Benvenuti su www.nonsoloovada.it!

Mornese - Spunti di Storia - La Parrocchia nuova



 Mornese Quando Mons. Ragazzoni effettua, nel 1576, la sua visita apostolica nella Diocesi tortonese ha modo di fare anche una brevissima sosta in Mornese dove trova la nuova chiesa già in costruzione. L'intitolazione di questa non à ancora decisa ed il Presule la nomina come "Chiesa di S.Maria in Mornesio" e forse questo perchè vi era già costruito, adiacente alla nuova fabbrica, l'Oratorio di S.Maria, della Confraternita dei Disciplinati.
Alcuni anni dopo, nel 1597, il 13 Giugno, il Vescovo diocesano Mons. Maffeo Gambara, nella sua visita pastorale, può già aver modo di ispezionare la Parrocchia nuova che, pur non essendo ancora terminata, viene di già officiata.
Le manchevolezze che questo visitatore riscontra non sono nè poche nè tantomeno lievi. La chiesa à ancora praticamente sprovvista di tutto e il Rettore mercenario che la officia in mancanza del titolare, pur dandosi da fare, non ci pare -dagli estremi degli atti- molto solerte e compenetrato nelle sue funzioni.
Nella chiesa non viene conservata l'Eucaristia forse appunto perchè i lavori sono ancora in corso-. Il Vescovo ordina di tenere almeno tre o quattro particole consacrate custodite in tabernacolo confacente e la lampada perpetua accesa. Provveda poi il popolo di Mornese ad acquistare una Pisside grande d'argento capace per tutta la popolazione. Si procuri un Ostensorio per le benedizioni ed un calice piccolo per gli infermi. Si doti la chiesa di Battistero cintato di cancello e con dipinta sul muro l'immagine di S.Giovanni che battezza il Signore.
L'acqua santa, che dovrà essere prelevata dalla Pieve di Silvano, sia trasportata in Mornese in una ampolla di stagno argentato e coperta. Siano conservati gli oli sacri in apposita scatola con relative coperture.
L'altare (in quel tempo vi era soltanto quello maggiore) sia provveduto di Croce e candelieri d'ottone e di un baldacchino. Vi si costruisca intorno il suo gradino di legno e si provveda ad arredarlo delle tovaglie e sottotovaglie necessarie.
Mancano paramenti e suppellettili ed il Vescovo ordina che si provveda in merito. Il tetto non à ancora finito, i muri conservano, ancora aperti, i fori dei ponteggi ed il Vescovo ordina: "...si ripari il tetto dalla pioggia, si muri ogni fenestrella et buco della chiesa et del choro, si lastrichi dove bisogna, si assicuri meglio la porta, si faciano l'ampanate alle fenestre et si faccia costruire un confessionale della forma conveniente con suo ingenocchiatore. Si faccia il vestibolo avanti la porta et vi si depinga l'imagine di San Silvestro" ed infine: "si finisca et di mani in mano ad giudicio del Vicario foraneo et conforme alla Istruttione della Fabrica Ecclesiastica".
Per la casa parrocchiale o canonica che in quei tempi non doveva essere molto abitabile, il Presule dispone che: "si tenghi riparata, coperta et megliorata ogni anno dal Rettore col parere del Vicario foraneo".
Ma, le disposizioni più drastiche e perentorie sono quelle disciplinari per il clero locale che vengono emanate con ordini particolari e che rispecchiano la volontà degli Ordinari diocesani di mettere subito in atto i nuovi insegnamenti del, da poco concluso, Concilio Tridentino e che tendono a riparare gli abus, gli errori e le manchevolezze del passato:
"Il Rettore non parti dalla residentia sua le Feste, nè la mattina nè la notte. Stii absente mai le più di tre volte al mese senza licenza in scritto del Vescovo nè vadda alla dimora sua di Guà o altrove sotto pena di un Crocione per volta. Non si lasci praticare donne di sorte alcuna in casa sua sotto pena di scudi dieci per volta nè egli in casa loro sotto l'istessa pena.
Insegni la Dottrina Xstiana ogni festa. Faccia il sermone ogni Domenica. Canti il Vespero. Annunzi le Feste e le Vigilie. Soni le 4 Ave Mania del giorno e della sera. Cellebri li Offizzi della Settimana Santa. Faccia le solite Processioni dell'anno, sotto pena di venti soldi per ciascuna volta delle sopradette cose che mancarà.
Et le qual pene tutte applichiamo di presente alla Compagnia de S.S.to per la metà e per l'altra metà all'Oratorio incaricando gli Uffiziali d'esso a tenere conto e riscoterle senza le primizie e frutti delle possessioni.
Per l'avvenire non si deputino Massari nè Priori nè Uffiziali che siino debitori della Chiesa o Compagnia nè prima che si sia fatto dar conto di quanto devono.
Non si permetti detti Offiziali entrare in Officio senza giuramento di ben amministrare o spendere minima cosa senza render conto. E tutte queste cose sempre alla presenza del Priore e sotto pena di esser scacciati dalla Compagnia et privati di officio in perpetuo et inoltre dell'interdetto personale.
Il Rettore si eserciti nelle cerimonie della Messa et osservi le Rubriche del Missale procurando di cellebrare e trattare i S.Sacramenti con più gravità et decoro.
Legga la presente visita al populo ogni prima domenica del mese et la faccia mettere in esecuttione.
Annunzi al populo nella prima festa qualmente s'interdirà dalla Chiesa qualunque debbitore di essa o di Confraternita che non habbia rimborsato e sodisfatto per tutto.
Col quale tempo mandarà a Noi la lista de debbitori acciò possiamo segnar l'interdetto et proveder bisognando a più gravi pene, come irremisibilmente vi procederà senza il Rettore, un Chierico in abito et tonsura sotto pena di scudi 10 al mese.
Non ardisca per l'avvenire in occasione di riscotere Primizie o la mercede per funerali o per sepelire morti pagarsi da li stesso et tener i pegni da i debbitori o negarli l'assoluttione sacramentale sotto l'istessa pena.
Procuri exigere il lascito delle lire 1500 di Genova per riparatione della Chiesa dalli Heredi del q.S.Ugho Doria."
.
Non sappiamo se questo ultimo paragrafo delle disposizioni vescovili sarà stato rispettato perchè ormai in quel tempo, 1597, le eredi di Ugone Doria avevano già, da dieci anni, venduto il feudo ai Da Passano che lo tennero ben poco e, a loro volta, lo cedettero ai Pallavicino.
In ogni caso, molto si fece per la nuova chiesa e questa, nel 1602, era quasi del tutto terminata, già solennemente benedetta dall'Arciprete dĪ Silvano Adorno, Capo della Pieve, ed in grazia al nuovo feudatario Niccolao Pallavicino che si era prodigato anche finanziariamente: "si va accommodando di bene in meglio"; parole queste del Rettore, Don Giacomo Antonio Forti, indirizzate al Vescovo e che lasciano trapelare la di lui intima soddisfazione di annunziare al suo superiore una buona novella.
In contemporaneità col Rettore, scrive al Vescovo anche il Feudatario, il quale mettendo in luce il suo contributo: "Questi miei homini di Mornese, con l'aggiutto mio, hormai sono vicini al compimento della fabbrica della Chiesa et casa parochiale et havendo fatto io tutta la spesa fuorchà le giornate di porgere la matteria alli maestri", chiede al Vescovo un favore: "dessideraria che V.S.R.ma si compiacesse di darmi licentia ch'io potessi far fare due sepolture alla forma havendo già preparato la matteria per tal effetto.".
Non ci pare che nella chiesa di Mornese esistano sacelli dei Pallavicino, a meno che, nelle susseguenti ristrutturazioni della parrocchia, essi siano andati perduti o ricoperti dal nuovo pavimento e le lapidi asportate.
Nel 1670, dagli atti della visita di Mons. Carlo Settala, si constata che la chiesa ha già, oltre al maggiore, altri due altari: quello della B.V. e quello di S.Antonio da Padova, ben costruiti e ben tenuti; il battistero à già in ordine ed il Vescovo si compiace esortando: "a mantenerla con tutta politia lodando molto il zelo di questo Popolo mentre con tanta pietà ha fatto una fabrica di non ordinaria spesa".
Continuano però sempre le solite esortazioni di carattere disciplinare che, sebbene più blande, sono pur sempre un monito di non indifferente peso d'insegnamento e di richiamo al comportamento morale e religioso sulla popolazione e sul clero locale: "Si osservino le Feste, nà in tali giorni si suoni, si balli, si giuochi, nà si faccia altra cosa indecente sotto pena a Noi arbitraria. Et ciò s'osservi maggiormente nelle hore de Divini Officij sotto pena di scuti dieci per ciascuna volta d'applicarsi à Luoghi Pij. Si faccia la Dottrina Cristiana ogni giorno di Festa a suono di campana et li Padri et Madri vi mandino li loro figliuoli sotto pena a Noi arbitraria. Nel resto s'osservino li Decretti Prov. del Sac. Consiglio di Trento, Ordini, Costitutioni sinodali et visite Nostre.".
In quel tempo la canonica era discretamente sistemata ed il Vescovo invitava il Rettore, con l'aiuto del popolo, a mantenerla e migliorarla. Il nuovo cimitero, dopo che era stato abbandonato quello troppo distante dell'Eremo antico, si trovava adiacente la Parrocchia, sul terreno intorno la chiesa e praticamente quasi sottostante il campanile, dalla parte opposta all'Oratorio della Confraternita.
La visita pastorale di Mons. Carlo Francesco Ceva del 16 Ottobre 1688 ci informa che nella chiesa à stato eretto - a cura del popolo dĪ Mornese - un nuovo altare per la devozione a San Nicola da Tolentino e che un altro à in via di costruzione dedicato a N.S. del Suffragio.
Una completa descrizione della pannocchia l'abbiamo però soltanto nel 1751 e ci à stata tramandata dalla precisione ed accuratezza degli atti della visita di Mons. Anduxar; atti che sono stati stilati dal già citato procancelliere vescovile Giovanni Battista Baccigalupi, osservatore attento, latinista forbito e cronista curiale insuperato.
 Mornese Non dobbiamo pensare che la chiesa fosse allora come quella che noi vediamo oggi. Pur essendo molto capiente non presentava la monumentalità odierna e che ebbe poi nei rifacimenti del 1800.
Era più stretta e una piccola strada, che portava agli orti, la separava dall'edificio della Confraternita al quale oggi, invece, è attaccata. Questo particolare lo si può ancora rilevare dall'interno dell'Oratorio, dove si vede che le tre finestre della parete sinistra sono state chiuse e murate e, dall'esterno, osservando dalla piazza, che la parete destra della parrocchia si inserisce evidentemente in quella sinistra dell'oratorio, riducendon una lesena.
La piazza antistante -dove trovavasi anche la Canonica, più o meno dove c'à l'attuale- era tutta lastricata di pietre e vi si accedeva dalla odierna Via della Chiesa, allora chiamata "Contrada del Castellazzo", in ricordo dei ruderi di un'antica torre di guardia che ivi esisteva fin dai tempi delle guerre fra Genovesi e Alessandrini e forse anche da epoca più antica.
La facciata era semplice, con frontone ad arco. Un grande portone a due ante e con portina più piccola, incorporata con antiporta interna, erano il solo ingresso al tempio. Sopra la porta vi era dipinta in grande l'immagine del titolare S. Silvestro Papa. Sull'àpice del frontone una Croce di ferro e, sulla sinistra, si alzava il campanile, l'ingresso del quale era dentro la chiesa.
L'interno "costrutto con buona architettura", aveva quattro Cappelle laterali, tutte a volta.
Il pavimento, dalla porta fino al presbiterio, era coperto di quadrangoli di terra cotta. Nei presbiterio, invece, era formato di ottangoli di pietra di Lavagna scura con al centro quadretti di marmo bianco. Quest'ultimo tratto di pavimento era stato costruito, a spese della chiesa, l'anno 1738 e, ancora oggi, ne resta ben visibile e conservata una parte nel coro, subito dietro l'altare.
Gli altari, oltre il maggiore, e tutti collocati nelle cappelle laterali, erano quattro: quelli di N.S. del Rosario e del Suffragio sulla parte sinistra. Gli altri, di S.Nicola da Tolentino e di S.Antonio da Padova, sulla destra. Sebbene la disposizione di questi altari, alla destra e alla sinistra dell'altare maggiore, sia rimasta immutata, la loro collocazione statica à stata però notevolmente innovata nel corso dei lavori dell'ampliamento e ristrutturazione della chiesa eseguiti nel 1800.
Le cappelle laterali erano tutte stuccate, dorate ed affrescate. Quella del Rosario aveva due finestre ogivali "che tramandano il splendore nel detto nicchio". La statua di legno della Madonna, molto bella e che ancora noi oggi ammiriamo, "eccellentemente scolpita", era posta nella nicchia sopra l'altare che era chiusa da una vetrata con piombi dorati e velo di seta di color celeste. Ai lati erano due statue stuccate e di minor pregio artistico: una di S.Caterina da Siena e l'altra di S.Domenico.
L'altare che trovavasi nella cappella del Suffragio, nel 1751 era stato da poco tempo costruito. Il bel quadro che vi à ancora ci viene descritto "di misura grande e alta, à dipinto in tela e di buon pennello". Sul frontale di questa cappella, che era appositamente officiata per il suffragio dei defunti, vi erano affrescati due angeli che tenevano un cartiglio con la scritta "Beati mortui qui in Domino moriuntur".
Sull'altro lato della chiesa, la cappella dedicata a S. Nicola da Tolentino, anzichè la statua odierna, ospitava un grande quadro del Santo con cornice dorata. In quella intitolata a S. Antonio da Padova vi era una statua del Santo.
E' ovvio che tutte le cappelle erano sostenute e mantenute da piccoli gruppi di fedeli laici che ne curavano l'amministrazione e che avevano a capo un Priore nominato, di solito, dal Parroco.
L'altare maggiore, di marmo di Carrara, - che à tuttora lo stesso, era stato donato alla chiesa dalla Marchesa Eleonora Spinola Serra, feudataria del paese, nel 1738 e così la balaustrata del presbiterio. Il contraltare porta scolpita l'immagine di San Silvestro Papa in un circolo dorato. Gli stemmi di casa Serra sono ancora oggi visibili nei due pilastrini d'ingresso della balaustrata e le insegne marchionali dei feudatari sul petto degli angeli di marmo che sostengono, dai due lati, l'altare.
La navata era sgombra, senza banchi, salvo un inginocchiatoio di legno lavorato posto sotto il presbiterio, in cornu Evangelij, e riservato "alle Serenissime Feudatarie". Gli uomini stavano in chiesa nella parte superiore verso l'altare, separati dalle donne che avevano il loro posto nella parte inferiore verso la porta. (Anche nel cimitero coperto, attiguo alla chiesa, le sepolture delle donne erano separate da quelle degli uomini).
Il pulpito, monumentale, in legno pregiato, ottimamente scolpito e lavorato, con il suo baldacchino, dominava la navata dall'alto della colonna che lo sosteneva e che portava inserita la scala a chiocciola per salirvi. Vero capolavoro dell'arte ligneo-scultorea del tempo, con le sue statue, i suoi fregi, le sue aquile, questo pergamo merita di essere ammirato e gelosamente conservato con tutte le cure e le attenzioni possibili.
Il coro non aveva ancona gli scanni che ci sono oggi e che vi furono sistemati in epoca posteriore. Sia nel coro che nel presbiterio vi erano diversi quadri rappresentanti il Rosario, S.Antonio da Padova, S.Ignazio, S.Francesco Saverio, S.Luigi Gonzaga e S.Stanislao Kosta. Al centro, sopra l'altare, un grande quadro con cornice dorata rappresentava S.Silvestro.
Nel presbiterio vi era una finestrella dove era conservata la Reliquia del legno della Croce, rinchiusa in un ostensorio argentato con raggi dorati; questa Reliquia veniva esposta alla venerazione del popolo nella festività della S.Croce in Maggio e, dopo il Vespero, portata processionalmente in giro per il paese, accompagnata dal Clero, dai Confratelli dell'Oratorio e dal popolo per la benedizione "a quattro venti la campagna per la conservazione dei frutti pendenti".
Due confessionali in legno lavorato e confacenti all'uso, si trovavano, dirimpetto l'un l'altro, fra le cappelle laterali.
Vi era una acquasantiera in marmo sul lato destro entrando e, il fonte battesimale in pietra, era sulla sinistra chiuso da cancello di ferro battuto e sovvrastato da un quadro del Battista senza cornice.
La chiesa era illuminata da otto finestre, tutte vetrate e con grata di ferro; tre sotto la volta del coro non molto ampie e due grandi nella parete sottostante la volta. Altre tre finestre, consimili a quelle dei coro, si trovavano alte sulla facciata. Qualche cappella aveva, per sua illuminazione, piccole finestre ogivali.
 Mornese Il campanile, in quel tempo, non era in soddisfacenti condizioni statiche, particolarmente nella cupola e portava due campane, una grossa ed una piccola. Il tetto risentiva "delli impetuosi venti a quali in quest'altezza à il sito soggetto" e la manutenzione per la tenuta dei coppi era costante.
In quella seconda metà del XVIII secolo il clero, in Mornese, era composto dal Parroco Don Carlo Maria Gazzi di Serravalle, da Giovan Battista Gastaldi di Castelletto d'Orba che fungeva da Viceparroco e cappellano e da Don Giacomo Antonio Ferrettino che era del paese. Di Mornese erano pure Don Andrea Arecco, Cappellano delle Monache della Chiappella in Genova, Don Bartolomeo Ghio parroco di Lerma e Don Rocco Bodrato parroco in Savignone.
I beni dotali della Parrocchia erano costituiti dalla casa parrocchiale o canonica, da una quindicina di appezzamenti di terreno campivo, arativo e vignativo, due castagneti, un pezzo di terra prativa e qualche gerbido. Tutti questi immobili erano di provenienza donativa o testamentaria. Tutte le famiglie o fuochi, inoltre, erano tenuti a versare al parroco una quarta di frumento nella misura locale nel mese di Agosto, più le primizie che costituivano un donativo antico e simbolico dei primi frutti della terra. I compensi per le funzioni completavano le rendite.
Il vento rivoluzionario, che verrà di Francia alla fine del secolo, farà sentire le sue conseguenze anche sul clero mornesino e creerà non pochi fastidi al parroco di quel tempo Giacomo Carrante che era del paese. In una sua lettera, del Gennaio 1801 al Vescovo, questo sacerdote lamenta che un suo cappellano, tale Lorenzo Pestarino, si à dato alla politica: "esso à attualmente Municipalista, continua lo stesso tenore di vita, attende a tutt'altro che alla Chiesa. Non si à mai veduto una volta solo insegnare la Dottrina Cristiana e confessarsi. Dimostra sempre odio canino contro del parroco. Egli formò uno scritto e indusse i suoi colleghi Municipalisti a sottoscriverlo per ricusare il pagamento della somma costì portata dall'affranchimento della primizia. Pubblicamente insinua a non pagare i diritti de' funerali al parroco e conviene tacere per non essere ulteriormente perseguitato. Il Sac. Antonio Mazzarello à intimo collega e familiare del suddetto". Nella stessa lettera il Carrante dice di essere rimasto con un solo cappellano, pure lui di Mornese, Don Giuseppe Pestarino, perchè un altro sacerdote Don Giuseppe Bianchi che à di Carezzano, da alcuni mesi se ne à ritornato al suo paese e un chierico Gio Lorenzo Ghio si trova presso uno zio prete in Casaleggio.
I momenti non erano certamente facili per un parroco come il Carrante che era venuto su sotto la scuola antica di Don Carlo Maria Gazzi. Tutto cambiava e tutto si sovvertiva e gli sfoghi letterari di un povero parroco di un paese vessato, tormentato e spogliato dalle soldataglie straniere, che in continuazione vi transitavano, e tribolato dalle lotte politiche interne e dagli odi paesani, ci appaiono più che giustificati.
Altre spogliazioni, altre soppressioni ed altri guai sarebbero venuti poi a breve scadenza dal regime napoleonico e dallo smembramento della Diocesi tortonese, voluto da Napoleone nel 1803, che sballottò la parrocchia per un po' di tempo sotto Alessandria e poi sotto Acqui alla qual Diocesi, finalmente, rimase anche quando, nel 1817, quella di Tortona fu ripristinata.
La fine dell' avventura napoleonica, con la restaurazione, porterà un po' di pace e di serenità. Ed à proprio negli anni che seguono che il popolo mornesino penserà a rendere più ampia e più bella la sua chiesa parrocchiale. I lavori di rifacimento, di ristorazione e la monumentalità della facciata risalgono appunto a quel periodo e dureranno non pochi anni. Il parroco di allora, Don Lorenzo Ghio, ne sarà uno zelante sostenitore come ci ricorda la iscrizione a lui dedicata nella stessa parrocchia.
Nel 1873, il tempio rinnovato sarà solennemente inaugurato e benedetto da Mons. Giuseppe Maria Sciandra, Vescovo diocesano di Acqui. Una lapide su un pilastro della chiesa ricorda l'avvenimento.
Negli anni che seguiranno e, fino ad oggi, si continuerà a migliorare questa Parrocchia con stucchi, dorature, ornamenti e la bella decorazione del soffitto sarà attuata dal Parroco Don Ernesto Voglino di Rivalta Bormida (1867-1947) che in questa chiesa riposa nella Cappella dedicata a S.Nicola da Tolentino.

|
|
|