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La Nostra Ovada - Appendice
I - Nomi strani delle strade di Ovada


In Ovada abbiamo delle belle strade; strade antiche che, con i loro nomi, evocano personaggi e avvenimenti storici; strade moderne, diritte ed ordinate e strade tortuose, strette; hanno però tutte una loro fisionomia caratteristica, che le rende piacevoli ed interessanti.
I nomi delle strade di Ovada sono talvolta ostici e quasi sconosciuti alla maggior parte dei cittadini che ben difficilmente sanno spiegarsi l'origine di certi strani nominativi.
Non voglio qui fare una ricerca storica sull'etimologia dei nomi di tutte le strade ovadesi; desidero invece soffermarmi su alcune strade intitolate con definizioni inusitate; in quanto alle altre che portano nomi di personaggi ovadesi lontani nel tempo e nel ricordo, ne parlerò in un altro articolo.
Un tipico esempio di nome stranissimo e di cui, malgrado approfondite ricerche fatte in proposito, non mi è riuscito di trovare la spiegazione è quello di una stradina trasversale, con archivolto iniziale, tortuosa e breve che congiunge l'attuale via Roma con la nuova Piazzetta dell' Olivo. Nella toponomastica cittadina si chiama ufficialmente VICO BUTTA' e dai vecchi ovadesi veniva chiamata in dialetto anche 'Giru de i Papa' (giro del Papa). Cosa poi c'entrasse il Papa non si sa.
In Archivio Comunale, in vecchi documenti dell'epoca napoleonica si trovano molti riferimenti all'antico forno che ancora oggi funziona, rinnovato, in tale stradetta, però esso, che probabilmente è il forno più antico di Ovada, viene sempre genericamente localizzato come "il forno sito in Borgo Vecchio", senza nessun'altra precisazione e senza alcun riferimento alla viuzza dove trovasi posto. D'altra parte, il nome 'Buttà' non si trova mai citato nei tanti documenti che ho visionato.
Mancando pertanto una spiegazione logica per un nome così strano, è giocoforza rimettersi alle ipotesi, e cioè che la definizione 'Buttà' sia venuta più tardi e più praticamente dall'uso di indicare in tale strada qualche bottega di bottaio (che in ovadese si dice 'Butè') od una zona dove i fabbricanti di botti avevano dimora. Pertanto, dall'antica indicazione dialettale 'Carugiu di Butèi' o 'de i Butè', qualche solerte funzionario genovese addetto alla toponomastica del borgo è probabile abbia tradotto letteralmente il Butè dialettale nell'impensabile de intraducibile parola 'Buttà' che, in ultima analisi, si identifica nella quasi uguale parola genovese 'u Butà' che ha lo stesso significato ed indica la stessa professione.
Un altro esempio di nome strano, ma questo molto più significativo e giustificativo, e nello stesso tempo servente per indicare una funzione ben precisa è quello di VIA VOLTEGNA. 'Voltegna' è la variazione attuale dell' antica 'Strada Voltinee' (strada dei Volti) che si ritrova negli antichi documenti ovadesi. La strada era in origine formata da case con molte volte, cosa che si rileva ancora attualmente malgrado le variazioni apportate nei secoli. In tale strada si svolgevano i mercati e gli archivolti servivano a riparare i mercanti e le mercanzie nei giorni di pioggia.
VIA SLIGGE. E' questa una strada dove in antico sorgeva anche una porta della citta, la 'Porta delle Sligge'. Quella che oggi è una strada, nel 1600-1700 era soltanto una località posta sullo strapiombo franoso che scendeva al torrente Orba. Le attuali vie Oddone e Lung'Orba Mazzini, che oggi sottostanno a via Sligge, sono di costruzione molto recente, formate per la maggior parte con materiali e terra di riporto, provenienti dalla demolizione del vecchio castello. Nei secoli passati il torrente scorreva quasi lambente la rocca sottostante via Voltegna e tutto il terreno era franoso e soggetto a slittare verso il basso. Di qui la parola prettamente dialettale ovadese che dice 'sliggia' per indicare una frana. La porta che, uscendo dal borgo vecchio, si trovava all'altezza dell'attuale inizio di via Voltegna, immetteva in tale località di campagna ed è di qui che venne poi la denominazione alla strada che andò ivi sorgendo.
Cosa dovremmo poi dire del romanticismo al quale gli ovadesi si ispirarono, intitolando due delle loro piccole strade all'Aurora ed alla Luna? Infatti noi abbiamo ancora oggi due brevi vicoli che in antico erano chiamati 'Strada dell' Aurora e strada della Luna' (oggi più semplicemente VICO AURORA e VICO LUNA). Sono entrambi aperti ad oriente e da essi lo spettacolo dell'alba nascente e del sorgere della Luna da dietro la rocca di Tagliolo doveva essere così suggestivo (come d'altra parte lo è ancora oggi) da volerlo ricordare mei punti dai quali lo si poteva ammirare.
Infine, se qui vogliamo ricordare ancora nomi di strade che avevano un significato preciso e di indicazione, possiamo citare: il VICO DELL' ARCHIVOLTO che per buona parte della sua lunghezza è coperto da una lunga volta portante le case sovrastanti; il VICO DELL' ANCORA che indicava l'esistenza in fondo alla strada di un'osteria appunto chiamata 'dell' Ancora'; l'antica 'Contrada dei Cappuccini', oggi Via Cairoli, che portava al convento cappuccino, la VIA SANT' ANTONIO, con relativa Porta, che prende il nome dall'antica chiesa dedicata a tale santo, ancora oggi esistente ed, infine, il VICO DEL DAZIO, subito dietro l'abside dell'antica parrocchiale di San Sebastiano, dove anticamente erano poste le garitte dei gabellieri.
Si trovano anche delle strade ovadesi intitolate a persone, dei nomi che sono poco noti se non completamente sconosciuti a quegli stessi cittadini che queste strade abitano o percorrono.
Trovo pertanto naturale ricordare qui almeno uno di questi nomi, pochissimo conosciuto, ma che merita di essere segnalato ed al quale, giustamente, gli ovadesi antichi hanno dedicato una strada: VIA SIRI. Chi era Siri?, e perchè una strada è intitolata a lui? Rocco Giacinto Siri nacque in Ovada il 16 agosto 1751 da distinta famiglia originaria dell' Olba e trasferitasi in Ovada circa un secolo prima. Il padre, Carlo Giacinto, uomo di sani principi morali e religiosi, stimato commerciante di sete e proprietario di terreni e fondaci sia nel borgo che nel contado, da quel buon tradizionalista che era, volle imporre al figlio, nato nel giorno di S.Rocco, il nome del Santo compatrono di Ovada e, come secondo nome, quello di Giacinto, Patrono della Comunità. Volle in seguito dargli un'ottima istruzione umanistica, civile e cristiana, facendogli frequentare prima la scuola dei Domenicani, allora fiorente in Ovada, e poi quelle superiori in Genova, sempre dei Domenicani.
Il giovane Siri si distinse e si fece onore, sì che appena diciottenne, coltissimo e già padrone di diverse lingue straniere, potè intraprendere diversi viaggi all'estero per trattare affari commerciali in compagnia del padre.
A vent'anni fu in Svezia, a Stoccolma, dove, con la signorilità che lo distingueva, con la sua alta cultura e per il suo carattere di compito gentiluomo, contrasse varie ed altolocate amicizie che fecero notare la sua persona a Corte, gli diedero modo di accedervi e presso la quale potè poi servire, per oltre tre anni, nella Guardia d' Onore Reale.
Ma il richiamo della terra natia, forte in lui quanto quello dell'avventura, lo riportò nella sua Liguria e, stabilitosi a Genova, che in quell'epoca era permeata dello spirito di libertà dei tempi nuovi, chiese ed ottenne di entrare a fare parte delle Milizie della rinnovata Repubblica Ligure.
Entrato con il grado di Capitano, le sue non comuni doti di uomo di ingegno e di spada lo fecero prestissimo ascendere ai più alti gradi, fino a quello di Brigadiere Generale. In Archivio di Stato di Genova si ritrovano ancora, negli atti militari dell'epoca, gli originali dei suoi ordini e dei suoi proclami.
Caduta la Repubblica Ligure, il Generale Siri, come altri suoi concittadini ovadesi quali il Dania, i fratelli Bernardo e Giacinto Ruffini, che hanno anch'essi strade intitolate in Ovada, non potè mancare di sentire la fortissima attrazione o, se vogliamo meglio dire, l'infatuazione napoleonica e, con lo spirito avventuroso e generoso della sua naturale esuberanza, mise il suo ingegno, il suo cuore e la sua spada al servizio del grande Corso.
Dobbiamo dire che le sue doti ed i meriti che si era guadagnato nella Repubblica Ligure e che lo precedettero nelle armate imperiali, furono valorizzati e tenuti in alta considerazione se, nel 1806, gli venne conferito il comando del Dipartimento di Treviso e, l'anno dopo, quello del Trasimeno.
Decorato della Legion d'Onore, nel 1809 tenne per circa un anno l'importantissimo comando della Piazza di Roma. Ed è da qui che iniziò, per poi terminare con l'addio all' Italia, il periodo idealistico più conforme alla sua natura di speranza e di delusione e più patetico della vita del Siri.
Era allora salito sul trono di Napoli Gioacchino Murat; sovrano la cui attività politico-amministrativa nel Meridione si rivelò di notevole portata e che recò non indifferenti benefici a quelle popolazioni. Ma il Murat vagheggiava più del trono napoleonico: pensava di riunire l' Italia in un unico Stato sotto la sua corona.
Questo progetto, allora soltanto in via di formazione, e che suscitò vive speranze in tanti patrioti, non potè mancare di trovare nei suoi aderenti un uomo come il Siri che al suo valore militare anteponeva sempre il suo spirito di italianità e che, precorrendo i tempi non ancora maturi, anelava all'unità di tutti i popoli della penisola ed alla formazione di una coscienza nazionale veramente ed interamente italiana.
Sappiamo per certo che Siri aderì 'toto corde' a questo movimento già fin da quando era Comandante della Piazza di Roma e fu in relazione con gli emissari del Re Gioacchino. Si trasferì poi a Napoli e, come afferma brevemente il Colletta nella sua Storia del Reame di Napoli, fece parte attiva nello Stato Maggiore di Murat.
Ma il sogno muratiano doveva ben presto cadere e finire tragicamente sulla spiaggia di Pizzo Calabro.
Il Generale Siri, amareggiato e deluso, insieme ad altri Ufficiali e patrioti che, come lui avevano inseguito quella chimera irraggiungibile, lasciava per sempre l'amata Italia per ritirarsi esule a Parigi, dove visse onorato fino al 1826.
Tale fu il Generale Siri.
Il Frixione, dal quale ho tratto parte di queste notizie, si rammaricava, nel 1896, che a quest'uomo non fosse dedicata almeno una lapide nella sua terra natale, per ricordarlo agli immemori suoi concittadini.
In anni seguenti si riparò intitolando una strada al suo nome, ma la sua figura e la sua personalità umana sono rimaste oscure e dimenticate.
Più della targa stradale, lo rammenti agli Ovadesi questo modesto e breve cenno storico-biografico.
I nomi più noti attribuiti alle strade ovadesi, che sono poi anche le principali, non abbisognano di una particolare spiegazione, perchè tutti sanno e conoscono la loro derivazione. Abbiamo come esempio VIA SAN PAOLO DELLA CROCE che si intitola al nostro grande concittadino, VIA CAIROLI che ricorda il soggiorno in Ovada, in casa Torrielli, del patriota Benedetto Cairoli, che fu poi anche Presidente del Consiglio dei Ministri; CORSO SARACCO, riferentesi allo statista piemontese propugnatore della costruzione della ferrovia Genova-Ovada-Acqui-Asti; la piazza dedicata a BATTINA FRANZONI, la munifica marchesa genovese che donò l' Ospizio Lercaro, VIA GALLIERA, che ci rammenta il diritto di asilo (ormai sorpassato) che un tempo avevano gli ovadesi, sudditi della Repubblica Ligure, ad essere ospitati negli Ospizi Genovesi; e così via, tutte le altre, intitolate ad avvenimenti e personaggi storici o di risonanza locale ben conosciuti e ricordati, fino a CORSO ITALIA, CORSO DELLA LIBERTA', VIA XXV APRILE, VIA GEA e VIA VILLA, di più recente e nota intitolazione.
Prima però di chiudere questa tornata dedicata alle strade, per riaprirne una seconda di diverso argomento storico locale, ed anche per tracciare un trait d'union tra l'etimologia stradale e le vicende storiche ovadesi, desidero soffermarmi con un breve cenno illustrativo su uno dei più antichi monumenti cittadini: l'antica Parrocchiale di San Sebastiano, che ha dato il nome all'omonima strada: VIA SAN SEBASTIANO.
Non sempre si chiamò così sebbene la chiesa ne portasse il titolo. Fu chiamata in tempi antichi 'Strada dello Stura' e, più recentemente, 'Strada di Borgo Vecchio'. L'attuale intitolazione fu data dopo che la chiesa fu sconsacrata e chiusa al culto.
La strada, di per se stessa, non ha storia, ma, prendendo spunto dal suo nome, credo di fare cosa gradita agli ovadesi ricordando le vicende della loro antica Parrocchia.
Quello che ne resta oggi è ben poco, se non la struttura perimetrale che, sebbene riveli mutilazioni ed i danni arrecati sia dal tempo che dagli uomini, mantiene ancora ben visibile il suo stile romanico d'origine. Sorse piccola e venne ingrandita poi con l'aumentare della popolazione nel borgo. Ben poco si sa della sua primitiva erezione.
La tradizione popolare vuole che in essa abbia predicato S. Ambrogio, Vescovo di Milano, durante un suo viaggio in Liguria e, pertanto, è da pensare che già nel IV secolo esistesse, sebbene con strutture e capienza diverse da quelle attuali, che furono ampliate e rinnovate nei secoli successivi.
La prima notizia certa che ne abbiamo è quella che ci è stata tramandata dalla lapide in pietra che troviamo murata alla base della torre campanaria. E' del 1391 e ci dice che in quell'anno, sotto il dogato di Antoniotto Adorno ed a cura del Notaro della Curia Ovadese e rappresentante di Genova in Ovada, Benedetto Borrobianco, furono fatti grandiosi lavori di rifacimento sia per la fabbrica della chiesa che per la sopraelevazione del campanile.

" ... 1391... hoc opus fieri fecit providue vir
Benedictus Borroblanchus de Portum auricio
notarius et Curiae Vade scriba...".

Erano quelli i tempi in cui Genova, da poco più di un secolo padrona di Ovada, vi faceva grandi opere di ricostruzione, ammodernamento e difesa, ed è naturale che tra questi lavori vi fosse anche quello, ben necessario, di dotare il borgo di una parrocchia più adeguata ai tempi ed agli sviluppi demografici del paese.
Per i tempi successivi non si hanno più notizie di rifacimenti che abbiano potuto lasciare una qualche traccia. La chiesa restò per centinaia di anni quella che era e resse le sue funzioni sempre bene nelle alterne vicende, buone o cattive, di Ovada.
Ma con il passare dei secoli la decadenza della costruzione si rivelò sempre più inquietante e la necessità di avere una parrocchia più vasta e meno vetusta si fece sempre più impellente nella popolazione del borgo.
Nel 1791, quando già era in costruzione la nuova parrocchia, il Vescovo di Acqui, durante una visita pastorale in Ovadne rilevò la vetustà e la decadenza dell'edificio, e ne fu talmente impressionato che con sua ordinanza del 17 giugno 1791 deliberò che da quel giorno in poi, e fino a che non fosse aperta la chiesa nuova, le funzioni parrocchiali si facessero con lo stesso ordine di giorni e di ore nella chiesa dei Domenicani. Le parole del documento vescovile sono talmente chiare che mettono in impressionante evidenza lo stato dell'edificio: "...Veteri templo - squaliditate - vetustate - angustia - derelicto....".
La chiesa venne così chiusa al culto; e siccome la nuova parrocchiale non era ancora terminata, per circa sette anni il San Domenico funzionò da primaziale. Fu in quel periodo che la navata destra fu ceduta alla Confraternita di San Giovanni, che vi costruì lo scalone che oggi porta al piano dell'oratorio. Le varie suppellettili e gli arredi vennero acquistati dalla famiglia Spinola che, a sua volta, ne fece donazione alla nuova costruenda parrocchiale e ad altre chiese di Ovada. L'altare maggiore, pregevole opera in mosaico di marmo rosso e bianco, con lo stemma di Ovada ai due lati, trovasi attualmente nella chiesa di San Domenico. Un altro altare, di uguale stile ma di minore pregio artistico funziona oggi quale battistero in Parrocchia. Il resto dell'edificio, nel quale furono praticate tre ampie aperture ad arco, due laterali ed una frontale, fu adibito a pubblica loggia in sostituzione di quella vecchia che sorgeva nel bel mezzo dell'attuale PIAZZA MAZZINI (ancora una quarantina d'anni fa chiamata 'PIAZZA DELLA LOGGIA VECCHIA').
Quando le funzioni della pubblica loggia si dimostrarono superate dai tempi, il fabbricato fu usato come mercato coperto per frutta, verdura e bozzoli da seta. Oggi, chiuse in parte le arcate e ricavatine dei grandi finestroni, è usato per esposizione di una ditta di mobili.
Chi pensasse di trovare nel suo interno qualche vestigia dell'antica sua funzione, nulla vi troverebbe più, perchè il tutto è stato ricoperto da nuovi intonaci ed il vasto spazio di un tempo è stato suddiviso da paratie funzionali per l'uso espositivo. Ancora quando noi si era ragazzi si potevano notare sulle pareti tracce di vecchi affreschi stinti che oggi sono completamente spariti. Al suo esterno conserva ancora qualche parvenza della sua antica dignità, particolarmente nella parte absidale.
Restano ancora, scolpite sulla pietra viva, le antiche misure di raffronto ed una piccola acquasantiera in pietra rilevata posta ai lati di una porticina laterale.

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NOTE del curatore:

Questo capitolo comprende, condensandoli leggermente, gli articoli già pubblicati e che potete leggere, completati dalle relative note, ai precedenti nn. 3, 5 e 6.


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