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Parliamo di autovetture elettriche...

di Federico Borsari - 19 Ottobre 2023


Avviso ai naviganti

L'articolo che segue è molto lungo e si parlerà molto poco di Ovada e molto "tanto" di automobili elettriche, che è un argomento di fortissima attualità mondiale. Con ogni probabilità, sarete tutti già abbondantemente informati in merito. Se, invece, avete voglia di saperne di più, magari in vista dell'acquisto di una nuova auto elettrica, forse qui potrete trovare qualcosa di interessante.


Nel territorio del centro cittadino di Ovada, da qualche anno si è iniziata l'installazione delle cosidette "colonnine elettriche", che sono, semplicemente, i "distributori di carburante" per le autovetture (ma non solo autovetture) elettriche che, sempre in maggior numero, stanno circolando sulle nostre strade.
Con il progressivo incremento del mercato, dovuto anche a peraltro discutibili normative europee, il numero dei veicoli elettrici è in continuo aumento ed il problema di dove poter "caricare la macchina" sta assumendo proporzioni che necessitano di interventi sempre più puntuali da parte delle pubbliche amministrazioni, delle realtà economico/produttive ed anche dei singoli cittadini, tenendo anche conto del fatto che, nel nostro Paese, la maggioranza dei possessori di autovetture non possiede un'autorimessa privata e, pertanto, un notevole numero di veicoli "dorme" all'aperto, parcheggiato in strade e piazze.
L'Amministrazione Comunale di Ovada, assai attenta alla problematica fin dagli anni passati, si è già spesa per avere un congruo numero di "colonnine" che ad oggi, tra private e pubbliche, si rivelano abbastanza adeguate al soddisfacimento della richiesta. In vista dell'aumento dei veicoli, il Comune prevede, nei prossimi mesi, di incrementare ancora il numero delle colonnine (e, di conseguenza, delle stazioni di ricarica) in modo da "accompagnare" gradualmente la crescita, che fatalmente avverrà, del parco macchine elettrico della nostra città.
Ma, prima di entrare in argomento, una piccola premessa.

Premessa

Intorno alla mobilità elettrica, da anni si stanno avviluppando (in campo nazionale ed internazionale) polemiche e discussioni che, invece di andare a trattare le argomentazioni più tecniche (e, pertanto, utili) dell'argomento, riguardano aspetti più che altro "politici" in cui ogni parte innalza bandiere e bandierine che vanno a punteggiare un panorama in cui, fondamentalmente, ci stanno (i soliti) due campi avversi ed avversari cioè, da una parte, quelli favorevoli e, dall'altra, quelli contrari. Entrambe le fazioni, come sempre succede, si guardano bene dall'affrontare la tematica nella sua (enorme) complessità che comprende, oltre all'aspetto puramente tecnologico, impressionanti risvolti sociali, industriali ed economici; la battaglia si svolge, prevalentemente, a "colpi di social", cioè mediante un bombardamento mediatico di (spesso false) notizie che vengono date in pasto alla "gente normale", quella che "ragiona con il buon senso". Peccato, però, che con il "buon senso", che varia da persona a persona (il mio buon senso non è uguale al tuo), non si governano rivoluzioni epocali come è, appunto, quella della transizione energetica.
A questo proposito, il caso della tragedia autostradale del pullmann elettrico avvenuta recentemente (3 Ottobre 2023) a Mestre (il veicolo è precipitato da un viadotto causando 21 deceduti e 13 feriti) ha evidenziato la faziosità di alcune persone che hanno subito parlato di "incendio delle batterie" del veicolo. Il rimarcare che il veicolo fosse di costruzione cinese, poi, è stata una specie di "ciliegina sulla torta" per tutti coloro che -politicamente- vedono l'accordo commerciale denominato "Via della Seta", firmato tra Italia e Cina il 26 Marzo 2019, come fumo negli occhi.
Orbene, ad onore del vero (e per fare un po' di "debunking"), le batterie del pullmann di Mestre NON si sono incendiate, altrimenti del veicolo sarebbe rimasto nulla. In effetti, le batterie dei veicoli elettrici, quando si incendiano, NON si possono spegnere, al massimo si possono RAFFREDDARE (con tonnellate di acqua) per evitare che la combustione crei danni più gravi e, soprattutto, interessi cose e persone vicine (questo discorso riguarda anche le batterie dei nostri smartphones, ma di questo parleremo più avanti).
In questo panorama, abbastanza confuso, di disinformazione e controinformazione su di un argomento che, invece, dovrebbe essere affrontato (e trattato) con tutta la cautela e l'attenzione possibili, nel nostro piccolo abbiamo ritenuto di fornire, con l'evidente approssimazione che richiede una trattazione di tipo generalista, un piccolo contributo. Parleremo qui di seguito, quindi, di autovetture elettriche e, come prima cosa, tratteremo quello che le fa muovere, cioè il motore elettrico.

Il Motore Elettrico

I primi motori elettrici risalgono ai primi decenni dell'Ottocento, precisamente agli esperimenti di Faraday, effettuati nel 1821. Qualche anno dopo, nel 1827, fu l'ungherese Ányos Jedlik a realizzare uno dei primi prototipi funzionanti di motore elettrico (credit: ItaliaWiki.com):

Modello di primo motore elettrico

Come si può vedere, si trattava di un modello "da tavolo" le cui dimensioni erano assai ridotte ed aveva, più che altro, scopo dimostrativo. Oggi, dopo duecento anni di evoluzione tecnica, un motore elettrico per automobile presenta dimensioni che gli consentono di essere trasportato agevolmente all'interno di una borsa da viaggio (Motore della Volksvagen ID.3 - Credit: acti-ve.org):

Motore elettrico 2023

Lo stesso motore lo vediamo, invece, qui di seguito, "esploso" in tutte le sue parti interne (ibidem):

Motore elettrico 2023

Da questa immagine si può constatare che le parti "essenziali" di questo motore (e di tutti i motori elettrici) sono solamente due: il Rotore e lo Statore. Il principio di funzionamento è molto semplice: applicando corrente elettrica allo statore (ma, in certi casi, anche al rotore) si creano dei campi magnetici che fanno ruotare (lo dice il nome stesso) il rotore. Empiricamente parlando (e gli elettrotecnici che ci leggono ci perdoneranno la brutale semplificazione), più corrente si dà e più aumenta la velocità di rotazione.
Ovviamente, non è così semplice. Di motori elettrici ne esistono due tipi, quelli azionati dalla Corrente Continua (CC) e quelli azionati dalla Corrente Alternata (CA). A loro volta i motori in CA possono essere Asincroni, dove la velocità del rotore è inferiore alla velocità di rotazione del campo magnetico dello statore, o Sincroni, dove la velocità del rotore è uguale alla velocità di rotazione del campo magnetico del rotore. Ovviamente, stiamo semplificando all'estremo una materia che all'apparenza sembra abbastanza semplice ma che in realtà risulta assai complessa. Lasciamo a chi volesse approfondire l'argomento il piacere di acquistare un bel libro di elettrotecnica e, ovviamente, di leggerlo.

Da quello che abbiamo appena visto, sembrerebbe che applicando un motore elettrico ad un asse delle ruote di un'automobile e dandogli corrente, dosandola attraverso un variatore, l'automobile possa funzionare. Ed in effetti è proprio così. Per far funzionare un'automobile elettrica servono essenzialmente TRE cose: il Motore, un comando per aumentare o diminuire la corrente (il pedale dell"acceleratore") ed un generatore di corrente (le batterie). Un quarto elemento (ma nelle auto elettriche non è così fondamentale come nelle auto con motore termico) sono i Freni poiché è l'acceleratore stesso che funziona come freno (nelle auto elettriche si "frena" togliendo il piede dall'acceleratore). A questo proposito, è utile sapere che un motore elettrico ha l'interessante proprietà di "generare" esso stesso corrente elettrica. Abbiamo detto che applichiamo corrente ad un motore per farlo girare, ma è anche vero che se noi facciamo girare un motore senza dargli corrente, la produce (invece di girare mosso da campi elettromagnetici è esso stesso che, girando, li crea). Ed è questo il principio che nelle vetture elettriche viene sfruttato quando si rallenta o si frena. In quelle situazioni, il motore diventa un generatore e la corrente che esso produce va a "ricaricare" (anche se molto parzialmente) le batterie. Questo sistema di recupero dell'energia si chiama "frenata rigenerativa" (peraltro utilizzata in diversi casi anche da alcune vetture con motore termico e, nell'ambito della Formula 1, mediante l'adozione del Kers (Kinetic Energy Recovery System)).
Un quinto elemento, questo sì veramente importante, per il funzionamento di un'autovettura elettrica è l'inverter. Ad oggi, la maggior parte delle auto elettriche utilizza motori in corrente alternata (CA), mentre le batterie forniscono corrente continua (CC). Per "trasformare" la corrente continua in corrente alternata si utilizzano, appunto, gli inverter, che sono sofisticate apparecchiature elettroniche che, oltre a lavorare su valori di potenza elevatissimi, funzionano in due sensi. Gli inverter (che si utilizzano anche negli impianti fotovoltaici) trasformano la corrente continua in corrente alternata quando la stessa dalle batterie va al motore e, al contrario, trasformano la corrente alternata in corrente continua quando viene utilizzata la già citata "frenata rigenerativa". L'inverter è il componente più importante (e delicato) di tutta la circuiteria di un'auto elettrica ed è, a tutti gli effetti, il componente che più risente delle sollecitazioni di funzionamento; per questo motivo esso è, attualmente, il componente delle auto elettriche più soggetto a guasti e malfunzionamenti.

Risulta, quindi, evidente che un veicolo a trazione elettrica è drasticamente più "semplice" rispetto ad un equipollente motore a combustione interna, ha molti meno componenti (non ci sono carburatori, filtri, bobina, spinterogeno, cambio, cilindri, serbatoi e pompe (benzina, olio, acqua, ecc.)) e, soprattutto, ha solo una parte in movimento: il rotore. Per questi motivi, è più che legittimo chiedersi perchè il motore elettrico, che compie duecento anni e che risulta così pratico, affidabile e di agevole utilizzo, da quasi un secolo non viene utilizzato per le automobili (mentre è utilizzato per treni, trams, metropolitane, carrelli, golfcars ed altro).
Tenete a mente questa domanda, poiché per fornire la risposta dobbiamo parlare un po' della storia delle automobili elettriche, storia che comincia, più o meno, 150 anni fa.

Storia dell'automobile elettrica

Prima Auto Elettrica Italiana

Nella fotografia qui sopra (Credit: cobat.it) potete vedere la prima automobile elettrica realizzata in Italia, fedelmente ricostruita (e perfettamente funzionante) nel 2009 dagli allievi dell'Istituto Professionale di Stato per l'Industria e l'Artigianato (IPSIA) "S.Simoni" di Castelnuovo della Garfagnana (Lucca). Si trattava di un triciclo (a quei tempi usavano molto) progettato da Giuseppe Carli (che era anche Conte dei Nobili di Garfagnana) e realizzato nel 1891. La velocità massima si aggirava sui 15 Kmh; non si conosce l'autonomia delle batterie.
Ma la storia delle automobili elettriche nel Mondo risale a qualche decennio prima e, bisogna sottolinearlo, a quei tempi non esistevano le industrie automobilistiche e le varie vetture venivano realizzate "in casa"; solitamente si trattava di esemplari unici che venivano presentati in pubblico mediante esibizioni "sulla pubblica via" così come avvenne, nel 1880, in Inghilterra con il primo veicolo elettrico europeo, ideato e realizzato dagli Ingegneri Ayrton & Perry. Anche in questo caso, si trattava di un triciclo da cui sicuramente trasse l'idea il Conte Carli per la sua vettura italiana (Credit: elettronauti.it):

Prima Auto Elettrica Europea

Bisogna dire che l'ultimo quarto di secolo dell'Ottocento fu caratterizzato da un'accelerazione formidabile della tecnologia elettrica dedicata alla trazione di veicoli, grazie alla quale (e a personaggi come Tesla ed il nostro Galileo Ferraris) nel giro di una ventina d'anni le vetture elettriche divennero popolarissime ed apprezzatissime in tutto il Mondo. Qui in Europa possiamo citare l'inglese Parker, che fu forse il primo a produrre industrialmente auto elettriche e, per ciò che riguarda i "records", il belga Jenatzy, che realizzò una vettura elettrica da corsa (a forma di siluro) con la quale, nel 1899, raggiunse la ragguardevole velocità di 105 Km orari (Credit: elettronauti.it):

Auto da corsa 1899

Ovviamente, l'autonomia di questa vettura era appena sufficiente a percorrere quei sette-ottocento metri necessari a stabilire il record. Per ciò che riguarda il pilota, invece, possiamo solo immaginare la sua "comodità di guida" in quella posizione a cento chilometri orari.

Al di là dell'Oceano (Atlantico), dove i progressi della tecnica, grazie anche all'industrializzazione massiccia, erano molto più rapidi, nello stesso periodo l'automobile elettrica fece un notevole balzo in avanti ed apparvero le prime industrie di produzione in serie, la più famosa delle quali fu la "Baker Motor Vehicle Company" che in un solo anno (1898) costruì quasi mille autovetture elettriche.
Ma ciò che favorì grandemente lo sviluppo dell'auto elettrica fu il miglioramento delle batterie. In effetti, a quell'epoca, le batterie erano assai poco performanti, la loro autonomia era minima ed anche la potenza che fornivano non consentiva alle vetture di superare, al massimo, i 20-25 Kmh. Per buona misura, inoltre, erano grandi, ingombranti ed oltremodo pesanti. Qui di seguito vediamo una delle prime batterie ricaricabili al piombo (Credit: elettronauti.it):

Batteria al piombo ricaricabile

Nel 1898 fu Edison (foto sotto) ad ideare e realizzare una batteria molto più piccola, compatta, potente e performante, utilizzando ferro e nichel (Credit: elettronauti.it):

Batteria al piombo ricaricabile

Con l'arrivo di questa nuova batteria l'industria automobilistica elettrica potè compiere un ulteriore balzo in avanti e, dai dati storici, risulta che, sulle strade delle città degli Stati Uniti d'America, agli inizi del XX Secolo, il numero dei veicoli elettrici era pressoché uguale a quello dei veicoli a motore termico.
Ma chi comperava le auto elettriche a quell'epoca?

Bisogna subito dire che il mercato automobilistico del primo Novecento era molto più attivo nel Nuovo Mondo rispetto al continente europeo. In ogni caso, le vetture elettriche (ma anche quelle a motore endotermico), a quei tempi, se le potevano permettere solo le persone benestanti e/o quelle dell'alta borghesia e la scelta di acquistare un'automobile con motore a scoppio oppure elettrica (i due mercati si equivalevano) erano dettate da differenti tipologie di utilizzo.
Le autovetture con motore endotermico erano grandi, complesse, rumorose ed anche abbastanza "sporche"; perdevano olio, il motore sovente si fermava per guasti di diverso genere, il fumo che emettevano dagli scarichi era assai maleodorante e, soprattutto (fino a che non fu inventato il "motorino di avviamento", prodotto dalla Bosch a partire dal 1914), dovevano essere messe in moto tramite la famigerata "manovella", la quale, oltre a necessitare di una notevole forza muscolare, doveva essere utilizzata secondo alcune precise regole che evitavano al conducente di vedersi le ossa dell'avambraccio spezzate in due dal contraccolpo provocato dalla compressione. Oggi, da oltre cent'anni, le vetture endotermiche utilizzano il motorino di avviamento ma è curioso sapere che diverse case automobilistiche, soprattutto francesi, hanno mantenuto -fino ad una trentina d'anni fa- la possibilità di avviare il motore con l'ausilio della manovella (da usarsi in caso di batteria scarica). Qui sotto un video esplicativo (Credit: Canale Youtube Felisiano Mavillonio):



E' abbastanza ovvio che, soprattutto a quell'epoca, non sarebbe stato "conveniente" vedere una donna, abbigliata secondo i canoni della moda di allora, arrabattarsi in una manovra faticosa (e pericolosa) come quella del video appena visto, per non parlare poi della sporcizia e della puzza che molto male si attagliavano alle gentili figure femminili di quei tempi.
Ecco, quindi, che se le autovetture con motore a scoppio venivano preferite dai "duri" uomini del primo Novecento, le auto elettriche erano perfette, invece, per il gentil sesso. E, in effetti, le pubblicità delle auto elettriche di allora erano rivolte, appunto, alle "signorine" dell'epoca (Credit: Pinterest.it):

Pubblicità auto elettrica

In termini di velocità, all'epoca, le prestazioni delle autovetture con motore a scoppio ed elettriche erano pressochè uguali ed entrambe potevano raggiungere velocità intorno ai 35-40 Kmh; quello che, invece, faceva la differenza, era l'autonomia, che vedeva le vetture termiche molto avvantaggiate poiché potevano percorrere oltre cento chilometri con un "pieno" di benzina rispetto ai 30-40 chilometri delle auto elettriche (le problematiche di allora sotto questo aspetto erano del tutto simili a quelle di oggi). Questo fece sì che le auto elettriche venissero preferite per i brevi percorsi urbani mentre per le "grandi distanze" si utilizzassero le auto con motore a scoppio.
Le auto elettriche, quindi, a quell'epoca erano assai apprezzate ed utilizzate ed è interessante vedere come esse venissero anche rappresentate in campi assai diversi rispetto alla pubblicità. Per quelli che, come noi, sono cresciuti leggendo i fumetti di Topolino, non possiamo che ricordare la "macchina" di Nonna Papera. Ebbene, quell'auto era elettrica ed era, precisamente, il modello "Priscilla", prodotto dalla Detroit Electric Company nel 1914 (Credit: elettronauti.it):

Auto Nonna Papera

In quest'altra foto (oltre alla vettura ed alla gentile signorina), troviamo invece una grande novità: la colonnina di ricarica (Credit: motori-24.com):

Auto e colonnina ricarica

Le colonnine di ricarica, che fecero la loro apparizione nel primo decennio del Novecento, furono un enorme passo avanti nella storia dell'auto elettrica, soprattutto negli Stati Uniti. Esse, come oggi, potevano essere private, cioè installate nei garages delle case (come quella della foto) oppure pubbliche, cioè installate -come oggi- in aree pubbliche come strade, piazze e parcheggi. Il funzionamento delle colonnine pubbliche non era dissimile da quello delle colonnine odierne: si inseriva uno o più gettoni (che venivano acquistati nei negozi), si impostava il tipo di carica in base alle caratteristiche della batteria dell'auto, si collegava il cavo e si chiudeva l'interruttore. Al termine del tempo previsto dal gettone (o dai gettoni), le operazioni di carica terminavano automaticamente.
L'avvento delle colonnine favorì moltissimo l'espansione dei veicoli elettrici non solo privati ma, anche, pubblici. Nelle grandi città statunitensi i Taxi erano elettrici, i furgoni per la consegna della merce erano elettrici ed elettrici erano anche la maggior parte degli autobus. Nella sola città di Chicago, verso il 1915, erano attive oltre cento colonnine pubbliche di ricarica, tutte realizzate e fornite dalla Edison Company.

Come si può constatare, cent'anni fa l'auto elettrica, nonostante la sua scarsa autonomia, era un veicolo utilizzatissimo nel campo dei servizi pubblici ed i continui progressi tecnologici lo stavano rendendo più performante ed "accessibile" anche alle fasce di popolazione che in precedenza non se lo potevano permettere. Ma negli Anni Venti del Novecento accaddero due avvenimenti che ne bloccarono l'evoluzione. Queste due cose, combinate tra di loro, determineranno un declino da cui l'autovettura elettrica non si risolleverà per quasi un secolo.

Il Petrolio e la Ford-T

La "scoperta" di giacimenti di petrolio negli Stati Uniti risale alla seconda metà dell'Ottocento e, nei primi anni, essa fu considerata una vera e propria sciagura poiché, in effetti, i pozzi venivano scavati per cercare l'acqua che serviva per abbeverare le mandrie di bestiame e da quei pozzi, invece dell'acqua, usciva petrolio. Dopo qualche anno, però, la ricerca del petrolio divenne l'attività principale soprattutto negli stati del Texas, dell'Oklahoma e della California, che in breve tempo diventarono ricchissimi, potendo vantare produzioni talmente alte che il prezzo del petrolio, agli inizi del Ventesimo Secolo, risultava addirittura più basso rispetto a quello dell'acqua e veniva esportato in enormi quantità anche verso il continente europeo. Il petrolio, ovviamente, serviva anche per produrre la "benzina", che altro non era (ed è tuttora) che il prodotto della distillazione del petrolio e che deriva il suo nome dal fatto che in essa è presente un'alta percentuale di Benzene.
In breve, la Benzina (che in Inglese si chiama "Gasoline" ed in Francese "Essence") divenne il combustibile principale anche per le autovetture con motore a scoppio ed il suo prezzo bassissimo risultava enormemente più conveniente rispetto a quello dell'energia elettrica (che costava quattro volte di più). Questo fattore di convenienza orientò, fatalmente, il mercato a rivolgersi decisamente verso l'acquisto delle automobili con motore endotermico.

Henry Ford è comunemente considerato (giustamente) il fondatore della moderna industria automobilistica mondiale. Egli, grazie alla sua autovettura Ford-T (primo modello prodotto nel 1908, ultimo nel 1922) che vediamo qui sotto (Credit: inspirationseek.com)

Ford-T

diede il colpo finale all'evoluzione dell'auto elettrica. Ford, il quale -curiosamente- aveva iniziato la sua attività come progettista di autovetture elettriche in società con Edison, annusata l'aria che tirava sul mercato, si orientò ben presto verso le auto endotermiche e fu grazie alla sua idea, realizzata per la prima volta al Mondo, della "catena di montaggio", che si poterono costruire moltissime vetture, compatte, molto facili da usare e, soprattutto, con un costo talmente basso da renderle accessibili anche a tutti quelli che fino ad allora non se l'erano potuta permettere.
Auto accessibili a tutti con prezzi bassissimi (e, novità, anche con pagamento "a rate") e petrolio a prezzi "stracciati" decretarono così la fine dell'automobile elettrica e, con essa, anche di tutti quei veicoli pubblici elettrici (taxi, furgoni, autobus) che vennero ben presto sostituiti da veicoli con motori a scoppio.

Prima di proseguire nella nostra trattazione, però, prendiamoci un attimo di pausa e godiamoci qui di seguito il video di una famosa "comica" di Stan Laurel ed Oliver Hardy alle prese con una vettura Ford-T del 1921 (Credit: Canale Youtube "giampy126")



Sottotraccia per un secolo

L'auto elettrica, dunque, a partire dal secondo decennio del Novecento, risulta praticamente esclusa dal mercato automobilistico mondiale, e tale rimarrà per quasi un secolo. Ma non è morta e saltuariamente, nei decenni successivi, riapparirà in occasione di specifici "momenti" di difficoltà economica e/o energetica. Nel corso dei due conflitti mondiali (1915-1918 e 1940-1945), infatti, le carenze di combustibili in ambito civile (tutto il carburante disponibile veniva destinato ai veicoli militari) portarono al "retrofitting elettrico", cioè al riadattamento di moltissimi veicoli termici di uso pubblico (taxi, autobus, ecc.) mediante l'installazione di motori elettrici, così come venne ripresa la progettazione di veicoli totalmente elettrici. Un esempio italiano (e squisitamente "autarchico") di questa tendenza fu il triciclo (ritorno alle origini!) elettrico progettato e realizzato come prototipo nel 1941 dagli Ingegneri Bordoni e Ferrero (Credit: Istituto Luce):



Questa vetturetta (che raggiungeva i 40 Kmh ed aveva un'autonomia di 70-100 chilometri) non fu mai, per ovvii motivi, prodotta per la commercializzazione ma è assai curioso vedere come il suo progetto sia stato ripreso, nei decenni seguenti, per la realizzazione di altre due vetturette elettriche: la "Isetta" (anch'essa un triciclo), realizzata dalla ditta italiana ISO nel 1955 e, molto più recentemente, la "Microlino", realizzata nel 2008 dalla ditta tedesca Micro Mobility Systems AG, vettura attualmente in vendita (velocità massima 90 Kmh, autonomia massima 230 chilometri, costo circa 21.000 Euro).

Dopo il secondo conflitto mondiale l'auto elettrica ritornò nel dimenticatoio collettivo. Il costo del petrolio era nuovamente molto basso e conveniente, i motori endotermici venivano sempre più perfezionati e resi funzionali per una rete di trasporti che, qui in Italia, per oltre un ventennio, visse il cosidetto "boom" economico (la parola "boomer", tanto utilizzata dai giovani di oggi sui socialmedia, va a definire -appunto- le persone, come chi scrive, nate in quel periodo). Ma proprio in quegli anni, mentre da noi "esplodeva" l'economia, negli Stati Uniti (che sono sempre avanti di qualche decennio rispetto al Vecchio Mondo) cominciavano a manifestarsi le prime avvisaglie di quella che sarebbe diventata la "coscienza ambientalista", cioè la consapevolezza che uno sviluppo non controllato dell'evoluzione industriale stava arrecando gravissimi danni sia alla salute umana che alla salute dell'ambiente. Fu proprio negli Anni Sessanta del secolo scorso che, negli U.S.A. riprese la progettazione e la (minima) produzione di veicoli elettrici, che iniziarono a sostituire (molto limitatamente, per la verità) alcune tipologie di veicoli di uso sia pubblico che privato. Anche in Europa qualche industria automobilistica ebbe tale intuizione e realizzò alcuni modelli di vettura elettrica che il mercato, allora ossessionato dal "boom" economico, rifiutò.
Nonostante ciò, la ricerca e la progettazione di vetture elettriche proseguì quasi clandestinamente, ed è proprio a cavallo tra gli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso che apparvero in tutto il Mondo decine di prototipi (alcuni dei quali commercializzati senza successo) di "vetturette" elettriche, quelle che oggi si chiamano "City Cars", adatte per un utilizzo cittadino su percorsi brevi. Qui in Italia, nel 1965, apparve l' "Urbanina", una "Micro Car" elettrica di dimensioni ridottissime, che per quei tempi adottava una soluzione mai vista prima di allora: la cabina rotante e sostituibile (Credit: elettronauti.it):

Urbanina

Come si può vedere dalla foto, infatti, sul pianale del motore e delle batterie, uguale per tutte, si potevano "montare" (e sostituire a seconda delle esigenze) tre cabine diverse: una coperta, una parzialmente "scoperta" (adatta per la stagione estiva) ed una, assai particolare, totalmente scoperta e realizzata con intrecci di vimine (da usarsi in campagna). Ma il vero "colpo di genio" era che la cabina poteva ruotare su se stessa di 360 gradi, dimodochè le porte di accesso potessero essere "girate" verso qualsiasi direzione. Questo facilitava l'ingresso e l'uscita del conducente (e del passeggero) quando il veicolo veniva "parcheggiato" in situazioni critiche; si ruotava la cabina e si usciva (ed entrava) dal davanti o dal retro del veicolo.

La crisi energetica del 1973

Già all'inizio degli Anni Settanta del secolo scorso si potevano cogliere le avvisaglie di quella che sarebbe stata la grande crisi energetica che colpì l'Occidente industrializzato nel 1973. Per comprenderne le origini dobbiamo però andare indietro nel tempo di sei anni, cioè al 1967.
In quell'anno, infatti, in Medio Oriente si svolse quella che viene comunemente chiamata la "Guerra dei sei giorni", cioè il conflitto che oppose lo Stato di Israele a Siria, Giordania ed Egitto. La sconfitta (avvenuta, appunto, in sei giorni) degli eserciti dei tre Paesi Arabi portò Israele ad occupare la penisola del Sinai e la striscia di Gaza (che appartenevano all'Egitto), la Cisgiordania e Gerusalemme Est (che appartenevano alla Giordania) e le alture del Golan (che appartenevano alla Siria).
Sei anni dopo (appunto nel 1973), Egitto e Siria attaccarono Israele con la prospettiva di riprendere la sovranità delle aree perdute nella guerra precedente. Questo conflitto, che viene denominato come la "Guerra dello Yom Kippur", durò ventisette giorni e se dapprima vide lo Stato di Israele in grande difficoltà, nella sua evoluzione tattico-militare successiva vide Israele contrattaccare molto efficacemente, fino a riuscire ad attraversare il Canale di Suez.
Come succede anche oggi, Israele era supportato dagli Stati Uniti mentre Egitto e Siria avevano l'appoggio di quella che era allora l'Unione Sovietica e di altri Paesi Arabi. L'andamento della guerra divenne ben presto assai preoccupante, poiché esisteva il concreto rischio di un allargamento incontrollato ad altri Paesi e, addirittura, all'innesco di un confronto (che non voleva nessuno) tra gli stessi Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Fu così che il 22 Ottobre 1973 fu firmato un "cessate il fuoco" proprio mentre le truppe israeliane si trovavano ad un passo dall'entrare a Il Cairo, la Capitale dell'Egitto.
A parte le conseguenze geopolitiche, la Guerra dello Yom Kippur diede inizio alla "Crisi Energetica" del 1973, crisi che si protrasse per i due anni seguenti e che, in ogni caso, lasciò enormi conseguenze su tutta l'economia dei Paesi cosidetti "Occidentali" (con questa parola si individuano quelli che, a quei tempi, erano i Paesi (Stati Uniti Compresi) che si trovavano ad occidente della "Cortina di Ferro", cioè dei Paesi sotto l'egemonia dell'allora Unione Sovietica).
In effetti, con l'inizio della guerra, i vari Paesi Arabi che facevano (e fanno tuttora) parte dell' O.P.E.C. (Organization of Petroleum Exporting Countries) misero in atto un boicottaggio economico nei confronti degli Stati Uniti e degli altri Paesi "Occidentali", riducendo di oltre tre quarti la loro produzione e, di conseguenza, facendo aumentare spropositatamente il costo del petrolio. A questo (per quanto riguarda anche l'Italia) si aggiungeva il fatto che il Canale di Suez era chiuso e le petroliere, per far giungere il petrolio in Europa, dovevano effettuare la circumnavigazione dell'Africa, con costi altissimi.
La crisi petrolifera del 1973 fu molto pesante per le economie occidentali, compresa quella italiana. I "boomers" come chi scrive si ricordano bene il periodo (invernale, tra l'altro) della cosidetta "Austerity", in cui ci furono le cosidette "Domeniche a piedi". In effetti, il Governo italiano, il 22 Novembre di quell'anno, varò un pacchetto di norme che puntavano al risparmio energetico e che, tra le altre cose, prevedevano il divieto totale di circolazione di qualsiasi veicolo motorizzato (anche aerei e barche) nelle giornate di Domenica e dei Festivi, con multe per i trasgressori che potevano arrivare anche fino al Milione di Lire.
Oltre a questa norma, che era la più appariscente, vennero imposte le chiusure anticipate di cinema, teatri e locali pubblici, lo spegnimento delle insegne dei locali pubblici e di pubblico spettacolo, l'adozione di limiti di velocità su strade ed autostrade (alcuni di questi limiti sono attivi ancora oggi per motivi di sicurezza stradale), l'obbligo di dotare gli impianti di riscaldamento di termostati con limitazione della temperatura massima (ancora oggi in vigore) e l'invito a provvedere alla coibentazione delle case.
Il boicottaggio da parte dell'OPEC nei confronti dei Paesi Occidentali determinò, quindi, la più grave crisi industriale ed economica delle seconda metà del XX Secolo. Ma che cos'è l'OPEC?

Bisogna premettere che i Paesi produttori, nel Mondo, di petrolio sono venticinque. Al primo posto, in termini di produzione di barili, troviamo la Russia, seguita dall'Arabia Saudita, dagli Stati Uniti d'America, dalla Cina e, via via, da tutti gli altri.
L'OPEC fu fondata, nel 1960, da cinque Paesi (Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e Venezuela) come risposta al periodo dei decenni precedenti, in cui le cosidette "Sette Sorelle" (così le definiva Enrico Mattei) fin dal 1928 avevano creato un cosidetto "cartello", cioè un accordo di spartizione dei territori e degli utili, per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio nei vari Paesi del Mondo, specialmente nell'area mediorientale. Le sette sorelle, contro cui il nostro Mattei intraprese un agguerrito confronto a partire dal 1945 fino al 27 Ottobre 1962, quando morì in un incidente aereo dalle cause non ancora chiarite, erano Shell, Exxon, British Petroleum, Mobil, Chevron, Gulf e Texaco.
Ai Paesi fondatori dell'OPEC se ne aggiusero in seguito altri e, attualmente (2023), dell'OPEC fanno parte Algeria, Angola, Congo, Guinea Equatoriale, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela. Come si vede, a parte il Venezuela, l'OPEC è un'associazione che comprende tutti i Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente e dell'Africa ed è evidente che la loro politica commerciale può rappresentare (come lo fu nel 1973) un fattore di grave scompenso nel panorama petrolifero ed energetico internazionale.

La crisi del 1973, che tra alti e bassi durò, come abbiamo detto, due anni, mise di fronte l'Occidente alla prospettiva (mai verificatasi prima di allora) di dover affrontare, in un futuro che si presentava sempre più prossimo, l'enorme problema dell'approvvigionamento energetico.
Sulle politiche, per così dire, "disinvoltamente espansionistiche" dei più grandi Paesi produttori di petrolio (Stati Uniti, Russia e Cina) intraprese nei decenni seguenti al 1973 e sulle loro conseguenze geopolitiche ci si potrebbero scrivere una decina di libri. Per rimanere ad un livello "popolare", proponiamo qui di seguito la scena finale del film "I tre giorni del Condor", girato nel 1975, cioè appena dopo la crisi petrolifera (Credit: Paramount Pictures):



A parte una grande verità che si può estrapolare da questo video (alla gente non importa se per produrre l'energia si fanno guerre, morti e distruzioni; alla gente interessa che l'energia -per il condizionatore, per l'automobile, per il riscaldamento, per il telefonino e per tutto il resto- ci sia sempre), a partire dal 1973 in tutto il Mondo si iniziò a riprendere in considerazione, per la mobilità, la vecchia idea del motore elettrico. Vennero rispolverati -ed ammodernati- i vecchi progetti delle CityCar elettriche e ne vennero progettate di nuove, alcune delle quali sono state, e vengono tuttora, commercializzate, peraltro con risultati non proprio soddisfacenti.
Negli Anni Ottanta e Novanta furono alcune grandi case automobilistiche ad intraprendere i primi tentativi di produrre automobili elettriche di fascia più alta (automobili uguali a quelle endotermiche ma con motore elettrico). Tra questi modelli ci furono la Peugeot 106 Electrique, la Mercedes 190 EA, la Hyundai Sonata Electric, le BMW Serie E1 ed E2, la Renault Clio Electrique e, qui in Italia, la Panda Elettra. Tutte queste vetture presentavano notevoli evoluzioni della tecnologia elettrica, motori di nuova concezione ed elettroniche già abbastanza sofisticate per la gestione. Ma, come centoventi anni prima, c'era un grosso problema: le batterie. Nonostante le evoluzioni tecnologiche, le batterie di 30-40 anni fa non consentivano di fornire né velocità né autonomia che potessero minimamente competere con quelle di un motore endotermico, e questo problema, unito al costo assai più alto rispetto alle altre autovetture con motore a scoppio (anch'esso nel frattempo evolutosi notevolmente per quanto riguarda la riduzione delle emissioni e l'affidabilità) ne frenava fortemente l'evoluzione e, di conseguenza, la commercializzazione. In effetti, tutti questi nuovi veicoli elettrici potevano fornire velocità massime di 80-90 Kmh ed autonomie che si aggiravano, al massimo, sui 70-80 chilometri. Fu solo nel 1998 che apparve la prima vettura con batteria agli Ioni di Litio, la Nissan Altra-EV, che impiegava un nuovo tipo di batteria (che poi tanto nuovo non era, poichè era stata "inventata" nel 1970) con prestazioni molto maggiori rispetto alle precedenti e che era stata prodotta e commercializzata per la prima volta nel 1991 dalla Sony. La batteria di questa vettura, infatti, poteva fornire un'autonomia di 190 chilometri ed una velocità massima di 120 Kmh.

La Batteria

Abbiamo parlato nei precedenti capitoli delle batterie, che forniscono la corrente per i motori delle automobili a trazione elettrica. Iniziamo col dire che la dicitura corretta dovrebbe essere batteria di accumulatori e per iniziare a capire meglio dobbiamo vedere la differenza tra pila ed accumulatore.
Non andremo a disseppellire dalla storia dell'elettrotecnica le origini della pila elettrica, che fu "inventata" da Alessandro Volta nel 1799, così come non parleremo della sua evoluzione per circa un secolo, fino alla fine dell'Ottocento, quando le "pile elettriche" avevano raggiunto ormai una buona dose di affidabilità ed il loro utilizzo era ormai diventato comune. Diremo solo che le pile "creano" corrente elettrica attraverso una reazione chimica tra due elementi di materiale differente immersi in una sostanza che favorisce la cosidetta "ossidoriduzione", cioè il passaggio di elettroni (cariche elettriche di segno negativo) da un materiale all'altro e, di conseguenza, la creazione di un flusso (elettrico) dal materiale i cui atomi hanno elettroni "liberi", cioè in numero maggiore rispetto ai protoni (cariche elettriche di segno positivo) verso il materiale i cui atomi hanno meno elettroni rispetto ai protoni. Contrariamente, infatti, a quello che si potrebbe pensare, nelle pile il flusso di elettroni avviene dal polo negativo verso quello positivo. E' intuitivo che la pila funziona fino a che avviene il trasferimento degli elettroni da un polo all'altro. Nel momento in cui tutti gli atomi dei due materiali hanno "bilanciato" (uno perdendoli e l'altro acquisendoli) il numero dei protoni con quello degli elettroni, il flusso termina, la pila è "scarica" e la si butta (negli appositi contenitori, mi raccomando!).
L'accumulatore (elettrochimico), inventato nel 1840 in Francia da Planté, funziona allo stesso modo della pila ma ha il grande pregio di poter essere ricaricato. L'accumulatore, quando viene alimentato dalla corrente elettrica, la immagazzina nei suoi elementi e quando gli viene applicato un carico (ad esempio un motore elettrico) la rilascia. Fu l'invenzione dell'accumulatore che rese possibile la prima evoluzione delle automobili elettriche, che iniziarono ad utilizzare le cosidette "batterie di accumulatori", cioè tanti accumulatori collegati tra di loro (nella foto: batteria di accumulatori della Fiat Panda Elettra - Credit: elettronauti.it).

Batteria accumulatori

Un po' di teoria...

Ci sono tre sistemi per ottenere una batteria di accumulatori, sistemi che si differenziano a seconda delle caratteristiche della corrente elettrica che si vuole ottenere mediante l'aumento del voltaggio (differenza di potenziale espressa in V - Volts) e/o dell'amperaggio (intensità della corrente espressa in Ah - Ampère/ora) per ottenere il conseguente aumento della potenza (espressa in Wh - Watt/ora).
Per ottenere l'aumento del voltaggio, gli accumulatori si possono collegare in serie tra di loro, cioè collegando il polo positivo del primo al polo negativo del secondo e così via. In questo modo, avendo, ad esempio, tre accumulatori da 6 Volts e 50 Ah, si otterrebbe una corrente di 18 Volts e 50 Ah.
Per ottenere, invece, un aumento dell'intensità della corrente, gli accumulatori si possono collegare tra di loro in parallelo, collegando cioè tutti i poli positivi e tutti i poli negativi. In questo caso, dai nostri tre accumulatori dell'esempio precedente otterremmo una corrente di 6 Volts e 150 Ah.
Se, come nel caso delle automobili elettriche, desideriamo aumentare sia il Voltaggio che l'Amperaggio, dobbiamo utilizzare il collegamento in serie ed in parallelo, cioè un misto dei due sistemi precedenti che ci consente inoltre, regolando il numero dei collegamenti ed il loro tipo, di moltiplicare i parametri della corrente nel modo più adatto al suo utilizzo.
Ovviamente, per far muovere un'auto elettrica occorre una "potenza", cioè una forza motrice che viene espressa in Watt/ora ed il cui valore dipende direttamente dagli altri due valori. Per sapere quanta energia può erogare una batteria di accumulatori si moltiplicano i Volts per gli Ampères. Se, ad esempio, avessimo una batteria di accumulatori che fornisce 24 Volts e 50 Ampères/Ora, la potenza erogata sarebbe di 1200 Watt/Ora.
Da tenera a mente è il fatto che la corrente elettrica fornita dalle pile e dagli accumulatori è corrente continua. Nella corrente continua gli elettroni "scorrono" da un polo all'altro e, pertanto, la sua caratteristica è di essere "lineare". In effetti, quando si applica un carico ad un accumulatore, il valore della corrente sale da zero fino al massimo del voltaggio, che è sempre più alto di quello nominale per poter conservare costante il cosidetto "valore efficace", per poi tornare a zero quando si toglie il carico.
La differenza con la corrente alternata (quella che usiamo quotidianamente nelle nostre case) è che in questo caso gli elattroni non scorrono da un polo all'altro ma, bensì, "oscillano" avanti ed indietro con una precisa frequenza (che è chiamata "periodo" o "ciclo" e si esprime in Hz - Hertz). Quando applichiamo un carico alla corrente alternata (magari accendendo la lampada del salotto), il valore della corrente sale da zero al massimo del voltaggio (anche qui leggermente più alto di quello nominale) per poi ridiscendere a zero, dopodiché il valore scende sottozero fino allo speculare valore negativo e poi risale a zero. In questo caso, agli altri parametri della corrente (Volts ed Ampères) si aggiunge anche la "frequenza" espressa in Hertz, che qui in Europa è uguale a 50 Hz (la corrente sale e scende cinquanta volte in un secondo). Ecco gli schemi degli andamenti dei due tipi di corrente:

Corrente Continua Corrente Alternata

Da quanto sopra esposto, risulta chiaro che un motore che funziona con corrente continua NON può essere azionato da quella alternata e viceversa. Nelle autovetture elettriche si utilizzano entrambi i tipi di motore e, quindi, la domanda sorge spontanea: come si fa a farli funzionare entrambi?

Nei primi decenni di sviluppo delle auto elettriche si utilizzavano i motori a corrente continua e non c'erano le possibilità di regolazione "fine" che l'elettronica computerizzata di oggi mette a disposizione per una gestione ottimale della trazione ed, in effetti, guidare quelle vetture non era propriamente facile. Inoltre, per definizione, il motore a corrente continua fornisce le migliori prestazioni di spunto e potenza ai bassi regimi mentre con l'aumentare della velocità le prestazioni si fanno meno performanti. Se questo poteva andare bene per le vetture elettriche di trent'anni fa (le CityCar, la cui velocità massima non superava i 70-80 Kmh), quando, a partire dagli Anni Duemila, si prese in considerazione l'ipotesi di realizzare auto elettriche che potessero fornire prestazioni pari a quelle delle auto termiche, la soluzione migliore fu quella di utilizzare motori a corrente alternata i quali, a seconda se del tipo (sincrono o asincrono), forniscono più ampie caratteristiche di elasticità, duttilità e gestione.
Le auto elettriche di oggi, quindi, nella maggioranza dei casi utilizzano motori a corrente alternata e, come abbiamo già accennato, per farli "lavorare", si avvalgono degli inverters, cioè di quelle apparecchiature che provvedono a trasformare la corrente continua in alternata e viceversa. Negli ultimi anni, però, con il massiccio impiego dell'elettronica e dei controlli computerizzati di trazione, si stanno nuovamente affermando i motori a corrente continua (che hanno il grande vantaggio di non avere bisogno dell'inverter) e, addirittura, ci sono vetture elettriche molto sofisticate (alcuni modelli di fascia alta della Tesla) che utilizzano due motori, uno posto su di un asse di trazione e l'altro sull'altro, di dimensioni diverse ed azionati uno da corrente continua ed uno da corrente alternata. Questa soluzione, per la verità assai sofisticata e che abbisogna di computers di bordo potenti ed in grado di gestire alla perfezione le centinaia di migliaia di dati che istante dopo istante devono essere elaborati per gestire al meglio il comportamento della vettura, ha consentito di realizzare vetture elettriche che non solo eguagliano (in termini di potenza, accelerazione e velocità) le auto termiche più veloci ma, anche, riescono a superarle.

Ma quanta strada ci faccio?

Tornando all'argomento, nonostante tutti i progressi tecnologici, le batterie rimangono ancora oggi il "punto debole" delle vetture elettriche per quanto riguarda un aspetto fondamentale: l'autonomia.
In effetti, l'autonomia (cioè quanti chilometri si possono percorrere con un "pieno" di elettricità) è la nota dolente di un tipo di veicolo che, per tutti gli altri aspetti (non secondario anche quello ambientale), risulta più performante rispetto alle vetture termiche. Le auto elettriche che popolano il mercato di oggi presentano autonomie di percorrenza media che vanno da un minimo di 371 chilometri (la cinese Hongqi EHS-9) ad un massimo di 620 chilometri (la Mercedes-Benz EQS 450+); la Tesla più performante sotto questo punto di vista è la Tesla Model Y LR Dual Motor, che monta i due motori di cui abbiamo parlato prima e che presenta un'autonomia di 545 chilometri. Questi valori (verificati da tests effettuati dall'Automobile Club Svizzero nel 2022) sono "medi", poiché il loro valore può aumentare (molto difficilmente) o diminuire (molto facilmente) a seconda dell'utilizzo del veicolo. Se si va in piano a velocità moderata va tutto bene. Se il percorso presenta molte salite l'autonomia scende (ma se ci sono discese le batterie si ricaricano un po'). Se, poi, si aziona il condizionatore (o il riscaldamento) l'autonomia scende ancora... Insomma, per ora l'autonomia delle batterie delle auto elettriche è ancora (ma si spera per poco) il punto più critico che ne impedisce una commercializzazione ampia e massiccia, e la causa di questo sono, appunto, le batterie che, dai primi accumulatori (ne abbiamo visto una foto all'inizio dell'articolo) al Piombo-acido e passando attraverso le evoluzioni Nichel-metallo idruro, Sodio-nichel cloruro e tutte le altre combinazioni possibili, sono arrivate alle odierne batterie agli Ioni di Litio (nella foto: il pianale batterie di una moderna auto elettrica. Credit: automobilismo.it).

Batteria accumulatori

Ioni di Litio. Vantaggi e problematiche

Abbiamo già citato le batterie agli Ioni di Litio e la loro invenzione nel 1970. Queste batterie, che utilizzano come elementi per il "passaggio" degli elettroni il Litio e la Grafite, furono ommercializzate inizialmente a partire dalla fine degli Anni Novanta ed inizialmente trovarono il loro impiego ottimale per alimentare i telefoni cellulari ed altri piccoli apparati elettronici. In seguito, grazie ad una costante evoluzione tecnologica, vennero impiegate (e lo sono tuttora) per tutta una serie di veicoli di uso privato (carrelli, elevatori, Golfcar e simili) e, infine, il loro utilizzo, in versioni molto potenti, è passato alle autovetture elettriche. Tutti i modelli di auto elettrica esistenti sul mercato, ad oggi, utilizzano questo tipo di batterie di accumulatori.
Le caratteristiche per cui queste batterie sono ampiamente utilizzate consistono nell'alta densità di energia che, unita ad una grande quantità di corrente erogata (e, pertanto, di potenza), le rendono ideali per l'autotrazione anche nel caso di grandi veicoli (autobus, autocarri, navi e -da qualche anno- anche aeroplani). Altri fattori di "convenienza" sono rappresentati dalla grande resistenza ai cicli di carica-scarica (la batteria dura molto di più), dalla mancanza del deleterio "effetto memoria" e dalla bassissima percentuale di "autoscarica", cioè della capacità di scaricarsi quando non vengono utilizzate.
Circa l'autonomia, abbiamo già detto che non si è ancora arrivati ad un livello tale da poter consentire ai veicoli elettrici (in particolar modo alle autovetture) un'autonomia almeno pari a quella dei veicoli termici; purtuttavia, da qualche anno, le maggiori case automobilistiche, in collaborazione con le industrie che producono le batterie, hanno incentivato in modo notevole gli studi per riuscire a superare anche questo ostacolo, così come gli stessi studi stanno affrontando (e si spera risolvano rapidamente) l'altro problema, quello dei tempi di ricarica, che -ad oggi- sono un altro aspetto di criticità.
Gli annunci di continui miglioramenti si susseguono ed è notizia di pochi mesi fa che è stata realizzato un accumulatore al Litio (che utilizza un materiale ceramico come elettrolita) che presenta una capacità energetica quattro volte superiore ai precedenti. Di conseguenza, Tesla ha previsto di riuscire a produrre, entro pochi anni, vetture in grado di poter fornire un'autonomia pari a 1600 chilometri (e, ovviamente, altrettanto cercheranno di fare le altre case automobilistiche). Staremo a vedere, ma è quasi certo che, ai ritmi con cui procede la ricerca in questo campo, i nostri nipoti guideranno esclusivamente veicoli elettrici.
Ma, come tutti sappiamo, le batterie agli Ioni di Litio, pur presentando tutti i vantaggi che abbiamo sopra esplicato, dànno anche qualche problema, il più significativo dei quali è quello della sicurezza.

Vi siete mai chiesti perchè, da qualche tempo, i vostri smartphones NON prevedono più la possibilità di sostituire la batteria e, anzi, sono accuratamente sigillati per evitare che qualcuno ci possa "mettere le mani"?
No, non è -solamente- per il fatto che in tal modo quando la batteria si scarica definitivamente siete costretti a comprarne uno nuovo; il motivo più importante è che, in tal modo, nessuno di noi (a meno di spaccare tutto) può andare a toccare la batteria. In effetti, le batterie agli Ioni di Litio presentano, in determinate situazioni di criticità, una spiccata propensione ad incendiarsi e/o ad esplodere. Una di queste situazioni potrebbe essere, infatti, il tentativo di estrarla dal telefonino magari utilizzando un qualche attrezzo (ad esempio un cacciavite) che, per inesperienza del manovratore, andasse a danneggiarla o, peggio ancora, forarla. In tal caso, il funerale del malcapitato sarebbe garantito, poichè la batteria esploderebbe uccidendolo o, comunque, ferendolo ed ustionandolo gravemente.
Ovviamente, abbiamo citato un caso limite, ma le batterie agli Ioni di Litio possono incendiarsi anche per altre cause (sovraccarico da malfunzionamento dell'apparecchio, cortocircuito, carica (o scarica) troppo veloce, correnti eccessive durante la carica, danneggiamenti da urti per cause incidentali, impatti meccanici, ecc.). In questi casi, all'interno delle celle degli accumulatori si può innescare il cosidetto "thermal runaway", che è un rapidissimo aumento della temperatura, con la conseguente formazione di gas altamente infiammabili che possono prendere fuoco. Gli stessi gas, qualora non riuscissero a fuoriuscire dagli accumulatori, ne causerebbero la conseguente esplosione. E' da rimarcare il fatto che in una batteria agli Ioni di Litio, in caso di incendio, si formano temperature che raggiungono oltre 400 gradi ed una grande concentrazione di gas tossici.
E' inutile sottolineare il fatto che queste batterie sono, ovviamente, dotate di sistemi di sicurezza progettati in modo "ridondante" e che, normalmente, operano in un "range" di temperatura di 30-40 gradi. Se questa temperatura oltrepassa i 60 gradi (segnatevi questa temperatura, perchè la ritroverete più avanti e nel video che seguirà) subentra il rischio di "instabilità termica" ed è alla temperatura di 95-100 gradi che succedono i disastri.
Ma il fattore più "critico" delle batterie agli Ioni di Litio è un altro: quando si incendiano NON si possono spegnere, poichè tutti gli elementi necessari ad alimentare il fuoco sono contenuti al loro interno e non hanno bisogno dell'aria per "bruciare". Ecco che, quindi, idranti ed estintori NON servono per spegnere un'auto elettrica (o un telefonino) che brucia. L'unica cosa che si può fare è RAFFREDDARLE con enormi quantità di acqua fredda per abbassarne la temperatura fino a quei 50-60 gradi che consentono il rallentamento e l'arresto delle reazioni chimiche. A questo proposito, guardatevi attentamente questo video (Credit: RSI - Radiotelevisione Svizzera Italiana):



Come si è potuto constatare, l'eventuale incendio di batterie di accumulatori al Litio è un problema abbastanza significativo e rende assai problematico anche l'intervento del personale antincendio. In alcune parti del Mondo, specificatamente in Germania, si sono ideati alcuni sistemi, abbastanza radicali per la verità, per raggiungere risultati soddisfacenti; in particolare, uno di questi metodi consiste nell'approntare grandi contenitori (entro cui poter contenere una vettura anche di grandi dimensioni) in cui viene posto il veicolo (agganciato da apposite gru) con la batteria in fiamme, dopodichè il contenitore viene riempito d'acqua e si lascia il veicolo "a bagno" fino a che le batterie si raffreddano fino al punto di spegnersi, o comunque ridurre al minimo l'attività di combustione (Credit: sicurauto.it):

Vasca antincendio

Questa grande vasca, che si chiama "Red-Boxx" ed è già in dotazione al corpo dei "Feuerwehr" (Pompieri) di alcune grandi dittà tedesche, viene trasportata sul luogo dell'incendio a bordo di un pianale apposito, viene scaricata ed utilizzata sul posto. In questo video ne vediamo le caratteristiche (illustrate in lingua Tedesca - Credit: noz.de - Neuen Osnabrücker Zeitung):



Negli Stati Uniti d'America (ma anche qui in Italia ed in tanti altri Paesi Europei) non si utilizzano (ancora) le vasche di spegnimento ma specifiche modalità di intervento, molto differenti da quelle che si usano per i veicoli termici. Qui di seguito un video statunitense, molto interessante (Credit: nfpa.org):



Tutto ciò detto relativamente alle problematiche di sicurezza delle batterie, il secondo problema che "frena" il mercato delle auto elettriche è quello dei "tempi di ricarica". In effetti, ad oggi, i tempi per un "pieno" di elettricità sono ancora ben lontani dai 3-5 minuti che si impiegano per fare un pieno di benzina e questo problema, se può essere di poca importanza per chi l'auto la usa "per diporto" o per i brevi spostamenti cittadini, crea grandi difficoltà a chi l'auto la usa per lavoro e/o per lunghi tragitti.
Le batterie possono avere, come abbiamo visto, caratteristiche assai differenti tra di loro ed ogni modello presenta specificità diverse anche riguardo alla quantità di energia che può "ricevere" ed al modo in cui la può ricevere. In linea generale, tutte le auto possono ricevere corrente elettrica di entrambi i tipi, Continua ed Alternata, ma, a seconda della tecnologia adottata, i tempi di ricarica possono variare notevolmente. In linea teorica, ci sono quattro fattori che influenzano la durata di una ricarica:

- La quantità di potenza massima che il circuito di ricarica dell'auto può ricevere;
- La capacità della batteria;
- La tipologia di cavo che viene utilizzato per la ricarica;
- Il livello di carica residua della batteria.

A seconda della concomitanza di questi fattori, il tempo medio per una ricarica varia in modo notevole e dipende anche dal tipo di corrente che si utilizza. E' intuitivo che se si utilizza Corrente Continua (che non necessita della "trasformazione" effettuata dall'inverter) i tempi risultano più brevi mentre se si utilizza la Corrente Alternata, essi si allungano.
Attualmente, esistono due tipi di apparecchi per la ricarica delle batterie delle auto elettriche: i caricatori casalinghi (da installare nel proprio garage) e le colonnine esterne (pubbliche o private).

Home Chargers o WallBox

Gli Home Chargers (detti anche WallBox), che chiunque può farsi installare nel garage di casa, servono per ricaricare la vettura quando non la si utilizza, solitamente durante la notte, e forniscono alla vettura Corrente Alternata (la stessa che usiamo in casa). Questi "caricatori" operano nella fascia di quella che si chiama "carica lenta" poiché, per forza di cose, la potenza che viene utilizzata per la ricarica dipende direttamente dalla potenza dell'impianto elettrico di casa che, nella stragrande maggioranza dei casi, è di 3 KiloWatt o, per chi utilizza molti elettrodomestici contemporaneamente, di 4,5 KW. Bene, diciamo subito che per installare un WallBox, la potenza minima che bisognerebbe avere in casa è di 6 KiloWatt, poichè un caricatore per auto da garage "succhia", da solo, quasi 3 KW e se non si ha a disposizione almeno il doppio della potenza è fatale che se mentre l'auto è in carica si accende, ad esempio, il boiler, salta il limitatore. E' altrettanto palese il fatto che anche la bolletta elettrica, tra quote fisse e consumi, lieviterà di molto ed oggi, con i prezzi dell'energia che salgono vertiginosamente, non è una buona cosa.
In ogni caso, caricare un'auto elettrica nel garage di casa richiede un tempo "medio" di 8 ore (con un minimo di cinque ed un massimo di dodici) che varia in relazione allo stato di carica della batteria. Bisogna inoltre tenere presente (e questo vale anche per le colonnine esterne) che la velocità di carica rallenta mano a mano che la batteria si ricarica. Si tratta di un accorgimento di sicurezza (che spesso provoca anche l'accensione di un apposito sistema di ventilazione-refrigerazione) per evitare che le batterie si surriscaldino e raggiungano la famigerata temperatura di 50-60 gradi di cui abbiamo parlato prima.

Colonnine

Abbiamo visto in precedenza le colonnine dei primi anni del Novecento ed abbiamo constatato che, per quell'epoca, erano già molto performanti. Le colonnine di oggi, che da circa un decennio stanno ri-apparendo sulle nostre strade e piazze, sono, ovviamente, molto più sofisticate sotto il punto di vista della tecnologia (soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti della sicurezza) ma, in fin dei conti, servono solo a trasferire elettricità dalla rete elettrica pubblica alle batterie delle auto.
Le colonnine si differenziano a seconda del tipo di corrente che possono erogare (Continua od Alternata) e dalla potenza che possono trasferire. Essenzialmente, ci sono cinque tipi di ricarica:

- Slow Charge (Carica Lenta): le colonnine che consentono questo tipo di ricarica erogano Corrente Alternata ed una potenza massima di ± (più o meno) 7 KW. A questa categoria di "caricatori" appartengono anche i WallBox che abbiamo visto prima. Ricaricare un veicolo con queste colonnine richiede un tempo medio di 8 ore.
- Quick Charge (Carica Rapida): le colonnine che consentono questo tipo di ricarica erogano Corrente Alternata ed una potenza massima di ±22 KW. Ricaricare un veicolo con queste colonnine richiede un tempo medio di 3 ore.
- Fast Charge (Carica Veloce): le colonnine che consentono la carica veloce erogano Corrente Continua ed una potenza massima di ±75 KiloWatt. Utilizzando queste colonnine si può ricaricare la vettura in un tempo medio di un'ora.
- Fast+ Charge (Carica Veloce Plus): queste colonnine erogano Corrente Continua ed una potenza massima di ±149 KiloWatt. Utilizzando queste colonnine si può ricaricare la vettura in un tempo medio di mezz'ora.
- UltraFast Charge (Carica Ultraveloce): queste colonnine, che erogano anch'esse corrente continua, forniscono una potenza che va dai 150 ai 350 KW. Il tempo di ricarica consentito da queste colonnine (a seconda della potenza erogata) va da un minimo di 5 ad un massimo di 15/20 minuti.

Ricordiamo sempre che i tempi di ricarica "medi" sono indicativi e possono variare significativamente in base ai quattro parametri che abbiamo visto precedentemente.

Un'altra cosa importantissima da tenere presente è che molti tipi di batterie, per via delle loro caratteristiche chimico-elettriche, NON possono essere ricaricate da colonnine Fast o UltraFast e si devono "accontentare" di un "rabbocco" di energia solo da colonnine lente o rapide (massimo 22 KW). Quando si acquista un'auto elettrica è fondamentale conoscere le caratteristiche della sua batteria per evitare di fare disastri. In questo la tecnologia ci viene in aiuto, per prevenire tali manovre errate, anche diversificando le prese (e le spine) a seconda del tipo di auto e di colonnina, impedendoci -di fatto- di collegare dispositivi non compatibili tra di loro.
La maggior parte delle batterie delle autovetture elettriche di fascia medio-bassa (che sono la maggioranza di quelle attualmente in circolazione) possono ricevere una potenza massima di carica di 7,4 KW e possono essere collegate solo a colonnine "lente" con corrente alternata. In questo caso si utilizza una presa (ed il relativo cavo) denominata "Tipo 2":

Presa Tipo 2

Se, invece, la batteria dell'auto "sopporta" potenze di carica veloci e/o ultraveloci (in corrente continua), si utilizza una presa diversa, denominata "CCS Combo 2":

Presa Combo2

In realtà, questa è una "doppia presa", che combina ("Combo") una presa Tipo 2 con un'altra presa specificatamente dedicata a ricevere corrente continua. Questo accorgimento consente ai possessori di auto elettriche di fascia alta di poter utilizzare, per la ricarica, sia le colonnine Fast (e/o UltraFast) che quelle lente (in questo caso esse utilizzano tutta la potenza diponibile, cioè 22 KW).

Esiste ancora, ma sta ormai scomparendo dal continente europeo, un tipo di presa che caratterizza le autovetture elettriche di produzione giapponese. Questo tipo di presa, presente nelle auto prodotte negli anni scorsi nel Paese del Sol Levante, ha uno standard particolare, denominato "CHAdeMO":

Presa CHAdeMO

Le vetture giapponesi più recenti che vengono destinate al mercato europeo, da qualche anno presentano le prese Tipo 2 e Combo2. Se, invece, si possiede una "giapponese" di qualche anno fa, per ricaricarla dalle nostre colonnine bisogna utilizzare un cavo adattatore.

Un caso "a parte" sono le autovetture prodotte da Tesla, che possono vantare (a livello mondiale) una specifica rete di stazioni di ricarica ad esse esclusivamente dedicata. Ovviamente, le vetture Tesla possono "anche" essere ricaricate dalle colonnine normali, ma la rete dei "SuperChargers" di Tesla presenta caratteristiche di compatibilità talmente alte (sono costruite appositamente) da consentire ricariche estremamente veloci. I SuperChargers Tesla erogano una potenza massima di 250 KW ed i tempi medi di ricarica si aggirano intorno ai 15 minuti.

Supercharger Tesla

In Ovada (e nelle vicinanze) non esistono, per ora, SuperChargers Tesla (a parte uno -normale da 11 KW- privato all'interno del Castello di Tagliolo) ed i possessori ovadesi di tali vetture utilizzano abitualmente le normali colonnine pubbliche presenti in città.
I SuperChargers più vicini si trovano a Serravalle Scrivia, presso l'Outlet (ce ne sono otto da 250 KW), a Genova, presso il Centro Commerciale L'Aquilone (ce ne sono 12, anch'essi da 250 KW) e a Varazze, dentro il Porto (ce ne sono 8 da 150 KW).

Se le colonnine di 120 anni fa funzionavano, come avevamo visto, "a gettone", quelle di oggi (gestite da diversi distributori di energia alettrica) si utilizzano attraverso il nostro smartphone mediante apposite "apps" che consentono anche, in caso di necessità durante il viaggio, di sapere quali sono le colonnine più vicine e se sono libere oppure occupate. Tutte le Tesla, ma anche la maggior parte delle auto elettriche più recenti, hanno la possibilità di "cercare" le colonnine libere integrata nel navigatore di bordo.

E adesso, per concludere degnamente questa lunga trattazione, andiamo a vedere le

Colonnine di ricarica in Ovada

Ad oggi, Ottobre 2023, in Ovada sono disponibili 8 colonnine per un totale di 16 stazioni di ricarica. Vediamole di seguito:

- Via Voltri (Piazzale supermercato LIDL): Tre colonnine (Corrente Alternata Monofase) con due stazioni di ricarica (gratuita per i clienti del supermercato) ciascuna che possono erogare una potenza di 3,7 KW (con una presa di tipo 3A o Scame dedicata ai piccoli veicoli) oppure una potenza di 7 KW con presa Tipo 2. Si tratta delle stazioni di ricarica meno potenti esistenti nel nostro Comune.

Voltri Lidl

- Via Galliera (Piazzale Guido Testore, Supermercato Conad): Due colonnine (Corrente Alternata Trifase) con due stazioni di ricarica ciascuna che possono erogare una potenza di 22 KW con presa Tipo 2. Le colonnine sono sistemate all'interno del parcheggio sotterraneo e questa, secondo noi e per quanto abbiamo visto prima, non è una soluzione ottimale ai fini della sicurezza.

Galliera Conad

- Via Dania (Piazzale Parcheggio Pubblico): Una colonnina (Corrente Alternata Trifase) con due stazioni di ricarica che possono erogare una potenza di 22 KW con presa Tipo 2.

Dania

- Via Torino (altezza civico n. 109 fronte Gelateria "Crema e Cioccolato): Una colonnina (Corrente Alternata Trifase) con due stazioni di ricarica che possono erogare una potenza di 22 KW con presa Tipo 2.

Torino

- Via Voltri-Romeo Pastorino (Piazzale distributore carburanti Eni): Una colonnina (Corrente Continua) con due stazioni di ricarica che possono erogare una potenza di 60 KW con presa CCS Combo 2. Si tratta delle stazioni di ricarica più potenti attualmente presenti sul nostro territorio cittadino.

Voltri Eni

Come dicevano in apertura di articolo, nei mesi prossimi è prevista l'installazione di altre tre colonnine di rifornimento che, salvo variazioni, dovrebbero essere installate in Via XXV Aprile nel tratto costeggiante la Piazza Martiri Benedicta (cosidetta "Piazza Rossa"), nel Largo 11 Gennaio 1946 (parcheggio di fronte alla Croce Verde Ovadese) e nel parcheggio di Viale Rimembranza (adiacente al viale del Cimitero). Tutte queste colonnine saranno del tipo a Corrente Alternata e forniranno un massimo di 22 KW. Entro il prossimo anno, se possibile, è prevista anche l'installazione, sempre in Via Voltri (la posizione non è ancora nota), di una seconda colonnina in Corrente Continua con erogazione di almeno 50/60 KW (ma forse anche di più) di potenza.

Si ringrazia l'Ufficio Ambiente (Sezione Lavori Pubblici) della Ripartizione Tecnica del Comune di Ovada per la preziosa collaborazione.