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Ovada nel Medioevo - Osservazioni a conclusione degli Statuti


Gli Statuti di Ovada, così come li abbiamo analizzati noi, in ogni loro parte, si rivelano come una codificazione completa che regola la vita amministrativa, sociale, politica, commerciale e lavorativa di una comunità che, sebbene medioevale, ci pare quasi anticipata nel tempo.
A differenza di moltissimi statuti regolamentati in quella epoca, non soltanto nella terra ligure, ma anche in altre zone, i "Capitula" ovadesi se ne distaccano e formano quasi una legislazione a sè stante; legislazione molto più appropriata e consona alla struttura politico-sociale del borgo di Ovada. Se in altri Statuti, come quelli di Ricaldone, Cremolino ed altre località, noi troviamo un rapporto vero e proprio di sudditanza del vassallo verso il feudatario che è il suo vero padrone e questo rapporto è sancito e basato su dei soli doveri di vassallaggio, negli Statuti di Ovada questo non esiste.
I nostri Capitula impongono sì una relativa soggezione alla dominante Repubblica di Genova, ma questa subordinazione lascia completa libertà ai cittadini ovadesi di reggersi, amministrarsi e condurre vita sociale basandosi su libertà antiche, tradizioni radicate, usi e costumi proprii.
E' giusto che queste libertà che Genova riconosce ad Ovada non debbano contrastare con le libertà genovesi perchè, se così non fosse, verrebbe a cadere quel legame politico-amministrativo che resta alla base dei rapporti che debbono intercorrere pacifici e controllati fra una Repubblica democratica, come era allora quella genovese, ed i suoi convenzionati.
Dobbiamo ricordare a questo proposito che Genova non conquistò a forza Ovada con le armi, ma bensì ne venne in possesso per regolare acquisto da feudatari che avevano tutt'altra mentalità di quella del governo genovese, già emancipato nel reggimento di un popolo progredito, libero, attivo e socialmente evoluto.
Questa acquisizione fatta pacificamente e per buona parte voluta anche dagli ovadesi stessi, non poteva impedire che il governo genovese venisse incontro a tutte quelle necessità ed aspettative politiche e sociali alle quali gli ovadesi aspiravano e che li avevano forse spinti ad eleggersi una più alta signoria sulla quale potevano fare un maggiore affidamento di benessere, di tranquillità e di protezione. Non per nulla Ovada restò fedele a Genova per ben oltre cinquecento anni (1277-1815) e questa sua fedeltà fu certamente una conseguenza della convenzione statutaria che poneva gli ovadesi in una posizione di mai completo asservimento; in altri termini si riconobbero e furono in effetti più alleati che vassalli.
In tanti anni non troviamo mai, nella storia ovadese, un moto popolare di ribellione al governo della Repubblica; al contrario, rileviamo sempre, in qualsiasi circostanza, una tendenza a ricongiungersi a Genova. Ancora oggi, e questo sia detto per inciso, pur trovandosi Ovada in provincia di Alessandria e tralasciando le relazioni necessariamente amministrative che debbono legarla al suo attuale capoluogo di provincia, le tendenze, le attività commerciali, il pendolarismo lavorativo degli ovadesi è sempre orientato verso Genova.
Non parliamo poi dell'architettura urbanistica, delle tradizioni, dei costumi, del colore locale, delle usanze, del dialetto, della cucina che sono di prettissimo carattere genovese.
Le sue festività religiose, con il lussureggiante folklore dei suoi colori e dei suoi riti è importato da Genova; persino le ricorrenze di Santi titolari più belle, come quella di S. Giovanni Battista, ci parlano di Genova.
Ovada, naturalmente, nei secoli parteggiò con le diverse fazioni che allora si disputavano il governo della Repubblica ed ora con l'una ora con l'altra ne subì le sorti nell'ascesa e nella sfortuna. Ebbe lotte intestine interne pro o contro questo o quel reggitore, ma sempre con Genova e per Genova. Per brevi periodi fu conquistata da altre Signorie; combattè, subì assedi, si difese e ritornò immancabilmente alla Serenissima. I suoi figli migliori servirono Genova combattendo per essa in armi o sedendo sugli scanni del governo quali legislatori e uomini di toga, sostenendola e difendendola sempre, riconoscendo in essa la patria. Lo stesso ordinamento amministrativo napoleonico mantenne Ovada dipendente da Genova.
In base a queste verità, dobbiamo affermare che gli Statuti ovadesi furono sempre validi; salvo le poche conferme che abbiamo già considerato in premessa, i capitoli rimasero immutati nei secoli e come tali furono la base della regolamentazione di tutta la vita cittadina dal 1327 fino all'epoca della Rivoluzione francese.
Una chiara conferma della loro validità ci viene appunto dall'esemplare che abbiamo analizzato; esso fa pai te delle sei o sette copie fatte appunto trascrivere, nell'anno 1723, dalla Comunità di Ovada per servirsene e per sostituire quelle originali o più antiche logorate dall'uso.
Nel loro complesso, e in tutto questo tempo, gli Statuti non furono mai variati nè nella forma nè nella sostanza; l'unica variazione alla loro stesura originale e che abbiamo trovato nelle diverse conferme, è quella di carattere finanziario che si limita ad aggiornare il contributo annuale che Ovada paga a Genova portandolo alla valutazione di contingenza senza fissarne la cifra, e quella che raddoppia lo stipendio del Podestà dalle iniziali cento lire annue del 1327 alle duecento del 1554. Tutto il resto rimane valido. Potremmo dire di trovare strano che una legislazione di tipo medioevale abbia potuto reggere fino all'epoca moderna, ma come abbiamo già affermato, i legislatori che la compilarono, forse inconsciamente, precorsero i tempi.
Se dovessimo fare una comparazione tra le disposizioni contenute nei Capitula ed un qualsiasi regolamento di pubblica sicurezza, sanità, edilizia o altro di un Comune moderno, troveremmo non solo delle affinità, ma quasi delle copiature di quelle antiche. Gli ordinamenti moderni ed attuali, ben poco si distaccano da quelli antichi; persino nel diritto civile troviamo analogia e, non prendendo in considerazione il diritto criminale che mantiene gran parte delle sue prerogative di diritto barbarico, persino nell'ordinamento amministrativo e sociale c'è già qualche cosa di moderno, di collettivismo e di democrazia popolare.

Concludiamo affermando che la società ovadese di quei tempi era già una società evoluta, quasi modernamente amministrata e i diritti dei cittadini ci appaiono salvaguardati in ogni loro minima particolarità.
L'aspirazione di una socialità quasi moderna e, per quel tempo, forse nemmeno immaginata letteralmente come parola, affiora purtuttavia nelle molte disposizioni che oggi definiremmo di carattere completamente politico e sociologico.
La preoccupazione di salvaguardare i diritti dei più umili e dei più poveri, la troviamo, sebbene sembri un assurdo per i tempi che correvano, in tutte quelle disposizioni che riguardano la protezione delle vedove, degli orfani, dei poveri e dei meno socialmente dotati e, verso i quali, quasi inconsciamente, il legislatore si è chinato a considerarne le miserie. Altrettanto possiamo dire delle regolamentazioni che, quasi modernamente, salvaguardano i diritti dei lavoratori e delle previdenze per essi contemplate.
Anche l'ispirazione democratica che vi notiamo è una naturale conseguenza del reggimento abbastanza popolare del governo della Repubblica. Non si notano mai le ben definite distinzioni delle classi sociali; lo spirito dei Capitula è una quasi eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e, se essi talvolta sono duramente tartassati per errori o reati da loro colposamente o premeditatamente commessi, la pena che viene inflitta è per tutti uguale, senza distinzione di casta o classe sociale.
Certamente manca il consenso popolare nella parte amministrativa che riguarda l'elezione dei rappresentanti della Comunità, ma questo è un fatto che è coerente ai tempi che allora correvano; vi è sì una nomina fatta dall'alto (il Podestà), ma questa scelta è regolamentata per statuto e fatta su individui per i quali viene richiesta e precisata non solo una capacità amministrativa. ma una buona volontà, un senso di moderazione, una bontà e, più che altro, una determinazione di bene amministrare gli interessi della Comunità.
La stessa limitazione nel tempo dell'incarico, è già di per sè un principio di democrazia. La rotazione che, a turno e di anno in anno, faceva nominare i cittadini migliori e più capaci nel Consiglio della Comunità, con tutte le sanzioni che erano previste per un comportamento di scarsa rettitudine che i consiglieri potevano tenere durante la loro carica, era già di per sè un monito ad essi per agire nel miglior modo possibile.
Certamente, non c'è la democratica elezione per suffragio popolare, ma nelle disposizioni che gli Statuti prevedono per la scelta dei Sindaci e dei Consiglieri, vi è già, in nuce, un principio difensivo dell 'idea democratica e, nello stesso tempo, di salvaguardia delle istituzioni.
L'analisi di questi nostri Statuti ci dà dunque, in sintesi, la vita quotidiana del borgo di Ovada, con le sue molteplici attività, i suoi fermenti di vita lavorativa, artigiana, agricola e commerciale, con le diuturne fatiche dei suoi abitanti e con l'analisi di tutti i loro piccoli e grandi difetti, le loro manchevolezze e le loro aspirazioni; tutte cose che erano, sono e saranno sempre d'incentivo e di sprone all'umanità per progredire e migliorare.

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