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Le chiese e le cappelle di culto in Ovada nei tempi passati.


Articolo n. 30 - Pubblicato su 'Voce Fraterna' dell' Agosto 1971.

Ho già accennato vagamente su questo foglio alle numerose chiesette o cappelle di devozione che esistevano, come ancora qualcuna esiste, in Ovada e nei suoi dintorni.
Voglio ora trattare l'argomento un poco più dettagliatamente, se pure con le naturali limitazioni che, purtroppo, sono causate da carenza di documenti andati dispersi quando queste chiesette hanno cessato di funzionare regolarmente.
Quello che sappiamo di queste costruzioni lo dobbiamo in gran parte alla tradizione popolare che ci ha tramandato, se non i dati precisi della loro edificazione, almeno la certezza della loro funzionalità e dell'esistenza di alcune delle quali oggi non vi è più traccia. Un vecchio manoscritto risalente alla prima metà del secolo scorso e cioè quando ancora buona parte, se non tutte, di queste chiesette funzionavano, ci ha illuminati non poco nel saperne qualche cosa di più.
Il documento che, insieme ad altri, ho potuto reperire tra vecchie carte relegate in un vecchio armadio nelle soffitte della casa canonica, è anonimo ma, come gli altri, si potrebbe, per politezza dello stile e per la corretta esposizione dei fatti, attribuire con discreta certezza al Padre Buccelli delle Scuole Pie. Questa certezza è avvalorata dal fatto che il Buccelli, uomo dotto e preciso, fu uno dei primi Scolopi che vennero in Ovada dopo il 1827 (verso il 1834-35), era un cultore di cose locali, dirigeva le Scuole ovadesi e visse diversi anni nel nostro paese, dove morì nel 1842 (una lapide lo ricorda nella sacrestia della chiesa di S. Domenico). Si dilettava di poesia, di storia e di letteratura; ebbe per amici il Prevosto di allora Don Compalati e Don Campastro, che era a sua volta un ottimo conoscitore della storia locale. Entrambi i sacerdoti ovadesi (l'uno Parroco, l'altro Viceparroco) avevano vissuto le traversie della Rivoluzione Francese, del periodo napoleonico e della restaurazione; avevano assistito impotenti alla distruzione e dispersione del non trascurabile patrimonio bibliografico (e non soltanto bibliografico) dei conventi domenicano, cappuccino e dell' archivio parrocchiale e, certamente, con il Buccelli, avranno cercato di ricostruire, con i frammenti che ne restavano, con i loro ricordi, con le tradizioni popolari, con le antiche usanze e raccogliendo dalla viva voce degli anziani le vicende ovadesi tramandate di padre in figlio, quel poco che rimaneva delle nostre antiche cronache locali. Infatti, i manoscritti in questione sono formati da appunti e note messe giù senza alcun ordine cronologico, come scritte estemporaneamente sotto l'influsso di un ricordo o di un racconto che viene trascritto dalla viva voce di un testimone oculare. In queste note sono numerose le cancellature e correzioni, con date lasciate in bianco, sì che lo scrivente ha dovuto talvolta fare diligenti ricerche storiche, bibliografiche e genealogiche per poter venire a capo di interrogativi che gli si ponevano per il completamento di queste lacune. Inoltre, i manoscritti riportano delle aggiunte e delle note che sono tracciate da altra mano in epoca posteriore e che sono dovute certamente al Padre Perrando che collaborò attivamente anche alla compilazione del Dizionario Storico Geografico del Casalis. Ciò non toglie che noi oggi dobbiamo molto a questi antichi ricercatori, se molte notizie ovadesi sono pervenute fino a noi.
Ma, per rientrare in argomento, in tempi andati e se vogliamo far fede a quanto ci è stato tramandato da questi diligenti raccoglitori, le notizie dei quali sono del tutto attendibili, allora in Ovada e nei dintorni esistevano, tra grandi e piccole, più di venti chiese. Non è un numero molto grande come potrebbe sembrare a prima vista, se pensiamo che il comprensorio ovadese, tra urbano ed extraurbano, era allora, come oggi, vastamente esteso con confini che, particolarmente verso sud e sud-ovest, si spingevano fino ai monti della provincia savonese ed al paese di Rossiglione Inferiore il quale, fino al 1800, era ancora sotto la giurisdizione del Capitano Giusdicente di Ovada. Per quei tempi e con la carenza di strade e mezzi di comunicazione di allora, tutte queste chiese e chiesette erano più che necessarie per le necessità religiose di una fitta popolazione rurale sparsa nella zona. Dobbiamo inoltre tenere presente quanto risulta da uno Stato della Parrocchia del 1664 di dove si rileva che in quel tempo vi erano in Ovada ben 17 sacerdoti secolari, senza contare il clero regolare dei conventi domenicano e cappuccino, che fa salire la cifra a circa 30 ecclesiastici.
Di tutti questi edifici di culto, salvo ben s'intende i principali posti nel concentrico, ben pochi oggidì rimangono in piedi e, meno ancora, sono funzionanti saltuariamente. Abbiamo già narrato le vicende dei principali e, non ultima, quella della chiesa di S. Evasio, per la quale dobbiamo qui fare un'aggiunta perchè il manoscritto, inopinatamente, ci ha svelato non soltanto l'epoca della sua costruzione (nello stato più o meno attuale), ma anche il sacerdote che la volle costruita ed i motivi che portarono a realizzarla.
Dice dunque il nostro manoscritto e lo pone quasi in premessa che S. Barnaba apostolo fu il primo ad annunziare il Vangelo in Liguria e che i santi Nazario e Celso, dopo avere predicato nelle riviere, passarono dalla parte opposta dell' Appennino a confermarvi nella fede gli affigliati ed a guadagnarvi gli ancora gentili; non per nulla noi troveremo in seguito questi santi titolari delle chiese della nostra zona.
Per quanto riguarda la chiesa di S. Evasio sappiamo così certamente che essa fu voluta e costruita da Don Antonio Biribò, sacerdote di singolare pietà, che la edificò a proprie spese a seguito di una disastrosa grandinata che, nel giorno di S. Barnaba, distrusse le campagne di Ovada. Tale chiesa fu dedicata a S. Evasio, prendendo il nome dalla zona e da un'antica cappella preesistente e a S. Barnaba, affinchè questi santi intercedessero presso la Divina Bontà per risparmiare queste campagne da consimili flagelli. Infatti, ancora nel 1664, la maggior solennizzazione che si celebrava in tale chiesa era l' 11 giugno, giorno di S. Barnaba. Così abbiamo anche la spiegazione di uno dei due quadri esistenti nella chiesa e, precisamente, quello dove sono raffigurati i due santi titolari ed il donatore che prega inginocchiato in mezzo alla campagna spoglia e devastata. Tale chiesa fu costruita nel 1657 e consacrata il 13 agosto stesso anno e proprio il suo fondatore, Don Antonio Biribò, compare, nel 1680, in una contestazione per il diritto di giurisdizione di detta chiesa e terre limitrofe fra la Parrocchia di Ovada e quella, appena promossa allora, di San Lorenzo. La contestazione si protrasse per qualche anno e diede luogo a numerose deposizioni ed istanze, i documenti dei quali mi è stato possibile reperire in Archivio Parrocchiale. In essi vi è la conferma di quanto sopra detto per S. Evasio e per quanto seguirà circa San Lorenzo.
Il nostro Don Biribò, per quanto se ne deduce dai documenti, era uomo molto colto, pio ed anche facoltoso, abitava nella casa adiacente la chiesa di S. Evasio... ' ..et est Capellanus R.P. Antonius Biribò, qui habitat in domo contigua dictae Eccl.ae fabbricata sui sumptibus...' e, nel 1680, era già di una certa età e perorava insieme a quella del Parroco di Ovada, anche la sua personale causa, significando che il passaggio della sua chiesa alla Parrocchia di S. Lorenzo gli avrebbe causato non indifferenti disagi, sia finanziari per la perdita delle sue prebende, sia perchè avendo egli diversi incarichi di culto presso la Parrocchia di Ovada ed essendo Confessore di una Confraternita e trovandosi inoltre 'costitutus in senectute' (si tratta di un sottile eufemismo per dire che era già, per così dire, in pensione. Ciò non ci impedisce di ritrovare, ben dodici anni dopo, il nostro arzillo Don Biribò che sgambetta per il Borgo di Ovada svolgendo le sue funzioni di confessore....) non avrebbe potuto mantenerli nè ottemperare ai nuovi che gli sarebbero derivati se la chiesa fosse stata posta sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Lorenzo, con la quale non vi era neppure una strada di collegamento. Il Biribò, figura tipica di facoltoso abate del seicento, a nostro avviso difendeva i suoi diritti, le sue prerogative ed anche il suo quieto vivere dalle pretensioni che il Parroco della vicina nuova Parrocchia di S. Lorenzo rivendicava sulle allora molto pingui prebende che la zona rendeva. Non per nulla, in seguiro, verso la fine del 1600, quando quel territorio fu definitivamente soggetto a San Lorenzo, il Biribò trasferiva tutta la sua proprietà, compresa la chiesa, alla famiglia Pagliuso, che avrebbe così completato le sue possessioni in quella contrada.
Per San Lorenzo sappiamo che, quando nel 1680 questa frazione fu istituita da Mons. Gozzano Vescovo di Acqui, Parrocchia singola distaccata dalla Parrocchiale del Borgo di Ovada per favorire le popolazioni della vallata omonima, fu eretta appositamente, in località 'Voltesino' (tale località è più o meno oggi situata vicino alla Cascina Pajussa), dai componenti della famiglia Pagliuso (già citati nel precedente articolo sulla chiesa di S. Evasio) una chiesa sotto il titolo dei santi Angelo e Francesco, dal nome dei suoi fondatori che la istituirono anche erede dei propri beni per dote e patrimonio di quella mensa parrocchiale. Questa chiesa rovinò, molto probabilmente per difetto di costruzione, non molti anni dopo e così fu destinata ad uso parrocchiale l'antica chiesetta che già trovavasi sopra un'altura e dedicata a San Lorenzo. Il manoscritto che ci informa dice testualmente: '....chiesa sovra un poggio, isolata e scomoda assai ai parrocchiani...'. Questa chiesa, che è l'attuale che oggi noi vediamo, fu poi ingrandita ed abbellita e, in origine, era dipendente da un'imprecisata abbazia ligure ed era posseduta dalla nobile famiglia Fieschi di Genova che la permutò poi alla famiglia Ganduzza di Ovada, per passare più tardi alla Pizzorno con la quale cessò il privilegio divenendo parrocchia.
Abbiamo più sopra visto le contese che nacquero per i diritti di giurisdizione e che durarono non pochi anni anche con altre zone limitrofe, creando innumerevoli grane all' Ordinario diocesano del tempo ed ai parroci interessati.
Per la chiesa di N.S. della Neve sita in Frazione Costa, che era stata staccata dal Borgo trentaquattro anni prima, nel 1646, per meglio servire le popolazioni di quei luoghi, le cose andarono molto più liscie, salvo qualche leggero malumore che venne prestissimo sopito, anche perchè la stessa ben delimitata conformazione urbanistica della piccola comunità della frazione che trovavasi, come trovasi tuttora, concentrata intorno alla chiesa non poteva dare luogo a contestazioni di giurisdizione come in seguito avvenne per la frazione di S. Lorenzo che trovavasi in ben altra posizione geografica e territoriale. Pare anche che la 'Villa di Costa', come veniva chiamata nei documenti dell'epoca, sia stata, se pur per brevissimo periodo, comunità distinta da quella di Ovada pure per la giurisdizione laica. Alla fine del XVII secolo la zona di Grillano non era ancora parrocchia a sè, sebbene già vi fossero state costruite o ricostruite, nel corso di quel secolo, due chiese oltre quella già esistente intitolata ai santi Nazario e Celso, che poi divenne la parrocchiale della zona.
Queste piccole chiese sono quelle di N.S. della Guardia e di S. Bernardo. In uno Stato della Parrocchia di Ovada del 1664 che già ho citato, ho trovato notizie su queste chiese. Esse erano allora semplici cappelle che vennero abbellite ed ingrandite in seguito.
Quella antichissima dei SS. Nazario e Celso pare esistesse già prima del Mille e, ai tempi aleramici serviva la zona allora detta Villa Gruaglia e Montigio. Nello Stato Parrocchiale sopra citato non vi è infatti alcun cenno all'anno di costruzione, come è invece per le altre due. Nel 1729, quando venne ampliata e prolungata, fu scoperto, nelle sue adiacenze un antichissimo cimitero. Gli atti parrocchiali di Ovada ci informano che ... '...adest in Villa Grillani Capella dicata SS.mi Nazarij et Celsi, cujus bona tenens in emphiteusim a D. Cap.no Jo Bapta Pizzurnus q. Antonij et Nicolosius Pizzurnus...' i quali pagavano annualmente al MM.RR. Capitolo della Cattedrale di Acqui la somma di otto doppie di Spagna per tenerla in enfiteusi e che ne era allora cappellano il R.P. Guglielmino Bentius di Ponzone.
Questa chiesa veniva annualmente e processionalmente visitata dalla Confraternita di San Sebastiano di Ovada, che oggi non più esiste. N.S. della Guardia dà oggi il nome alla località ed è posta sotto la giurisdizione della Parrocchia di Grillano. Fu costruita nel 1661 sui fondi ed a spese di Francesco Serra, nobile genovese, che la dotò di quattro staia di castagneto affinchè vi venisse officiata una messa mensile e celebrata la ricorrenza del 29 agosto, giorno dell'apparizione di N.S. della Guardia. Ne passò in seguito la proprietà alla famiglia Berchi e, dal 1740 al 1742 il notaio Gio Batta Berchi la restaurava ed abbelliva aggiungendovi il coro ed un altare.
Su San Bernardo abbiamo soltanto le poche notizie che ci dà lo Stato della Parrocchia. Non ci è dato sapere però da chi fu costruita, perchè tale documento non ce lo dice, pur dicendoci l'anno della sua costruzione, che è il 1657 e, caso curioso, informandoci pure che questa chiesa... '...habet campanula parvula...'. Con tutta probabilità era una cappella preesistente in proprietà privata che in quell'anno 1657 fu restaurata o rifatta dai proprietari e questo ce lo fa supporre la dicitura stessa del documento che testualmente dice: '..adest Capella S. Bernardi Abb. in loco dicto 'Al Pianello' DENUO construita et fabricata anno 1657 die 29 Julii de Licentia R.mi Ordinarij, ut in filo anno ut supra...'.
Dalla parte opposta di Ovada e sulla riva sinistra dell' Orba, quasi al confine con il territorio di Roccagrimalda, esisteva già prima del 1476 una piccola Abbazia con chiesa dedicata a S. Martino. Era un piccolo ospizio servito da monaci benedettini cassinensi dipendenti dal Monastero di S.Pietro fondato in Acqui dai Longobardi. In data 17 ottobre del 1476 l' Abate del Monastero acquese Gio Maria de Scarampi, con il consenso dei Padri Martino de Dagnis e Giovanni de Raimondis, concesse a certo Nicolò de Spedia (non meglio identificato) in enfiteusi perpetua tutte le terre, possessioni e proprietà pertinenti la chiesa di S. Martino di Ovada per il canone annuo di dodici scudi d'oro. In tempi più recenti, nel 1600, avendo ormai i monaci abbandonato tale monastero, ne venne in possesso la Camera Apostolica. Ne era commendatario, nel 1629, il Cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, il quale, alla morte di Gio Batta Palleario, figlio di Anton Maria, Cavaliere Gerosolimitano ed ultimo discendente del sopraddetto Nicolò de Spedia, concesse in detto anno 1629 ai 12 di giugno le possessioni di detta abbazia in enfiteusi perpetua alla nobile Maria Doria q. Filippo, moglie di un Bartolomeo Majnero per l'annuo canone di scudi ventiquattro d'oro, che venivano pagati a quel prelato che la teneva in commenda.
Riporto testualmente queste notizie riguardanti S. Martino dal manoscritto che ho citato in apertura di queste note. Esse sono confortate, almeno per la parte più recente, da una parcella di ratificazione intestata alla suddetta Maria Majnera e stilata dal notaio Michele Cssolino nell'anno 1629. Sappiamo che, poco prima di passare alla casa Majnera ne teneva ancora la titolarità abbaziale, soltanto ai fini della prebenda, perchè ormai di monaci non ce n'erano più ed il titolo era puramente onorifico, un certo abate Pagliuso della famiglia già più volte nominata.
Inoltre, a maggiore conferma, il documento dello Stato della Parrocchia del 1664 ci dice: ... '...adest etiam Eccl.a S. Martini Ep. cuius bona sunt... Abbatie SS. Petri et Benedicti posita in civitate Aquensis, et dicta bona tenent in emphiteusim per D.D. Jo Jacobus, nunc Paulus Camillus de Mainerijs quondam Ill.mi D. Bartholomei, in qua Eccl.a celebras semel in hebdomada...'.
Così, già verso la fine del XVII secolo l' Abbazia che aveva visto tempi migliori, erasi ridotta ad esplicare modeste funzioni di chiesa campestre con la celebrazione di una sola messa settimanale. Da allora ad oggi il fabbricato ha subìto non poche manipolazioni ed è passato in proprietà di diverse famiglie. La chiesa ancora sussiste sebbene non sia più quella di un tempo per i rifacimenti ed i periodi di abbandono nel quale è stata lasciata in tempi passati. Ancora qualche anno fa vi si celebrava, l' 11 novembre, la solennità di San Martino e pare che gli attuali proprietari, Signori Garbarino di Genova, intendano ripristinare l'uso per l'avvenire. Sulle minori cappelle che esistevano in Ovada possiamo dire ben poco, sebbene di esse ancora qualcosa rimanga. Erano più che altro cappelle di devozione più che di culto, che erano solitamente costruite da facoltose famiglie nelle loro proprietà fuori delle mura. Così San Bernardino in proprietà Scasso, che trovavasi ubicata presso l'attuale P.za XX Settembre. Era stata eretta in ricordo della predicazione in questi luoghi di San Bernardino da Siena. Oggi noi la possiamo individuare nei locali dell'ex Bar Autostazione e, se facciamo attenzione, noteremo sulla parete esterna soprastante l'ingresso uno sbiadito affresco rappresentante Santa Lucia, che vi fu dipinto quando questa chiesetta venne dedicata anche a tale santa. Ancora alla fine del 1800 vi era un porticato con tre archi a sesto acuto, che fu in seguito demolito.
Su questa chiesetta gli atti parrocchiali del 1664 non ci dicono quasi nulla, limitandosi a farne soltanto un brevissimo accenno, come, d'altra parte, ci dicono molto poco su quella della Misericordia o San Bartolomeo, che trovavasi vicina al vecchio Ospedale e che ora è completamente scomparsa.
Su quella di S. Michele alle Cappellette, che venne poi incorporata nel fabbricato di un cascinale e della quale non resta oggi che parte di un affresco dell' Arcangelo in atto di uccidere il drago, non vi è nemmeno un accenno.
Lasciando da parte la chiesa di S. Antonio e quella di San Gaudenzio, allora molto importanti e delle quali abbiamo già parlato in altri nostri scritti e sorvolando su S. Ambrogio, sopra la regione Volpina, della quale già nel 1664, pur essendo stata nel medio evo meta di numerosi pellegrinaggi e sede di un piccolo monastero, non restavano ormai che i ruderi, possiamo completare questo nostro scritto accennando a San Venanzio, anch'essa in proprietà privata e che viene tutt'oggi officiata alla domenica. Questa chiesa venne costruita nel 1738 dai terrazzani della regione Requaglia a loro spese e per le loro necessità di culto ed a questo scopo stipendiavano un cappellano essi stessi perchè vi potesse celebrare la messa almeno una volta alla settimana. Chiudo questa lunga esposizione sulle chiese ovadesi con le testuali parole del manoscritto che ho citato in apertura, parole semplici ed argute che a noi moderni potrebbero forse sembrare strane: ... '...in tutte queste chiese rurali si festeggia il giorno del titolare con gran concorso di popolo 'et solatium'...'. In quest'ultima espressione si rivela il latinista forbito che era il Padre Buccelli. Il 'solatium' latino il Buccelli lo intende come giocondità, letizia, diletto, animi relaxatio, conforto, consolazione e compenso, e proprio di questo termine si serve per sottolineare la profonda religiosità degli ovadesi del suo tempo che sapevano unire la loro grande e semplice fede con la gioiosità delle loro espressioni nel magnificarla, anticipando così pure inconsciamente il motto araldico che uno dei più benvoluti, semplici, mistici e grandi parroci di Ovada, Mons. Emanuele Mignone, volle, anni dopo, assumere all'atto della sua elevazione all'episcopato, compendiando in due sole parole un intero precetto evangelico: 'Benefacere et laetari'.

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