il numero di ventimila ripassarono il giorno 16 del corrente mese, vi pernottarono ed ancor vi si fermarono tutto lo seguente giorno, e per provvederle si dovette, oltre le razioni di pane, vino, carni, faggioli, risi ed altro, proviste da questa Commune, ancor spogliare i Particolari in generale del pane che per loro uso avevano in le loro case, sul ponto di compettare le ventimila razioni che furono richieste senza induggio. Ieri parte di esse partirono pel Sassello e parte non indifferente restò da noi ad appostarsi in diverse parti della Costa d'Ovada e tre pichetti furon fissati oltre i ponti nostri.... e sono continuamente a nostro carico perciò da noi soli provisti d'ogni cosa.... perciò vi invitiamo a soccorrerci.... servendovi che questa sera se ne attendono altri diecimilla. La notoria scarsezza del raccolto, li vitti incarati all'eccesso, il territorio posto nuovamente da dette truppe a sacco, le minaccie dello stesso gusto a noi di continuo fatte, crediamo vi daranno tutto l'impulso ad esaudirci.".
Ed ancora, il 22 agosto: "...compiegata vi tramandiamo lettera della municipalità della Costa a noi diretta. Dal contenuto in essa comprenderete la necessità di far rittirare da quel povero luogo veritabilmente rovinato, certo corpo di truppe francesi collà tuttora esistenti, il quale perchè composto (forse bene) in la maggior parte di piemontesi ed altri fuorusciti, trattano quei sgraziati abbitanti come fossero nemici. Loro depredano il bestiame, il raccolto pendente del formentone e legumi e delle uve quantonque immature, con atterrarle persino le porte di casa ancor di notte tempo e darle il sacco. Il giorno 20 corr. di buon mattino ritornarono nuovamente ad occupare il nostro luogo le truppe austro-russe di cavalleria, e siamo perciò obbligati al di loro mantenimento come in passato. Oggi le dette truppe francesi tentando forse di venire in Ovada dalla parte verso Tagliolo, seguì fra esse truppe e gli Ussari un attacco dove rimasero feriti due ussari e uno morto e dei francesi due priggionieri. Indi si ritirarono di nuovo alla montagna verso la villa della Costa e gli Ussari al loro posto. Li cosacchi in numero di 50 a cavallo partirono al dopopranzo dell'istesso giorno del loro arrivo per quanto si dice diretti per Torino.".
Purtroppo, queste invocazioni della municipalità ovadese ai cittadini direttori in Genova saranno vane. Una deputazione formata da tre eminenti personalità ovadesi, i cittadini Oddini, Buffa e Nervi, appositamente inviata in Genova per ottenere aiuti, non riceverà che vaghe promesse perchè Genova stessa, assediata da tutte le parti, bloccata dal mare e governata militarmente dal Massena, si trova assolutamente impossibilitata ad aiutare chicchessia.
Come abbiamo già detto in premessa, il nostro manoscritto si interrompe all'agosto 1799 e non riprende che nei primi mesi del 1800. La situazione in Ovada resta immutata: i Francesi che si tengono attestati sulle alture appenniniche circostanti la Costa d' Ovada e a sud, verso Rossiglione; i presidiari piemontesi che hanno sostituito gli austro-russi che non occupano praticamente Ovada, ma la circondano tenendosi sulle colline della Roccagrimalda, di Cremolino e controllano la pianura da Silvano.
Dalle lettere, che riprendono nel febbraio 1800, vediamo che il nostro borgo, pur trovandosi in una posizione che potremmo definire come terra di nessuno, riesce, non si sa come, a mantenere le sue relazioni con Genova alla quale fa ancora pervenire i suoi dispacci ed a riceverne. La municipalità, sciolta precedentemente dagli Austro-Russi è sostituita da un'Amministrazione provvisoria che, oltre ad amministrare il borgo, deve barcamenarsi tra francesi e piemontesi. Non ci meraviglia dunque il trovare nel nostro epistolario lettere contemporanee inviate sia a Genova per evidenziare la situazione esistente e chiedere provvedimenti contro soprusi francesi e, nello stesso tempo, missive indirizzate al Maggiore Folda, comandante le truppe piemontesi in Acqui affinchè intervenga per fare cessare le incursioni e le razzìe che i soldati piemontesi delle postazioni della Rocca e di Cremolino compiono quasi giornalmente nel territorio ovadese.
Dobbiamo però dire che, pur in questa precaria situazione, l'amministrazione provvisoria di Ovada riesce a mantenere un certo ordine nel borgo. La penuria del sale, provocata a quanto pare dall'incetta che ne fa un certo Nattini, "stapolatore" (magazziniere) dei depositi di Voltri, viene risolta dall' Amministrazione facendo distribuire essa stessa il sale esistente in Ovada in base ai registri parrocchiali e razionandolo con la metà di mezza libbra a testa, che viene distribuita alle famiglie del Borgo di Dentro il Lunedì, a quelle del Borgo di Fuori il Martedì, alle famiglie di campagna il Mercoledì e a quella delle ville di Costa e S.Lorenzo il Giovedì.
Da questa ripartizione possiamo così sapere che soltanto per i due borghi, le razioni distribuite ammontano a poco meno di 5000. Vengono in pari tempo denunciati diversi individui bottegai ritrovati a "vendere sale con le mastre.." (per mastra s'intende madia e vendere con le mastre viene inteso come vendita di sottobanco e, pertanto, di frodo). Di questi borsaneristi ante litteram abbiamo anche i nomi; essi sono: "Niccolosio Bavazzano colla sua moglie, Teresa Alloigi, Paola Soldi, Bartolomeo Soldi, Giuseppe Giangrande, Tomaso Canobbio, Gio e Catterina Grugoli e un certo Pesci detto il Camorino.". Circolano inoltre nel paese molte "Cedole del Banco di Vienna', immesse sul mercato dalle truppe austriache. però queste cedole non vengono accettate in pagamento dagli "Spalloni' e dai cavallari per le granaglie che essi trasportano in Ovada. Detti spalloni e cavallari, piuttosto che accettare le cedole suddette in pagamento, rinunciano a consegnare le loro merci con grave disagio dei compratori, dei mercanti e particolarmente della popolazione che non sa come rifornirsi.
Nel mese di marzo "...alcuni inquieti cittadini, certi fratelli Pesci detti Sacchetti e compagni, prevalendosi della mancanza di forza e delle circostanze, si fanno lecito qualunque attentato ed insolenza, fanno rumore per il paese con coltelli alla mano e minacciano armati di schioppo li buoni cittadini buttandoli chiusi in carcere e ritenendosi le chiavi della priggione senza che persona alcuna possa parlare...... Ieri i francesi di Rossiglione hanno fermato in quel paese il sale speditoci, di cui siamo nella totale penuria e mancanza, ed anche dei bolotti di seta e delle cuoia. Questa novità ci amareggia altamente mentre ci vediamo aggiongere al blocco dei tedeschi quello dei francesi...".
Altrettanto realistica, dura e veritiera nella sua crudezza è una lettera inviata verso la fine di marzo dall'amministrazione ovadese alla Commissione di Governo di Genova; in essa sono crudamente evidenziati i mali, i soprusi e le violenze che la nostra piccola cittadina deve subire sia dai nemici che dagli amici, da cittadini turbolenti e senza alcun rispetto della legge; uniti alla popolazione più povera e sofferente per la carestia, che invoca il pane per sostenersi ".. è ben lagrimevole e soprendente insieme la sittuazione di questa nostra Commune; non vale per lei essere ligure, per lei non esistono le leggi più solenni, non vale per lei (permettetecelo di dirlo) neppure una giusta pietà.... Frattanto i francesi da Rossiglione ci bloccano rigorosamente; quei francesi che abbiamo sostenuto con pane e vino e soddisfatti persino colla minestra destinata dalla pietà dei Particolari ai poveri. Frattanto qui tutto è anarchia e torbidi cittadini vogliono tutto quello che lice alla loro malizia, catturano, s'impossessano, minacciano, corrono per le strade furenti ed armati, altri ci calunniano indegnamente e ci espongono maliziosi ai risentimenti del nemico vicino. E la vostra umanità, e la vostra Giustizia, cittadini, regge a questi inconcussi monumenti di sacrosanta verità?.... e le provvidenze più efficaci, e le misure più pronte, tarderanno ancora? ... Noi nulla più aggiungiamo, speriamo soltanto di potervi sempre augurare salute e rispetto.".
Questa lettera, pur con le sue patetiche invocazioni, non avrà miglior fortuna delle altre. Soltanto il tempo e le operazioni militari che nei due mesi seguenti prepareranno la battaglia di Marengo riporteranno un pò di calma nella nostra martoriata cittadina. Infatti tra il marzo ed il giugno 1800 le truppe delle due parti contendenti vengono via via ritirate per essere avviate sui campi della battaglia. L'11 luglio 1800, a meno di un mese dalla vittoria napoleonica, si avverte già in Ovada il senso della normalizzazione e del ripristino dell'ordine. Un gruppo di delinquenti comuni, rei di svariati furti di riso, grano e bestiame, con ferimenti e violenze perpetrati nelle campagne di Ovada e nella città stessa, vengono arrestati e tradotti manu militari in Voltri per essere giudicati e condannati. Essi sono: "Francesco Giacchero detto Ciccone figlio di Lorenzo detto il Luviotto. Gio Giachero suo fratello, Antonio Resecco detto Pruchino, Antonio Maria Resecco detto il Zopetto, Gioseppa Camera di Tagliolo, Ambroggio Nervi detto il figlio del Gnagna, Vincenzo Costa, Vincenzo Montaldo detto Magnacca, Domenico Garbarino e Francesco Gambarotta fu Giuseppe.". Questi dieci cattivi soggetti, riuniti in una vera e propria associazione per delinquere e veri briganti di strada, responsabili di tante malefatte, pagano per primi il fio dei loro delitti.
La Municipalità di Ovada, rimessa in carica, ritorna a poter far valere la propria autorità e si appresta a riportare il paese alla calma ed alla normalità. Sarà un lavoro lento ma costante che noi possiamo seguire dalla corrispondenza. Non sarà certamente un compito facile per essa, che dovrà risolvere tanti gravi ed impellenti problemi quali il vettovagliamento della popolazione affamata ed esausta, l'ordine pubblico, la pacificazione, il rinsanguamento delle dissestate finanze, la profilassi dei cittadini contro le epidemie ricorrenti, la disinfestazione della città dalla sporcizia e dai parassiti lasciati dalle orde militari che vi hanno soggiornato in continuazione, il ripopolamento delle campagne abbandonate e tutti quegli altri impegni di carattere amministrativo che sono alla base di ogni buon governo.
Dobbiamo dire che la Municipalità ovadese affronta con coraggio e decisione questi problemi e,piano piano, li risolve. Una delle ultime lettere del fascicolo ci informa che nell'ottobre 1800 vengono impiantati in Ovada i primi lampioni ad olio per l'illuminazione pubblica; quest'iniziativa è frutto di una pubblica sottoscrizione.
Il fascicolo termina alla data del 22 dicembre 1800. Noi abbiamo volto riportarne le parti più interessanti per un dovere che dobbiamo alla storia della nostra cittadina che, in quei tempi ormai dimenticati, protagonista di tante sofferenze e di tanti patimenti seppe, con la solerzia dei suoi reggitori, il lavoro e l'abnegazione dei suoi cittadini, risollevarsi e rifiorire.

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NOTE del curatore:

1) Cfr. Articolo n. 24.

2) Cfr. Articolo n. 28.

3) Le operazioni di riordino dell"Archivio Comunale, compresa la parte storica, furono svolte dal sottoscritto, appena assunto alle dipendenze del Comune, negli anni 1977 e 1978, dopo che nessuno vi aveva mai provveduto dalla seconda guerra mondiale. La situazione dell"archivio comunale era disastrosa, non vi era più neppure una parvenza di classificazione e risultavano dispersi e mancanti pressochè tutti i documenti relativi al ventennio fascista, probabilmente distrutti durante la Liberazione. Il lavoro che svolsi, tra mille difficoltà, portò alla luce anche un discreto settore di documenti antichi, che classificai nell"apposita sezione di Archivio Storico e tra i quali rinvenni, appunto, le due cartelle contenenti la corrispondenza della Municipalità di Ovada con la Repubblica Democratica Ligure. Ricordo ancora l"entusiasmo di mio padre quando gli accennai della "scoperta". Chiese subito l"autorizzazione a consultarle ed a fotocopiarle e poi per un paio di mesi ci lavorò sopra con pazienza ed assiduità. Alla fine ne trasse questo articolo. Personalmente, lavorai all"archivio fino ai primi mesi del 1978. Da allora l' Archivio comunale è stato riordinato altre due volte e, pertanto, la classificazione riportata dall'autore circa la posizione dei documenti potrebbe essere variata.

4) L'autore qui cita Napoleone con il suo cognome originale "Buonaparte", così come ogni buon storico dovrebbe fare; infatti Napoleone francesizzò il suo cognome, eliminando la "u", per la prima volta nella sua prima relazione inviata a Parigi quando assunse il Comando dell'Armata d'Italia. Alcuni storici suppongono che l'abbia fatto poichè, dal momento che entrava in guerra con l'Italia, aveva deciso di tagliare ogni legame con la patria originaria ("Da quando l'Italia è sua nemica, Napoleone si libera del suo nome italiano." - G.Gerosa: Napoleone-Un rivoluzionario alla conquista di un impero - Pag. 92 - Mondadori - Ottobre 1995). Sta di fatto che l'Autore non tiene conto del capriccio del futuro imperatore e, impietosamente, lo riporta a casa sua, riassegnandogli il cognome originale.

5) La costruzione della frase non ci consente di appurare se erano molti gli estremisti rivoluzionari o quelli che non erano abbastanza "caldi" circa gli ideali rivoluzionari. Sta di fatto, comunque, che le fazioni dovevano essere abbastanza nutrite sia da una parte che dall'altra e la situazione, come si vedrà più avanti nella trattazione, non era certo delle migliori.

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