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Ovada nel Medioevo - Diritto Penale


Questo capitolo che noi forse impropriamente chiamiamo di Diritto Penale, è un complesso di norme con le quali lo Stato, la Repubblica di Genova, castiga il reo per l'azione dannosa che egli ha commesso e che pertanto deve essere punita.
I nostri Statuti elencano in articoli separati una varietà di azioni considerate delittuose e comminano delle pene a seconda della gravità del delitto e delle circostanze nelle quali è commesso.
Pur chiamandolo noi diritto penale, non si potrebbe neppur comparare con il diritto penale in atto, perchè l'attualità del moderno diritto penale è un insieme di norme e di punizioni che non hanno soltanto lo scopo di castigare il reo o di premunirsi contro di lui, ma anche quello di prevenirne le azioni delittuose e di redimerlo; inoltre, ci pare che questa specie di diritto sia in senso oggettivo, in quanto la Repubblica di Genova lo dettava per l'esercizio del suo stesso potere: "Jus est norma agendi".
A nostro avviso, non troviamo all'origine del diritto contemplato negli Statuti ovadesi del 1327 nè il diritto romano nè tanto meno fonti di diritto moderno; non vorremmo nemmeno chiamarlo diritto germanico, perchè quest'ultimo era basato sopra tutto sulla faida, cioè vendetta moralmente autorizzata e addirittura obbligatoria, anche se l'offesa era semplicemente colposa o involontaria.
Una leggera identità con il diritto germanico la possiamo trovare nella disposizione dei nostri Statuti per cui l'offesa poteva venire composta o perdonata tramite un indennizzo pecuniario. Col tempo, il diritto germanico, per l'evoluzione storica, dovette trasformarsi perchè le forti monarchie medioevali, quali la Longobarda e la Franca, videro in esso una causa di pubblico turbamento ed una pericolosa forma di potere, cosa che balza evidente sempre nella analisi degli Statuti ovadesi, dov'è il potere centrale e soltanto questo che determina esso stesso le punizioni e le pene, siano esse pecuniarie o corporali.
Per questi motivi ci troviamo di fronte ad un diritto molto più evoluto, che non ha ancora perduto le sue arcaiche strutture barbare e, nello stesso tempo, non sa ancora acquisire l'evoluzione di tempi più moderni e resta per noi, alla luce dei suoi articoli, un diritto prettamente medioevale.
Una delle cose che ci appaiono strane e che ritroviamo in tutti gli articoli sia di diritto penale che civile o nell'amministrazione e nella punizione di tutte le infrazioni che comportavano multa o ammenda, è la mancanza quasi assoluta della pena detentiva o della reclusione. I reati e i delitti sono sempre puniti con la pena pecuniaria, oppure con la pena corporale, che va dalla semplice fustigazione al marchio infamante, fino alla estrema pena capitale.
Questo ci porta ad una considerazione di carattere politico-sociale e cioè quella che a pagare sempre e di persona è il popolo minuto. E' inimmaginabile accettare oggi la tesi che in quel periodo, con la estrema carenza di moneta circolante, il popolino potesse disporre di somme tali da poter far fronte al pagamento di tutte le penalità che vengono comminate. Fino a che il reato comportava una penalità pecuniaria quali le multe o ammende che potevano variare da pochi denari fino a venti soldi, la sanzione stessa poteva servire da freno alla eventuale esecuzione materiale dell'azione delittuosa, ma quando il delitto, reato o crimine era di tale natura da comportare multe o sanzioni tali da ammontare a cifre di diecine di lire, il reo plebeo non aveva nessun'altra scelta se non quella di pagare il suo debito verso la società che la pena corporale.
Questa considerazione ci fa pensare, senza alcuna congettura ipotetica, che gli unici che potevano cavarsela nel modo migliore erano i ricchi e i potenti.
L'amministrazione della giustizia era affidata esclusivamente al Podestà o al suo Vicario, il quale era tenuto, nei giorni stabiliti, a rendere giustizia sotto la Loggia Pretoria per tutti coloro che lo richiedessero, nella contestazione delle liti, nel pronunciare sentenze criminali e per tutti gli altri atti che comportavano l'emissione di sentenze, multe e condanne.
Per giorni stabiliti non s'intende che il Podestà rendesse giustizia in giorni fissi della settimana, ma da un elenco delle festività che abbiamo nello stesso articolo e che vieta la resa della giustizia tutte le domeniche, tutte le feste di precetto, nei cinque giorni precedenti e seguenti il Natale, negli otto giorni precedenti la Pasqua e negli otto giorni seguenti la Pentecoste, nei tre giorni seguenti le festività dell'Assunta e dalla metà di Giugno fino ai primi di Agosto e dall'otto di Settembre fino ad Ognissanti, ci troviamo di fronte ad un ben esiguo numero di giornate nelle quali la giustizia era amministrata. Praticamente per due terzi dell'anno nel borgo di Ovada il Podestà o il Vicario non amministravano giustizia.
Eccezionalmente il Podestà poteva derogare a questi termini soltanto in casi di impellente necessità, oppure nel caso particolare di dover rendere giustizia ad un cittadino di Ovada contro forestieri che fossero venuti al mercato e che, come dai capitoli precedenti, non potevano trattenersi in Ovada se non per un tenipo limitato.
Quasi affine al diritto moderno è la disposizione con la quale al Podestà è demandato il compito di fare indagini d'ufficio per quei reati molto gravi come l'omicidio, il furto, l'adulterio o altri pubblici crimini e per i quali viene inflitta la pena del sangue o corporale. Altrettanto può inquisire contro i giocatori d'azzardo, i permissori del gioco, gli scommettitori ed i loro sovvenzionatori; insomma, come nel diritto moderno, il Podestà ha la facoltà di perseguire quei crimini e quei reati che ancora oggi, nei nostri codici, vediamo perseguiti d'ufficio, anche se contro di essi non è stata sporta denuncia.
E' data facoltà ai rei condannati di ricorrere in appello nei tempi stabiliti, cioè entro dieci giorni, e questo appello deve essere indirizzato alla Illustrissima Dominazione Genovese o al Podestà di Genova, naturalmente a spese del condannato. Se però, entro due mesi, la prosecuzione dell'appello non fosse avvenuta, il Podestà di Ovada deve definire, lui stesso, la vertenza.
E' ovvio che, per questi giudizi che noi oggi chiameremmo di primo e secondo grado, l'imputato ha anche la facoltà di farsi assistere da un "Jurisperitus" o da un collegio e, pertanto, ha pieno diritto alla difesa.
I suoi difensori o procuratori, com'è detto letteralmente nel testo, hanno la facoltà, nei tempi stabiliti, di visionare gli atti, di farsi assistere da esperti, di ricercare i testimoni e presentarli durante il processo; tutte cose che dimostrano, già fin da allora, una parvenza di difesa dei diritti dell'imputato. Ben s'intende che tutte le spese processuali sono a carico della parte soccombente.
Tutti coloro che vengono a trovarsi sotto processo inquisitorio devono giurare sempre di attenersi alle disposizioni del Podestà e dire la verità su ciò che sarà loro chiesto. Se costoro non volessero giurare, il Podestà ha la facoltà di infliggere loro cinque soldi di multa alla prima richiesta di giuramento, dieci alla seconda, venti alla terza, quaranta alla quarta e cinquanta alla quinta ed ultima ingiunzione. Il Podestà può fare tutte queste cinque ingiunzioni nel medesimo giorno e colui che si mantenesse recidivo, malgrado tutto, sia imprigionato e trattenuto in prigione sino a che giuri e dia sicurezza di pagare la somma delle multe che gli sono state inflitte per il non voler giurare.
Questa è la prima volta che negli Statuti di Ovada si parla di reclusione; ciò ci fa pensare che in quel tempo esistesse in Ovada, se non un vero e proprio carcere detentivo, almeno un locale, con tutta probabilità situato nel castello, che serviva per questi rarissimi casi di punizione detentiva.
L'eventuale condannato che fosse bandito (si intenda come esiliato o bandito dalla società) particolarmente per reati gravi quali il tradimento o la sedizione armata, non poteva essere avvicinato nè parlare con cittadini ovadesi i quali, se lo avessero fatto dando consigli, suggerimenti o aiuti, erano puniti con la gravissima multa di venticinque lire. Se questi banditi avessero poi fatto danno o ingiuria o devastazione a qualcuno di Ovada, il Podestà aveva la facoltà di risarcire i danneggiati con i beni che questi banditi possedevano in Ovada.
Severamente puniti erano gli spergiuri, a punizione dei quali vi era una multa di sei lire genovesi. Gli spergiuri poi che avessero ricoperto qualche carica ufficiale nel Comune di Ovada e ne fosse stato accertato il falso giuramento, oltre che la multa di tre lire genovesi, venivano immediatamente rimossi dal loro ufficio e non potevano ricoprire più alcuna carica pubblica per dieci anni.
Un primo esempio di pena corporale, applicata in Ovada in quel tempo, è proprio la punizione dei falsi testimoni, di coloro che si servono di falsi testimoni, di atti falsi e del falso notarile; la falsa testimonianza era punita con venticinque lire genovesi di multa ed il reo non poteva più essere accettato come teste in nessuna causa; il suo credito (come credenza) era completamente perduto e nel caso non avesse potuto pagare le venticinque lire di multa gli veniva tagliata la lingua.
Coloro invece che avessero usato un atto o un testimone falso per vincere fraudolentemente il loro processo, per prima cosa perdevano la causa, pagavano venticinque lire di multa e se non potevano eventualmente pagare, veniva loro tagliata la mano destra.
Il notaio che avesse fatto atti o scritture false o falsi in generale durante la sua carica, era punito con la multa di cinquanta lire genovesi ed il taglio della mano destra se non avesse pagato la multa.
Il Podestà o gli altri reggitori del Comune di Ovada non erano immuni da sanzioni a loro carico per le eventuali percosse che essi stessi avessero inflitto a cittadini ovadesi; il borghigiano aveva la facoltà, in questo caso, ed era tenuto a porgere lamentela all"Illustrissima Dominazione dell'Eccelsa Repubblica di Genova o alla sua Curia ed il Comune di Ovada doveva sostenerne le spese. Il Podestà o gli altri reggitori erano però immuni da ogni sanzione o punizione soltanto nel caso che avessero percosso cittadini ovadesi allo scopo di sedare una rissa oppure fossero fuori del borgo per raccogliere gli uomini durante gli allarmi.
I familiari del Podestà o i suoi servitori che avessero recato danni a cose o persone di Ovada, rispondevano per questi danni come tutti gli altri.
Gravissime erano, per contro, le pene per chi facesse insulto o percuotesse il Podestà o il suo Vicario; nel caso minimo vi era una multa di cento lire genovesi per il semplice insulto; per le percosse che non causassero uscita di sangue si pagavano duecento lire e trecento nel caso di percosse con fuoriuscita di sangue. Praticamente la persona del Podestà, che rappresentava Genova, era sacra ed inviolabile.
I cittadini di Ovada che avessero recato offesa o percosso qualcuno della famiglia del Podestà, erano puniti con una penalità doppia di quanto avrebbero pagato se avessero insultato o percosso un semplice borghigiano.
A questo punto, per poter meglio mettere in luce i costumi di quell'epoca nella repressione dei crimini maggiori, pensiamo di elencare, tradotti nella quasi loro integrità ma con parole attuali, gli articoli degli Statuti più interessanti e più incisivi che riguardano la materia del diritto criminale.

Art. 51 - Sui Bestemmiatori di Dio, Santa Maria e i Santi

Si stabilisce che, se qualcuno bestemmiasse Dio o Santa Maria o la Croce, paghi la multa di dieci soldi genovesi. Se bestemmiasse qualche Santo o i Santi di Dio, paghi la multa di cinque soldi genovesi. Chi giurasse o posasse la mano destra come giuramento, senza motivo, sul corpo o sul sangue di Cristo o di S. Maria sia in multa di cinque soldi genovesi in ogni caso. Qualsiasi persona di Ovada che abbia assistito a tali fatti potrà accusare i contravventori; la sua denuncia sarà tenuta segreta ed avrà per sè la metà della multa pagata dal reo. Il bestemmiatore che non potrà pagare dette ammende sarà legato ad una colonna della Piazza del Comune nudo ed ivi dovrà restare al pubblico ludibrio per una terza parte del giorno.

Art. 113 - Su coloro che insultano

Si stabilisce che, se qualche persona insultasse altre con gli epiteti di ladro, traditore, infedele, bugiardo, bastardo, maledetto, meretrice e l'intraducibile "cogutia" od altre parole ingiuriose ed orribili, paghi la multa di quaranta soldi genovesi. L'insultato che rispondesse con altrettante ingiurie, pagherà a sua volta venti soldi genovesi. Se ciò avvenisse alla presenza del Podestà o del suo Vicario, la multa sarà raddoppiata e se i contendenti, nel caso di presenza del Podestà, gli rivolgessero una ingiuria, pagheranno dieci lire di multa. Coloro infine che riportassero le ingiurie dette da altri, pagheranno essi stessi quaranta lire di multa.

Art. 122 - Sull'incendio doloso

Si stabilisce che, se qualcuno dolosamente appiccasse il fuoco in casa sua o di altri oppure a cose sue o di altri e le bruciasse, sia punito, se il fatto avviene dentro il borgo di Ovada, con duecento lire di multa ed al risarcimento del danno nell'entità che stabiliranno gli Estimatori del Comune. In caso il reo non possa pagare sia impiccato fino a che muoia. Se il piromane fosse una donna sia bruciata.
L'incendio doloso, commesso fuori del borgo, venga punito con la multa di cinquanta lire ed il risarcimento del danno secondo la perizia degli Estimatori del Comune. Coloro che non potranno pagare saranno puniti con la estirpazione di un occhio ed il taglio della mano destra.
Questi specifici reati, commessi in luoghi diversi dai predetti, oppure se fossero bruciate baite del Bosco di Ovada e distrutta paglia e fieno, saranno puniti con venticinque lire di multa ed il risarcimento del danno. Chi non potrà pagare tali multe, sarà punito nel primo caso con la perdita di un occhio e nel secondo con il taglio di un orecchio.

Art. 210 - Sui furti

Si stabilisce che, se qualcuno rubasse in Ovada o nel suo distretto, in case di ovadesi o di residenti e che tale furto ammontasse sino al valore di cinque lire, paghi una multa di dieci lire genovesi, più o meno, ad arbitrio del Podestà o del Vicario; dovrà restituire ciò che ha rubato e, se non potesse pagare, sarà fustigato per tutto il tratto che va dalla Platea Communis sino a S.Antonium ad Mercatum; se invece l'entità del furto ammontasse oltre le cinque lire sino a dieci, il malfattore sia in multa fino a venti lire, restituisca il maltolto e, se non potesse pagare, sia fustigato sino all'argine di S. Antonio.
Qualora l'entità del furto salisse dalle dieci alle venticinque lire, la multa sia raddoppiata e, sempre salva la restituzione, sia fustigato per tutto il borgo di Ovada e da questo sino alla Trinità.
Il furto ammontante sino a quaranta lire, oltre il doppio della multa e la restituzione, importa, nella impossibilità del pagamento l'amputazione dell'orecchio sinistro; dalle quaranta alle cinquanta lire, il ladro sarà bollato sul viso col marchio del Comune di Ovada; dalle cinquanta alle cento lire sarà bollato come sopra e gli sia tagliato il naso ed oltre le cento lire sarà impiccato in modo che muoia, sempre ammesso che non possa pagare le multe pecuniarie predette.

Art. 211 - Sulla violenza alle donne

Si stabilisce che, se qualcuno violentasse qualche donna vergine, vedova, monaca o casta, paghi una multa di trenta lire genovesi ed altrettante ne paghi alla donna che ha subito la violenza, oppure la prenda in moglie, se lei lo vuole, e le faccia una dote secondo il giudizio di due uomini buoni di Ovada che saranno a questo proposito nominati dal Podestà o dal Vicario. In caso rifiutasse di prenderla in moglie e di fissarle la dote o non potesse pagare le multe, sia ucciso.
In caso l'uomo sia sposato ed abbia fatto le violenze di cui sopra, sarà arso con il fuoco.
Qualora invece la donna che ha ricevuto violenza non fosse onesta e facesse offerta del suo corpo, il violatore pagherà solo una multa di dieci lire genovesi ed altrettante di risarcimento alla donna.

Art. 212 - Sull'omicidio

Si stabilisce che, se qualcuno commettesse un omicidio apertamente o proditoriamente contro persona di Ovada o qui abitante, sia ucciso e il Podestà è tenuto a far catturare tale omicida ed a punirlo con l'estremo supplizio, se potrà arrestarlo; se non potrà, dovrà confiscare i suoi beni i quali, per due parti andranno al Comune di Ovada e la terza parte agli eredi dell'ucciso.
Se però, entro un anno, il padre o i parenti più prossimi della vittima ai quali spetterebbe l'eredità, facessero pace con l'omicida e si accordassero con lui, i beni confiscati gli vengano restituiti, purchè lo stesso paghi al Comune la somma di trenta lire genovesi con tutte le altre spese eventualmente sostenute.

Art. 213 - Sulle percosse e le ferite

Si stabilisce che, se qualcuno di Ovada o altrove percuotesse un'altra persona con un pugno, un bastone o una pietra sopra il collo e uscisse sangue, ma la percossa non fosse mortale, paghi una multa di sette lire e dieci soldi genovesi più tutte le spese e i danni al colpito. In caso di impossibilità di pagamento, al reo sia tagliato l'orecchio sinistro.
Per le percosse fatte sotto il collo con effusione di sangue e se la ferita non fosse mortale e non causasse l'invalidità di qualche membro, la multa sarà ridotta alla metà della sopra detta.
Le percosse che non comportino effusione di sangue ed invalidità, sono punite con venti soldi genovesi.
Le ferite inferte con armi sopra il collo con effluvio di sangue e non mortali, comportano una penalità di dieci lire più le spese e i danni al ferito e, nel caso questi morisse per tale causa, il colpevole sia punito secondo le regole dell'articolo sull'omicidio.
Le ferite di armi sotto il collo, saranno punite con la multa di cinque lire più le spese e i danni.
I ragazzi e le donne che litigando si prendessero per i capelli e si dessero pugni, paghino dieci soldi genovesi. L'impossibilità del pagamento di tale multa, comporterà per i ragazzi la pena della frusta sul sedere fino a venticinque frustate con dieci verghe di salice; le donne siano fustigate con lo stesso numero dì frustate e di verghe sulle spalle nude. Per i ragazzi la punizione della frusta può essere anche demandata al padre del colpevole.
Chiunque osasse dare uno schiaffo ad altra persona, venga punito con la multa di cinque lire genovesi.

Art. 214 - Sulle spinte

Si stabilisce che chi spingesse un altro o lo urtasse volontariamente così che l'urtato cada e cadendo resti leso in qualche parte del corpo senza fuoriuscita di sangue, paghi la multa di dieci soldi genovesi e tutte le spese e i danni alla persona urtata.
Nell'eventualità che la persona spinta morisse per tale urto, il colpevole sia punito secondo quanto è stabilito nell'articolo sull'omicidio. Se lo spinto resterà soltanto ferito, il colpevole sia punito secondo le disposizioni riportate nell'articolo sulle percosse.
Se la spinta avesse provocato la rottura di qualche membro, avesse causato tagli, debilitazioni o invalidità, il delinquente sia punito secondo l'articolo seguente sul taglio delle membra.
Le parti in causa hanno facoltà, entro dieci giorni dal fatto, di concordarsi fra di loro ed in questo caso il colpevole paghi cinque soldi di multa al Comune di Ovada più le spese che fossero state fatte per procedere contro di lui.

Art. 215 - Sul taglio delle membra

Si stabilisce che, se qualcuno ferisse un altro con un coltello, bastone, pietra, spada od altro, in modo che il ferito perdesse qualche membro o gli restasse invalido e che non possa più servirgli, il Podestà deve punire tale delinquente, se potrà catturarlo, facendogli tagliare quel tale membro come lui ha fatto alla sua vittima; se invece il Podestà non potesse riacciuffare il delinquente, dovrà fare requisire i suoi beni e consegnarli ai Massari del Comune, i quali li faranno stimare dagli Estimatori per risarcire fino ad un massimo di quindici lire i danni subiti dalla vittima e per pagare anche le spese di giudizio.
Se il reo latitante non arrivasse con i suoi beni a coprire le spese, sia bandito e tale bando non possa essere revocato fino a che non avvenga un accordo tra la vittima ed il suo offensore.

Art. 216 - Sull'adulterio

Si stabilisce che, se qualcuno commettesse adulterio con donna di altri e se questo avvenisse in casa del marito, paghi la multa di trenta lire genovesi. In altri luoghi paghi quindici lire genovesi.
Se il reo non potesse pagare la multa di trenta lire, gli sia tagliato il capo di modo che muoia e se non potesse pagare le quindici lire, gli sia tagliata la mano destra sino a che sia separata dal braccio.
L'adultera, invece, perderà la sua dote, metà della quale passerà al marito e l'altra metà ai figli, se ne avesse, e se non avesse figli tutta la dote passi al marito.
Gli ultimi casi analizzati e i dieci articoli che abbiamo riportato nella loro integrità, sono gli unici degli Statuti che comportano pene corporali e capitali.

Terminiamo questa parte mettendo in evidenza le poche altre disposizioni di carattere penale, che sono:

a) - la pena per colui che scacciasse la propria moglie di casa, il quale non avrà possibilità di tenere con sè una eventuale altra amante o qualunque altra donna con cui abbia rapporti carnali. Chi contravvenisse a ciò, sarà punito con venticinque lire di multa. Nessuno può tenere con sè, in casa propria o dove abita, donne di altri contro il volere del marito; in caso lo facesse, sarà punito con la multa di dieci lire genovesi, esclusi coloro di cui non si supponga che la tengano per amante;
b) - l'aggressione fatta a qualcuno con le armi, che sarà punita con dieci lire genovesi di multa e con venti se il fatto avvenisse alla presenza del Podestà. L'aggressione fatta senza armi, verrà punita con la metà delle multe predette;
c) - l'insulto fatto alle case di altri o la violazione di domicilio con armi, che sarà punita con la multa di venticinque lire genovesi. Il lancio di oggetti, pietre, mattoni, immondizie od altro nelle proprietà altrui, salvo che fosse commesso da minori di quattordici anni, è punito con dieci lire di multa. Il proprietario che, difendendo la sua proprietà, ferisse o uccidesse qualcuno dei violatori, sia immune da qualunque sanzione.

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