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Ovada nel Medioevo - Annona e Commercio


Il gruppo di articoli che comprendono questa parte degli Statuti, li potremmo definire di carattere prettamente annonario. Infatti in essi i legislatori, anzichè stabilire delle regolamentazioni strettamente commerciali, si preoccupano di mantenere un regime vincolatorio che è quello del tempo. Troviamo così l'acquisto diretto sui mercati, la requisizione, la imposizione di produzione e di prezzo, il razionamento, il divieto di esportazione ed ancora molti provvedimenti atti a facilitare il modus vivendi e l'alimentazione di tutti i cittadini del borgo.
Di commercio vero e proprio non ne possiamo assolutamente parlare e, se questo avvenne, il fenomeno si manifestò più tardi in secoli successivi.
In quel tempo ci si preoccupava soltanto di suddividere o vendere le scarse risorse locali nell'ambito del borgo. I prodotti che venivano importati erano pochissimi, quali ad esempio il sale e l'olio e qualche scarsissimo agrume, per i quali una ferrea regolamentazione statale ne stabiliva la precisa entità a seconda dei bisogni e delle necessità contingenti.
Pertanto, in quel tempo, i prodotti che venivano immessi sul mercato di Ovada erano quasi nulli.
Altrettanto può dirsi di quanto veniva esportato, perchè quello che qui si produceva era a malapena sufficiente per il borgo stesso.
Abbiamo già detto che la principale risorsa della popolazione era costituita dall'agricoltura, limitata però ai fondi vallivi, essendo allora le colline ed i rilievi circostanti boscosi e quindi non adatti alle varie coltivazioni. Le castagne, che rappresentavano la maggior parte della alimentazione del popolo, erano la coltura che più abbondava nella nostra zona. Altre risorse erano costituite dalla orticoltura, dai molini e dalle attività artigianali locali di diverso genere, cioè quelle tipiche di ogni borgo o piccolo paese come potevano essere i calzolai, i sellai, i cappellai, i tessitori, i conciatori, i falegnami, i bottai, i mulattieri ed i carrettieri.
I fornai ed i mugnai erano appaltatori dei forni e dei mulini della Comunità per la quale lavoravano ed alla quale pagavano dei diritti sulle varie cotture e moliture private. Così pure l'attività dei venditori di carne (beccarii) era regolata da rigorosissime norme comunitarie.
I molini, in quel tempo, erano due: il più antico era quello già menzionato e cosiddetto "della Camera" perchè la sua attività era soggetta a precise disposizioni emanate dalla Serenissima Camera Genovese e l'attività molitoria era pubblica; l'altro era il molino detto "dei Frati" situato all'estremità ovest del territorio ovadese.
Il controllo su tutto era rigorosissimo ed era affidato ai Determinatori, ai Massari o ai Mestrali del Comune.
Strettissima sorveglianza veniva esercitata sulle misure e sui pesi che dovevano essere sempre controllati ed uniformati a quelli stabiliti dalle disposizioni legislative.
I Sindaci erano tenuti a fare apprestare una pietra scavata per misurare il vino, l'olio e gli altri liquidi venduti in Ovada. Questa pietra doveva essere posta sulla Piazza del Comune, vicino al pozzo e la sua capacità doveva essere di un barile di cinquanta pinte. In questa misura di pietra vi dovevano essere segnati anche il barilotto ed il mezzo barile che dovevano essere bollati e tutti i liquidi dovevano per forza essere comparati, misurati e venduti basandosi unicamente sulla suddetta misura ufficiale.
I Sindaci erano altresì tenuti a far fare, a spese del Comune, una Pinta di bronzo per misurare il vino ed una mezza Pinta di bronzo per misurare l'olio e questi recipienti autentici dovevano essere timbrati, come la pietra scavata, con il timbro del Comune.
Tutti coloro che avessero venduto liquidi non in base alle misure bollate erano multati con cinque soldi di Genova.
Le castagne erano misurate con lo Staio bollato del Comune e dovevano essere a peso raso. I contravventori erano puniti con la multa di due soldi genovesi.
Il Podestà o il Vicario dovevano costringere i Sindaci del Comune ad avere, per conto della Comunità, un Cantario sul quale dovevano essere misurate e pesate segale, orzo e grano.

L'ATTIVITA' MOLITORIA

Ogni molino doveva essere fornito di una Madia (mastra) da tenere presso il cantario e in detta madia dovevano essere riposte le quantità percentuali di farina ricevuta; il grano e le altre biade non potevano essere pesati e molinati se non nei luoghi predetti e sempre sotto la sorveglianza degli Ufficiali comunali preposti a ciò. I contravventori erano puniti con dieci soldi di moneta genovese.
L'Ufficiale preposto alle niansioni di controllo era il Pesatore comunale, scelto dai Sindaci in un uomo buono ed onesto di Ovada, il quale doveva rendere conto ai Quattro Sapienti ed ai Sindaci di tutte le infrazioni che venissero eventualmente commesse. Il suo salario era fissato dalle quattro alle cinque lire genovesi annuali. Qualora il pesatore non fosse restato continuamente al suo posto, era multato di un soldo genovese per ogni sua mancanza.
I mugnai, i loro "famuli" ed i loro garzoni dovevano giurare tutti gli anni di esercitare bene e legalmente il loro lavoro, di custodire grano, segale ed ogni altra biada e farina e di rendere in giusta misura ciò che era loro stato affidato per la macinazione. Dovevano inoltre dare la precedenza assoluta, per la molitura ed il peso, agli uomini di Ovada e non consegnare o vendere a forestieri ciò che essi avevano ricevuto da Ovadesi. Le sanzioni che venivano loro comminate per inadempienza a questi doveri erano punite con la multa di cinque soldi genovesi.
Come loro provvigione avevano una parte del macinato e questa percentuale variava a seconda dell'epoca dell'anno e cioè: dalla festa di S. Giovanni in Giugno fino a Natale il mugnaio aveva una libbra ogni sedici; dalle feste Natalizie a S. Giovanni una libbra ogni trentadue.

I FORNAI

In Ovada vi dovevano essere tre forni, dati in appalto ogni anno al maggior offerente. I fornai ("Pancoculi"), le loro mogli, i servitori e tutti coloro che lavoravano nel forno, dovevano giurare solennemente di custodire il pane e di cuocerlo nella maniera migliore possibile: dovevano calcolare il numero dei pani in pasta e restituire in uguale numero il pane cotto.
Coloro che portavano il pane a cuocere nei forni dovevano portarsi altresì un quantitativo di legna o di carbonella sufficiente per la cottura del pane suddetto ed i fornai non potevano assolutamente appropriarsi di questi combustibili, anche se fossero risultati eccedenti al fabbisogno della cottura.
Siccome per le feste Pasquali vi era la tradizione di confezionare torte o "turtellas", in questo periodo la cottura di tali focacce era gratuita.
I fornai ricevevano per la cottura del pane dieci denari genovesi per ogni staio di pane cotto, oppure un pane ogni ottanta. L'eventuale pane malcotto o bruciato doveva essere rifuso in eguale numero e peso dal fornaio. Inadempiendo a queste disposizioni, essi venivano puniti con una multa che arrivava fino a venticinque soldi genovesi.

I BECCARII O MACELLAI

Esatte disposizioni degli Statuti ovadesi regolamentavano con metodo ed uniformità le funzioni dei macellai. Per prima cosa essi dovevano avere dei banchi di vendita in una precisa ubicazione questi banchi venivano disposti unicamente nella "Platea Communis'"; non dovevano essere più di cinque ed erano sistemati in maniera scalare in funzione della intensità di vendita. In realtà tali banchi venivano dati in appalto ed il prezzo era maggiore o minore a seconda della loro postazione che favoriva più o meno il macellaio stesso. Troviamo pertanto che il banco più importante e che per questo pagava un plateatico maggiore era quello che veniva situato proprio sotto la parte più alta della casa del Comune, che era la posizione dove maggiormente la folla si riuniva, facilitando lo smercio della carne. Partendo da questo banco, gli altri quattro si distendevano in direzione della Porta del Borgo o Porta Genovese, venendo così a trovarsi sempre più distanti dal centro di vendita.
La sistemazione graduale delle cinque rivendite di carne veniva sorteggiata ogni anno ed assegnata, in base alla sua ubicazione, al miglior offerente. I primi due banchi, e cioè quello posto sotto la casa del Comune e quello ad esso più vicino, pagavano due lire genovesi annuali di plateatico; il terzo banco una lira e quindici soldi: il quarto una lira e cinque soldi ed infine il quinto banco, che era il più distante dal centro della piazza, pagava una sola lira.
I macellai dovevano essere iscritti nei Libri del Comune come tali, erano tenuti a conoscere molto bene il loro mestiere ed erano obbligati a giurare dì macellare e vendere carni fresche, buone, pulite e sufficienti tre volte la settimana o a seconda degli ordini dei Mestrali. Coloro che avessero osato macellare carni senza essere iscritti nel Libro o senza esserne appositamente autorizzati, subivano un castigo ed una multa di ben tre lire genovesi. Si faceva eccezione soltanto nel caso che qualche possessore di bestie fosse danneggiato per la morte di una di esse per malattia non infettiva o azzannata da lupi e, solo in questi casi, gli si dava la possibilità di vendere dette carni fuori del borgo, purchè pagasse al Comune una tangente di due soldi per ogni bue, un soldo e sei denari per ogni giovenca, sei denari per ogni maiale, due denari per capra, becco, castrato, agnello, pecora ed altri capi piccoli.
I Mestrali dovevano, di mese in mese, fissare e dare il prezzo delle carni fresche, prezzo che non poteva essere variato per nessun motivo dai macellai e pene severissime erano comminate a coloro che non vendessero carni in ottimo stato, che facessero passare stalli di una certa bestia per altri di bestia diversa, che non tagliassero le carni come dovevano essere tagliate o che le sofisticassero. Tali sanzioni arrivavano sino ad un massimo di cinque lire genovesi ed inoltre, se si fosse manifestata qualche malattia tra le bestie esistenti in Ovada, i "beccarii", prima di macellare gli animali per la vendita, dovevano farli controllare dai Mestrali i quali potevano concedere o meno il permesso di macellazione.

I TESSITORI

Un capitolo dei nostri Statuti riguarda con particolare attenzione i tessitori e le tessitrici, cosa che ci conferma esservi allora in Ovada un discreto numero di telai nelle case private dove si tessevano garza, tela o lino.
Questi tessitori erano tenuti a lavorare soltanto per gli ovadesi, dovevano custodire il filo o i filati che erano stati loro dati per farne tela e rendere nella giusta percentuale tanto tessuto quanto filo o filato era stato loro consegnato.
I pettini usati erano della misura stabilita e la paga di questi tessitori era di sette soldi genovesi per ogni pezza di undici o dodici braccia di tela di lino sottile, di soldi sei per ogni pezza di tela grossa e due soldi di Genova per ogni braccio di garza.
Questi tessitori, oltre quanto tessevano per i privati, tessevano altresì per i negozianti al minuto che vendevano tele, fustagni e panni a braccia od a canne, controllate dai Mestrali.

IL MERCATO IN OVADA

Abbiamo già detto che il mercato in Ovada si svolgeva di solito nella "Platea Communis" e nella Via "Voltinee", oggi Voltegna, dove la struttura a porticati della strada stessa permetteva al mercato di svolgersi regolarmente anche in periodo di pioggia o maltempo.
Il mercato grosso, cioè quello nel quale si trattava la compravendita del bestiame oppure si svolgeva qualche fiera, era situato "extra muros" ed abbastanza lontano dal borgo vero e proprio.
Troviamo talvolta proprio in questi nostri Statuti la definizione: "S.Antonium ad mercatum", la quale ci precisa che la località predetta era situata attorno all'Ospizio ed alla chiesa di S. Antonio Abate. Indipendentemente dalla considerazione che il mercato delle bestie svolgevasi proprio in località dedicata al Santo protettore degli animali, quale è S. Antonio Abate, l'ubicazione di questo emporio aveva una sua giustificazione di carattere sanitario e veterinario: in prima cosa perchè in quei tempi si cercava di tenere i forestieri occasionali possibilmente al di fuori delle mura in quanto presunti portatori di malattie epidemiche, allora molto diffuse; altrettanto per il secondo caso, perchè gli animali stessi potevano essere affetti da morbi e contaminare quelli del borgo.
Un terzo motivo poteva essere quello della pubblica quiete e sicurezza, presumendo nei forestieri casuali degli eventuali perturbatori dell'ordine pubblico, per cui era bene tenerli a debita distanza.
Prescindendo da questo mercato grosso che era saltuario e stagionale, gli Statuti trattano particolarmente della vendita spicciola o al minuto che si svolgeva, ben regolamentata, dentro le mura del borgo e che trattava i prodotti locali e quelli di quotidiana necessità.
Tutti coloro che vendevano al minuto carni, pesci, cacciagioni, salse, formaggio, olio, candele, sale, vino o altro, dovevano giurare ogni anno di vendere bene e legalmente a giusto prezzo o libbra, e naturalmente anche su di loro gravava il controllo costante dei Mestrali, i quali dovevano investigare affinchè tutti i pesi e le misure fossero sempre comparati e basati sulle misure e pesi comunali bollati. Tutti i pesi, vasi ed altre misure non timbrati o comparati a quelli comunali erano considerati falsi e pertanto dovevano essere distrutti con in più una multa di cinque soldi genovesi per ogni peso, vaso o misura falsificati.
I prodotti della pesca o della caccia dovevano essere venduti solo nella piazza comunale e nessuno poteva mandare o vendere fuori del borgo pesci o volatili, sotto pena di una multa di cinque soldi generica e di due denari per ogni pezzo.
Il vino che si vendeva in Ovada presso le svariate taverne doveva essere di produzione locale; era infatti vietato portare o fare portare vino in Ovada che non fosse del territorio o giurisdizione. Coloro che contravvenivano a questo divieto dovevano pagare dieci soldi di multa per ogni barile al Comune di Ovada. Soltanto quei cittadini di Ovada che eventualmente possedessero vigne fuori dei confini potevano portare il loro vino in Ovada per consumarlo in casa propria; dovevano però munirsi di una apposita licenza che veniva rilasciata dal Consiglio del Comune, dopo accurata indagine ed accertamento che tale vino fosse effettivamente prodotto nelle vigne di proprietà.
Era altrettanto possibile ai forestieri transitare per le strade di Ovada con carichi di vino, purchè non fosse per nessun motivo venduto, lasciato o scaricato in Ovada.
I mercanti forestieri che eventualmente transitassero per il territorio ovadese con grano, legumi, castagne, sale o qualunque altra biada o mercanzia, potevano passare per il borgo, fermarsi e ripartire con le loro cose, persone o animali, purchè si mantenessero tranquilli e calmi e non piantassero liti con gli ovadesi; dovevano però essere trattenuti il minor tempo possibile in Ovada.

Una regola fondamentale per evitare una sperequazione dei consumi era quella che stabiliva che, se qualche persona avesse comprato grano od altre biade, segale, legumi, castagne, lino, sale o qualunque altra vettovaglia, doveva permettere ad altre persone di Ovada, che avessero voluto comprare le stesse cose, di prenderne una parte per il loro fabbisogno o per le loro necessità di vendita. Era una disposizione più che giustificata in quei tempi per evitare l'incetta di merci.

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