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Ovada 1848..


Articolo n. 24 - Pubblicato su "Il Monferrino" del Marzo 1970.

Il Congresso di Vienna, come si sa, con la restaurazione delle vecchie monarchie nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, assegnò Genova con tutti i suoi domini al Regno di Sardegna.
Finiva così, dopo secoli di gloriosa storia, la Serenissima Repubblica di Genova che diventava una nuova provincia del Regno Sardo.
Anche la nostra cittadina seguì le sorti della Repubblica e, nell'ordinamento susseguente, venne incorporata nell'allora Provincia di Acqui.
 Ovada - Stampa del 1848 Fino ad allora Ovada, benchè fosse un grosso borgo con circa cinquemila abitanti, aveva sempre gravitato per la maggior parte del suo commercio e delle sue attività unicamente e quasi esclusivamente su Genova.
L' immigrazione era stata fino ad allora quasi nulla, salvo qualche rara famiglia ligure che si era stabilita definitivamente in Ovada, e si può anzi affermare che era più attiva una forte emigrazione verso Genova di membri di famiglie ovadesi che trovavano nella vicina città ligure nuove e più proficue sistemazioni di lavoro.
E' appunto con il nuovo ordinamento politico di questa zona che iniziò una vera e propria immigrazione verso questo nostro grosso borgo che, anche per situazione geografica, si trovava praticamente al centro tra tre grandi regioni quali la Liguria, il Piemonte e la Lombardia, che in quel tempo era ancora soggetta all' Austria.
E' da allora che cominciano a trovarsi nei registri parrocchiali molti cognomi nuovi di famiglie non più di origine locale o ligure, ma provenienti dal vicino Piemonte e qualcuna anche di Lombardia.
Questi forestieri, immessi in una realtà come quella ovadese, piuttosto chiusa e riservata per antica consuetudine, con usi e costumi di carattere prettamente genovese, portarono per naturale conseguenza una ventata di novità ed idee nuove che, non indifferentemente, favorirono ed accentuarono il progredire di questa nostra piccola cittadina. Essa cominciò ad espandersi, il commercio si attivò, le antiche filande, che fino ad allora avevano avuto una conduzione di tipo famigliare, cominciarono a diventare piccole industrie con tipi di lavorazione più moderni ed adeguati ai tempi.
Artigiani di altre regioni si stabilirono in Ovada impiantando laboratori per le loro attività. Si incrementò la produzione vinicola locale, già abbastanza fiorente per la qualità dei prodotti.
Insomma, il borgo di Ovada iniziò quel lento ma costante processo di progressione che doveva portarlo poi a diventare la moderna cittadina di oggi.
Si capisce che, necessariamente, questo cambiamento di carattere economico e sociale ebbe a sua volta non indifferente influenza anche sulla situazione politica locale. Gli ovadesi di vecchia schiatta o gli immigrati di più antico insediamento, abituati da secoli al governo della Repubblica di Genova, non troppo volentieri avevano accettato, come d'altra parte quasi tutti i liguri, le decisioni del Congresso di Vienna che, di punto in bianco, li poneva in sudditanza del Piemonte.
Gli altri invece, gli immigrati recenti, non avevano queste prevenzioni; nuovi arrivati in terra nuova, non trovarono subito un ambiente adatto a loro ma cercarono di adattarvisi e di adattarlo. Dovettero passare però diversi lustri e una nuova generazione dovette formarsi perchè il nuovo con l'antico si fondessero e si amalgamassero, almeno nei ceti più progrediti, per trovare quell'intesa che sarà poi alla base del progresso economico di Ovada.
Arriviamo così agli anni intorno al 1848. In Ovada è di antico uso un detto popolare che serve ancora oggi quando a qualcuno si presenta una soluzione critica ma non insanabile; si dice: "Si j'an rangià quela de'i 48, j rangiaran anche ista!", ovvero che se si è potuta sanare la questione del 1848, altrettanto si possono sanare le altre, insomma che tutto si può aggiustare. Inoltre, per dire che una situazione è ingarbugliata, difficile da risolvere, rumorosa, complessa ed intricata, si dice "L'è in quarantoettu!".
Si sa che in quegli anni i moti risorgimentali erano molto attivi non solo in Piemonte ma in tutti gli Stati d' Italia. Anche in Ovada la situazione rispecchiava quella di tante altre città, e particolarmente quella della vicina Genova, dove i tumulti popolari erano stati di non indifferente portata e dove il governo piemontese avrebbe poi dovuto inviare un Intendente Regio -che era un ovadese, il ministro Gian Domenico Buffa- per cercare di appianare le divergenze e sedare i torbidi in quella città, sempre nostalgica dell'antica autonomia repubblicana e mal tollerante l'annessione al Piemonte.
Nel nostro borgo gli animi erano divisi: vi erano i fautori dell'idea repubblicana (Mazzini, genovese, faceva buona scuola), rappresentati da coloro di più antico stanziamento e sempre nostalgici delle autonomie liguri, che erano i più tanti ed i più poveri; vi erano poi gli altri, quelli di più recente immigrazione, particolarmente dal Piemonte, appoggiati dalle famiglie ovadesi di censo più elevato che, come si direbbe oggi, si erano allineati subito alla nuova situazione. Gli incidenti erano all'ordine del giorno tra quegli animi riscaldati, e le sberle volavano con estrema facilità.
 Ovada - Stampa del 1848 Dall'altra parte, la scena nazionale non era delle più rosee per il Piemonte: l' Austria premeva ai confini di Lombardia e già si profilava all'orizzonte la prima guerra d' Indipendenza. Era necessario ed urgente, per il bene di tutti e dell' Italia in particolare, che si avviava ad essere una nazione unita, che questo stato di cose terminasse e che le antiche divergenze cessassero, anche perchè gli incombenti pericoli di guerra con l' Austria avrebbero trovato gli animi divisi e ciò avrebbe potuto favorire ancor più gli interessi stranieri.
Quest'opera di pacificazione nazionale era in atto in tutto lo stato piemontese e qui in Ovada era particolarmente sentita da persone che, al di là di ogni interesse di parte o personalistico, avevano a cuore l'unione fraterna di tutti i cittadini per l'avvento di uno Stato Italiano unito in una sola ed unica Patria. Ed a questi uomini, esponenti di tutti i ceti sociali ed appartenenti a famiglie diverse ed anche in contesa tra di loro, ma sorretti da un'alta fede nell'unità d' Italia, venne un'idea brillante ed anche un pò estrosa, ma che in seguito diede i suoi buoni frutti: quella di riunire tutta la popolazione in una manifestazione corale di italianità e fratellanza. Un comitato fu appositamente costituito e formato dal Sindaco G.B.Torrielli, dal Vice Sindaco Pier Domenico Buffa, dai Signori: Giacomo Iglina, G.B. Cannonero, Giovanni Frascara, dal Parroco Don Ferdinando Bracco e dai Sacerdoti Don Gerolamo Mongiardini e Don Gio Batta Torrielli. Costoro crearono dei sottocomitati costituiti da altre persone che si divisero il territorio ovadese in zone che visitarono e dove tennero riunioni nelle quali, usando anche della loro autorità morale, cercarono di convincere e di portare anche i più renitenti sulla buona strada.
Fu certamente un lavoro di non indifferente portata politica, almeno per quei tempi e che culminò con la famosa riunione all'aperto del 3 marzo 1848.
Questa manifestazione di carattere veramente unitario ebbe il suo culmine nell'allora 'Piazza del Gioco del Pallone' (oggi Piazza Garibaldi) dove, dopo cortei, discorsi, suonate delle Banda Civica ecc... ebbe luogo 'U disnè d'ra fratelansa', un pranzo pantagruelico offerto e servito dai signori ovadesi a tutto il popolo minuto.
Ho qui sott'occhio una cronaca locale del tempo e mi pare giusto riportarne qualche brano integralmente per fare conoscere agli ovadesi di oggi l'atmosfera di allora e la piena riuscita della manifestazione che, da quanto possiamo dedurre dalla relazione, fu veramente 'coram populo' e piena di patriottismo unitario. Ci dice dunque il nostro anonimo cronista:

".....Questo desinare splendido per chi veniva destinato (diciamolo pure con orgoglio) tornerà sempre a somma lode degli Ovadesi, che primi tentarono cosa in niun altra città forse possibile, di riunire cioè tutto un popolo fra l'abbondanza delle vivande ed il vino generoso di Ovada, senza il benchè minimo disordine, col contento e l'ammirazione di quanti, anche forestieri, si trovassero presenti a si lieta festa. Questo santo divisamento a prò di migliaia (pure estranei) che credevansi dimenticati nelle comuni letizie dei pranzi signorili erasi ideato da alcuni bottegai che per mille timori scoraggiati e soli, avevano già abbandonato l'impresa. Chi scrive di tutta fretta queste memorie, e che ben conosce a fondo l'animo dei suoi fratelli, per mostrare col fatto esservi anche in Ovada vera e generale unione nonchè per promuoverla coi paesi circonvicini, confortò, rianimò i disparati e, con l'aiuto principalmente dello amatissimo Signor Prevosto, dei MM.RR. Don Gerolamo Mongiardini, Don Gio Battista Torrielli, dei PP. Scolopi e dell'egregio giovane Sig. Pier Domenico Buffa, in due giorni, quasi per miracolo, si ebbero danaro, braccia, aiuto da tutti in tutti; e in Ovada (in quell'ore tutta a festa e colle botteghe chiuse) videsi lo spettacolo commovente di migliaia di persone che in modo al tutto nuovo segnavano un'era novella e mostravano solennemente quanto sia potente quella parola unico sostegno d' Italia: UNIONE! UNIONE! UNIONE!....".

Passa poi ad enumerare tutti coloro, con in testa le Autorità, che collaborarono e resero fattibile la riuscitissima manifestazione e non ne tralascia nemmeno uno, citando per tutti nome, cognome e professione, e da questo noi oggi possiamo appurare che tutta Ovada vi era rappresentata nelle sue famiglie più recenti ed antiche, come i Buffa, gli Ighina, i Mongiardini, i Frascara, i Cannonero, i Prato, i Rebora, gli Oberti, gli Arata, i Gaione, i Lombardo, i Salvi, i Canobbio, gli Scasso, i Bonelli, ecc... Chiude poi la sua cronaca così:

"..... Ebbesi a lodare sommamente il Sig. Teodoro Frascara (detto Scianca), capo dei sensali, che alla testa di tutti i facchini li mantenne nello ordine esemplare. Questi, unitamente a cento altri che faticarono pei tanti e vari preparativi, ebbero uno speciale banchetto nell'ampio cortile della locanda 'La Corona', e quindi con la propria bandiera si riunirono col popolo intero sulla Piazza del Gioco del Pallone ove era disposta la pubblica mensa. In sul finire, lectasi ad alta voce dallo autore M.o Antonio Rebora la poesia in ovadese dallo stesso appositamente preparata, tra le acclamazioni più vive, tutti ordinati in drappelli, preceduti dalle bandiere nazionali impugnate dai Signori Tommaso Buffa e Domenico Pesci, ambi distinti con vestire italiano, percorsero le principali contrade del borgo, tra il canto ed i suoni della Banda Civica, che già da tre ore, su di un eminente palco avea rallegrato i gaudenti di lietissime armonie. A testimoniare del plauso che meritò la suddetta Banda, e come ringraziamento, si notano quelli che la compongono: Sigg. Fratelli Bruzzone, Fratelli Frixione, Fratelli Bovone, Fratelli Carlini, Massa Paolo, Mongiardini Gio Battista, Isnaldi Stefano, Beccaria Isaia, Pizzorno Giuseppe, Borasi Gio Battista, Ravera Angelo, Minetto, Priolo Giacomo e Rebora Antonio Maestro....".

E così dal nostro anonimo informatore possiamo anche sapere la consistenza e la formazione precisa della nostra Civica Scuola di Musica nel 1848.
Ma il clou della manifestazione fu la poesia in dialetto ovadese scritta dal maestro Antonio Rebora e già citata dal nostro anonimo. Essa è un canto all' Italia ed un inno alla sua unità. Ne vorrei qui riprodurre un paio di versi dei più significativi e nei quali l'autore paragona l' Italia ad una bella giovane che tutti guardano, ammirano ed alla quale ambiscono ma che unita e concorde saprà guardarsi e difendersi da tutti:

"...Figürev na bala féia
ricca, unasta e bèin vesteia
che a stà all'erta e as mira an giru
per timù de quarch brüt tiru.

L'un s'avxéina, l'àtru u uàrda
e d'tuchè ansciun s'azzàrda.
Eccu chi: sta bala féia
r'è l'Itàlia tütta unéia (.....)

Tutta Itàlia unéia sarà
cun l'antiga libertà
e l'Itàlia sa si-e métta
a cantrà ra girumetta
Viva l'Itàlia! L'vève ra brétta!.."(1).

Quest'ode vernacola, che è pure molto lunga, ebbe allora un tale successo che fu perfino stampata in un apposito opuscolo presso la Tipografia Moretti di Novi.
Concludo queste note ricordando che il maestro Antonio Rebora fu, oltre che un insigne musicista e poeta, anche un valido esponente dell' idea dell' Unità d' Italia e, insieme a lui, devo doverosamente ricordare altresì altri uomini ovadesi di quel periodo quali il G.D.Buffa ministro, il Padre Scolopio G.B.Cereseto, il Gio Batta Torrielli Sindaco che ospitò per lungo tempo nella sua casa di contrada dei Cappuccini (ora via Benedetto Cairoli), esule di Lombardia, il musicista Emanuele Borgatta e Francesco Gilardini (2).
A questi uomini, taluni dei quali sono ancora oggi ricordati nella toponomastica cittadina, va il merito di avere in quei momenti difficili saputo tenere alto il nome della loro e nostra cittadina e di essersi prodigati non soltanto per essa ma pure per la nostra Patria comune.

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NOTE del curatore:

1) Questo testo è già stato riportato nell'art. 8. Ne forniamo qui un'interpretazione in lingua italiana, ad uso degli Ovadesi di oggi, che non hanno ormai più la necessaria dimestichezza con il nostro dialetto:

"... Immaginatevi una bella ragazza,
ricca, onesta e ben vestita,
che si guarda in giro curiosa ed interessata,
ma al tempo stesso timorosa di qualche brutto scherzo.
I ragazzi: uno si avvicina, l'altro la osserva
ma nessuno se la sente di provare a toccarla.
Ecco qui, questa bella ragazza
è l'Italia, tutta unita! (....)
Tutta l'Italia sarà unita
ritrovando l'antica libertà
E l'Italia, se ci si mette, canterà la Girometta
Viva l'Italia! Giù il cappello!.

Da notare è un'antica locuzione popolare ovadese "cantare la Girometta". La Girometta è un'antichissima danza popolare di origini prerinascimentali e veniva suonata e ballata nelle occasioni di festa particolarmente importanti. Nel vernacolo ovadese del passato "cantare la Girometta" significava essere particolarmente felici per essere riusciti a compiere qualche grande impresa.

2) Cfr. Articolo n. 9.