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Il Diario di uno dei Mille..


Articolo n. 22 - Pubblicato su "Voce Fraterna" del Novembre-Dicembre 1969.

Giorni fa, rovistando tra vecchie carte, mi è capitato casualmente tra le mani un vecchio quaderno manoscritto. Lì per lì, pensavo si trattasse della solita cartaccia senza alcuna importanza ma, gettandovi uno sguardo più per curiosità che per altro, mi accorsi che si trattava di un quaderno di memorie. Infatti, proprio di ricordi tratta il manoscritto, e di ricordi anche abbastanza interessanti, perchè ne è autore il garibaldino Bartolomeo Marchelli, in Ovada più comunemente conosciuto con il soprannome di 'Bazàra'.
Il Marchelli, in questa specie di memoriale, ricorda l'impresa dei 'Mille', alla quale partecipò volontario.
Il quaderno è certamente una brutta copia che l'autore dovette affidare a qualcuno perchè gliela rivedesse e correggesse e, magari, poi, riscrivesse in bella scrittura per poterla inviare, nelle dovute forme, a chi era destinata.
Di questi diari, o memoriali, o ricordi, come più o meno possono essere definiti, il Marchelli ne deve avere stilati parecchi, e certamente in epoca posteriore all'impresa stessa. Infatti il Costa, nel suo interessante opuscolo biografico sul Marchelli, ne cita qualcun' altro dei più noti, senza però fare riferimento a quest'ultimo, che forse non aveva avuto modo di vedere.
Naturalmente, al nostro garibaldino questi omaggi delle sue memorie che andava facendo a questa o quella personalità politica, servivano. A quest' uomo, che aveva combattuto nelle guerre d' Indipendenza, dalla Crimea fino a Mentana, che era stato uno dei Mille e che nella vita civile aveva una professione del tutto particolare come quella del prestigiatore, serviva l'appoggio delle personalità che avrebbero potuto rilasciargli lettere di raccomandazione e di presentazione, a lui necessarissime per poter esercitare la sua attività, nella quale era abilissimo e destrissimo; non per nulla era stato un allievo del grande Bosco, e da questi aveva appreso tutti i segreti del mestiere. Ma ritorniamo al manoscritto, che si rivela subito molto sbrigativo, sebbene il frontespizio, datato 1889 ed in parte distrutto, lo dica dedicato all' allora Presidente del Consiglio dei Ministri Francesco Crispi, siciliano, ed appartenente lui stesso ai Mille.
Sono in tutto una ventina di pagine, stilate con una calligrafia abbastanza difficile da leggere. Nella prima parte il Marchelli sembra soffermarsi sui particolari, ma, mano a mano che si va avanti nella lettura, si vede che lo scrittore affretta e riassume il suo racconto, quasi avesse fretta di terminarlo.
Di interessante che non si conosca sull'impresa dei Mille non c'è nulla, salvo una particolare prospettiva tutta personale del Marchelli nel vedere le cose. E' anche da notare che queste memorie, pur redatte da un uomo come il Marchelli, che non doveva mancare di una sua ambizione personalistica, sono completamente prive di retorica e di autoesaltazione. C' è invece molta modestia e molto amore patrio esposti in uno stile lineare e corretto e, se qualche volta il Marchelli si lascia andare un pò di più , è quando si sofferma sulla figura di Garibaldi.
Ma riportiamo qualche brano di questo memoriale nelle sue parti più interessanti e più pittoresche, tanto per fare conoscere un pò di più agli Ovadesi suoi concittadini questa figura di soldato e di giocoliere d'altri tempi che, ancora oggi, viene citato talvolta ad esempio come una mélange di uomo astuto, abile, scanzonato e, nello stesso tempo, di buon patriota, generoso, umano e disinteressato. Eccone alcuni brani che non sono riportati alla lettera, ma che ho creduto bene di rivedere e riassumere:
"...il 6 aprile 1860 ricevetti lettera dal mio amico Moccia, volontario nella Legione Anglo-Italiana dove fummo compagni d'armi in tempo della Guerra di Crimea. Mi avvertiva che Garibaldi sarebbe partito con qualche migliaio di volontari per la Sicilia dove da vari mesi il popolo era insorto nelle vicinanze di Palermo. Rosolino Pilo comandava già gli insorti che aspettavano dal continente giungessero rinforzi di volontari.
Abbandonai Ovada con un mio concittadino, Emilio Buffa, e, giunti in Genova, ci recammo al Comitato che era in piazza S. Matteo, dove ci dissero che per il momento nulla vi era di nuovo e che appena ci fosse stata qualche novità ci avrebbero avvisati al nostro domicilio.
Attendemmo per oltre due settimane, in quanto che le notizie che giungevano di Sicilia non erano buone per cagione dei fatti del 4 aprile, dove alla Gancia erano stati fucilati diversi patrioti.
Finalmente il 4 maggio viene l'ordine dell'adunata e, pagato il conto al mio albergatore, con l'amico Buffa ci rechiamo a Quarto....."
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A questo punto bisogna soffermarsi un momento a pensare in quale modo il nostro Marchelli abbia potuto sbarcare il lunario in questi quindici e più giorni di attesa, E' naturale che avrà dovuto avvalersi della sua insuperabile valentia nel gioco del biliardo, dove nessuno poteva batterlo per la sua tattica di saper vincere gli avversari non servendosi della stecca, ma usando soltanto un suo metodo tutto particolare di far rotolare le biglie con il solo soffio dei suoi potenti polmoni.
E di queste partite dovette vincerne molte per potersi mantenere e nutrire per oltre due settimane all' Albergo Croce Bianca in Piazza della Nunziata, dove i prezzi non erano certamente alla portata di tutti.
E, in Genova, dovette pure certamente dare qualche spettacolo di prestidigitazione perchè il Bandi, cronista dei Mille, nel suo libro sulla spedizione, ricorda appunto il Marchelli come 'giuocatore di bussolotti' da lui conosciuto e visto la prima volta in Piazza Cinque Lampadi a Genova, dove il nostro garibaldino stava esibendosi.
La narrazione continua ricordando l'imbarco a Quarto, la tappa a Talamone per rifornirsi di armi presso quel forte presidiato da truppe piemontesi comandate dal Maggiore Giorgini che, come scrive il Marchelli, "...alle buone o alle brusche dovette consegnarci diversi cannoni, munizioni da fucile e da cannone ed altri piccoli attrezzi da guerra....".
La vita a bordo, durante il trasferimento da Quarto a Marsala è puntualizzata dal nostro scrittore con qualche scorcio sentimentale e romantico: "... a bordo incontro molti amici e parliamo delle campagne già combattute. Molti di essi suonano il pianoforte di bordo ed un certo Campi piacentino suona così bene il suo flauto ed altri la chitarra, che ci sembra di andare ad una festa da ballo, anzichè a combattere in Sicilia... Ho visto, durante questi giorni, vari uccelletti che volavano da un albero all'altro della nave e penso siano portatori di buona fortuna.... I volontari stavano a gruppi, seduti sul ponte o sulle coperte delle ruote, ognuno di essi aveva qualche aneddoto da raccontare sulle campagne combattute. Chi aveva lasciato la famiglia, chi la sposa e i figlioletti. Era bello sentire i vari dialetti delle diverse città. ..... I più animati erano gli esuli che speravano di rivedere il suolo natio e le loro famiglie....".
Qualche particolare curioso, già però noto perchè riportato dai cronisti ufficiali, ce lo dà il nostro ovadese sullo sbarco a Marsala: il Commissario di Polizia Borbonica che, presente nell' Ufficio del telegrafo, se la squaglia velocemente saltando dalla finestra mentre nell'ufficio stesso fa irruzione un drappello di garibaldini che blocca il telegrafista mentre sta trasmettendo un messaggio urgente alle autorità di Trapani per segnalare lo sbarco. Un garibaldino che sa trasmettere in 'Morse' e che si mette subito all'apparecchio smentendo la notizia e dicendo di essersi sbagliato e che si becca da Trapani una rispostaccia sottolineata da un categorico 'Siete una bestia!'. I vascelli inglesi alla fonda nel porto che fanno da spettatori neutrali dell'evento e segnalano alle due fregate borboniche che dal largo cannoneggiano il porto stesso di fare attenzione a non colpire le loro rappresentanze commerciali che hanno stabilimenti e magazzini sul litorale. Garibaldi che impassibile e calmo "con la sua sciabola sulla spalla" marcia in testa alla colonna che dal porto si dirige verso la città.
Quello che non ci era noto, e cioè che il Marchelli fosse anche un discreto disegnatore, ce lo conferma lui stesso nel diario, dove dice che, durante una sosta, trovandosi vicino al Generale, gli chiese il permesso di abbozzargli un profilo. Lo fece e gli venne bene, sì che Garibaldi gli disse, testualmente: "Bravo Marchelli! Non c'è male. Quando saremo a Palermo farete il disegno della divisa dei volontari.".
Non sappiamo se questo poi sia avvenuto o meno, ma è anche probabile che l'estroso ovadese non abbia mancato di contribuire, in un modo o nell'altro, alla preparazione delle uniformi dei volontari affluiti poi in seguito nei Mille.
Come già abbiamo detto più sopra, il diario non ci dice nulla di inedito. Il Marchelli, che rivestiva il grado di Sergente, dopo la battaglia di Calatafimi fu nominato Ufficiale e venne assegnato al seguito del Barone Santana, che comandava un gruppo di volontari siciliani. Si distinse in diverse missioni durante tutta la campagna e la terminò indenne. Un compito nel quale si specializzò e che gli era certamente congeniale fu quello di istruttore dei 'picciotti' o volontari siciliani. Era l'uomo adatto per farlo e lo sapeva fare bene. Autoritario, con una potente voce e con l'ascendente delle sue iniziazioni alla prestidigitazione che, a quei tempi e per quegli uomini, era magia, il nostro ovadese potè influire su quei giovani forgiandone la tempra già ottima e trasformandoli in valorosi combattenti. Per questo ebbe un caloroso encomio da Garibaldi stesso ed una citazione abbastanza lusinghiera nel libro del Bandi.
Il notiziario, continuando da Calatafimi al Volturno e all'incontro di Teano, ricalca quanto già sappiamo dai resoconti ufficiali e dai libri di storia.
Il Marchelli, terminata la campagna siciliana, rimase in servizio fino a Mentana, raggiungendo il grado di Capitano Garibaldino.
Riprese poi il suo peregrinare per l' Italia e per l' Europa, passando da una città all'altra ed esibendosi con i suoi spettacoli di prestigiatore. Fu anche a Caprera dove diede spettacolo alla presenza di Garibaldi che gli rilasciò un affettuoso attestato.
Nella sua vita privata il Marchelli fu uomo di spirito mordace e scanzonato, come quando si dilettava, sul mercato di Ovada, a confondere le contadine facendo miracolosamente trovare dei scintillanti marenghi d'oro dentro le uova che aveva da loro comprate. Ma fu soprattutto uomo generoso e buono, che in ogni occasione non mancò mai di fare del bene a chi ne aveva bisogno.
Gli ultimi suoi anni li trascorse serenamente a Nervi, dove si spense il 16 febbraio del 1903.

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