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Ovada nel Medioevo - Edilizia


Non si può parlare dell'edilizia del tempo senza prima accennare brevemente alla struttura del Borgo di Ovada, alla sua formazione ed all'insediamento urbano della sua popolazione.
Durante il medioevo lo stanziamento della popolazione fu, per la sua maggior parte, di carattere strettamente urbano. Quasi irrilevante fu invece l'insediamento della popolazione sparsa e pertanto l'ammontare della stessa rimase sempfe modesto e ben delimitato dentro la cerchia delle antiche mura ed attorno al castello.
Nei secoli successivi, le vicende belliche, le carestie e le pestilenze non permettono una modificazione notevole nè dell'entità demografica nè della forma di stanziamento. Soltanto verso il XVI secolo la popolazione ovadese comincia ad espandersi e ad aumentare.
Comunque è certo che il primo nucleo urbano si formò attorno al castello che, trovandosi in posizione strategicamente imprendibile, dava agli abitanti del borgo una notevole sicurezza e tranquillità. Questo castello ritenuto antichissimo, da tempo fungeva da luogo fortificato, era cinto di mura merlate con torrette di guardia laterali lungo i due torrenti ed un torrione cilindrico a sud-ovest, presso l'entrata principale. Vi erano inoltre tre torri quadrate, una delle quali assai elevata, con fabbricati di servizio che ne completavano l'insieme.
Dal secolo XI il borgo venne espandendosi fuori della primitiva cerchia muraria verso sud-ovest e, tra il XIII e XIV secolo, fu limitato da una ulteriore cinta di mura che seguiva le rive della penisola di confluenza con qualche interruzione dove il terreno strapiombava sui due torrenti. L'estensione urbana terminava dove adesso trovasi la Piazza Parrocchiale ed in questo punto si ergeva la torre principale delle mura che vigilava sulla "Porta del Borgo o Porta Genovese" che era l'accesso più importante all'agglomerato urbano. I resti di questo torrione li vediamo ancora oggi inseriti nell'angolo che il palazzo Borgatta forma con Piazza Garibaldi. Altre porte erano quella "delle Sligge", all'estremo sud-ovest del borgo e quelle di minore importanza che dal castello immettevano alle "pianche" o passerelle mobili sullo Stura e sull'Orba.
Questo insediamento aveva la forma di cuneo ed era diviso in due parti dalla via principale che, entrando dalla Porta Genovese, sboccava davanti al grosso torrione rotondo del castello. Quasi perpendicolarmente a questo asse centrale si staccavano le strade secondarie del borgo. I due rioni, in cui era diviso il centro urbano erano ad est il Borgo di Dentro e ad ovest il rione denominato Voltegna dai volti che formavano i porticati - ora murati - dove si svolgeva una parte del mercato.
La "platea communis" è l'attuale Piazza Mazzini; al centro di questa piazza vi era la loggia pretoria dove venivano svolte tutte le attività pubbliche e di giustizia. Tale loggia fu demolita nella seconda metà del secolo scorso contemporaneamente al castello. La casa della Comunità trovavasi in questa piazza e ne sono ancora visibili i resti e la torre inseriti in una costruzione più moderna.
Le case del borgo, ancora oggi visibili con le loro caratteristiche peculiari, erano costruite in pietra grezza, sovente mista a laterizi nella parte superiore, mentre l'arenaria era usata per i portali ed i cornicioni delle finestre. I tetti erano coperti di lastre di pietra, tegole o coppi, perchè una disposizione ben precisa degli Statuti disponeva che nessuna casa potesse essere coperta di paglia o rami entro il borgo murato.
Le strade principali del borgo erano intersecate da vicoli e vicoletti, ancora oggi esistenti, che le collegavano ed in qualcuno dei quali si notano ancora dei passaggi pensili da una casa all'altra, passaggi che si pensa possano essere serviti per eventuali difese o fughe durante assedi od incursioni di nemici.
Anche il sottosuolo della parte più antica ovadese è ancora oggi attraversato da vecchi camminamenti che, se non fossero stati sbarrati in epoche più recenti per dividere le proprietà delle svariate cantine, costituirebbero ancora oggi una seconda viabilità sotterranea. Questi viadotti che, da una nostra indagine in loco, risultano per le modalità di costruzione a volta ed a pareti mattonate di epoca prettamente medioevale, si intersecano e sottostanno a tutta l'area urbana compresa entro le mura e risalente all'epoca dagli Statuti e, come i passaggi pensili delle case, venivano usati con tutta probabilità a raggiungere le mura ed i sotterranei del castello in caso di evasioni o assedi.
Sebbene negli Statuti esaminati si parli talvolta anche di Borgo in fuori, è certo che, in quel tempo, non si trattasse di un vero e proprio agglomerato di insediamento, ma più che altro di piccoli gruppi di case riunite attorno alle primitive chiesette - allora già esistenti - dell'Annunziata e di S. Maria delle Grazie.
Questa supposizione può essere avvalorata dal fatto che nella Chiesa dell'Annunziata è stata recentemente scoperta una lapide graffita portante la data del 1471 che ci conferma l'esistenza in quella località, già allora, di un piccolo tempio con qualche casa adiacente. Sappiamo inoltre che ancora prima della costruzione della chiesa di S. Maria delle Grazie (1481) esistesse nella zona - e ne esistono tuttora le vestigia, incorporate nell'attuale coro e sottostanti ad esso - un modesto edificio di architettura romanica in forma rotonda che si presume sia stato un battistero o una piccola cappella devozionale con attorno qualche casa. Dai ruderi di questa costruzione si diparte un camminamento sotterraneo che va a sfociare nelle vicinanze dell'antico Molino della Camera oggi Molino Mandelli.
In più possiamo dire che per queste due località passava la vecchia strada che, guadando lo Stura in locali à Pizzo di Gallo, conduceva a Belforte.
Da queste presunzioni, che non mancano di un certo fondamento di realtà storica, ci viene il convincimento che il cosiddetto "Borgo in fuori", citato negli Statuti, indichi questi pochi stanziamenti sparsi che non si trovavano molto distanti dalla cinta delle mura (extra muros).

VIABILITA'

Le strade del Borgo dovevano essere lastricate con lastre, pietre piane o mattoni.
I proprietari delle case che si affacciavano sulle strade erano tenuti a sistemare meta della strada posta davanti al proprio sedime e così altrettanto dovevano fare i proprietari delle case di fronte. Tale lastricato doveva essere fatto con ogni cura, affinchè si potesse andare e venire per le strade con carri, buoi ed altre bestie e circolarvi anche a piedi senza che alcun impedimento ne ostacolasse il transito.
Chi contravveniva a tali disposizioni era punito con una multa di cinque soldi genovesi e le eventuali vertenze sul dovere della lastricatura dovevano essere definite dai soliti Determinatori.
Doveva pure essere curata la sistemazione degli scoli delle acque che erano sistemati al centro delle strade, dove scorreva un piccolo rigagnolo.
Entro le mura del borgo era vietato tenere, sui proprii sedimi, letame, "rumenta" o altro.
Sulla strada che usciva dal borgo per la Porta Genovese e si spingeva sino all'Ospizio di S. Antonio e da detta porta sino alla località "Grattaroli" (che si può localizzare oggi nell'area e nelle adiacenze dell'attuale Piazza XX Settembre), se qualche proprietario delle case, sparse lungo queste due direttrici, avesse avuto necessità di far seccare paglia o far letame sul lato verso la strada, era tenuto a lastricare la parte che gli competeva chiedendone il permesso al Podestà e sotto i consigli e le direttive dei Determinatori.
Le strade dovevano essere tenute aggiustate per tutto l'anno e, nel mese di maggio, gli uomini di Ovada dovevano revisionarle e ripararle per ordine del Podestà o del Vicario. I Determinatori, tre volte per estate o più se necessario, dovevano controllare le strade del borgo e quelle di fuori, in modo che non avvenissero infrazioni alle disposizioni emanate e perchè le strade dovevano stare sempre sgombre per il libero passaggio di tutti. Le altre strade secondarie che portavano fuori del borgo in diverse direzioni e fino al limite del fossato dei Gambuzzi (località che si potrebbe oggi fissare in Via Voltri nell'area circostante la nuova caserma dei pompieri) dovevano essere ugualmente curate per quanto riguardava specialmente gli scoli delle acque, per permettere il regolare deflusso delle stesse.
Su tutte le strade comunali e particolarmente in quelle dentro il borgo, i buoi liberi, aggiogati o trainanti trasate o birrocci, dovevano essere sempre preceduti dal conducente, sotto pena della multa di due soldi genovesi.
Nessuno poteva costruire edifici sulle vie comunali senza il permesso del Podestà e chi costruendo avesse creato impedimenti per il passaggio di carri carichi dì fieno, paglia o messi, facendo strutture sporgenti, archi o modanature ingombranti, veniva multato con venti soldi di Genova e doveva demolire la parte ingombrante.

LE ACQUE

Tutte le acque dovevano essere lasciate fluire per il loro corso e nessun impedimento doveva essere frapposto al loro regolare scorrere; coloro che, costruendo case od opere agricole avessero deviato il corso delle acque, dovevano pagare una multa di dieci soldi genovesi.
Le persone che avessero un rivolo costeggiante vie del Comune o vicinali, dovevano provvedere a loro spese e con l'aiuto dei vicini ad intonacarlo con malta, calce o mattoni, in modo che potesse scorrere senza danneggiare le proprietà vicine.
Gli eventuali danni provocati da straripamenti di rivoli, ruscelli, ritani, che per colpa di qualcuno, straripando, avessero danneggiato possedimenti comunali o di privati, dovevano essere immediatamente rimborsati dai danneggiatori che, inoltre, dovevano riportare i corsi d'acqua alla loro primitiva defluizione.
Tutti coloro che avessero necessità di costruire rigagnoli o fossati, dovevano farli in maniera che non danneggiassero le proprietà altrui e, se facendoli, avessero dovuto prendere o scavare terra dei vicini, dovevano rifondergliene altrettanta.
Le eventuali vene d'acqua che fossero state necessariamente aperte per spegnere incendi nel borgo o nella campagna circostante, dovevano essere rinchiuse e ripristinate nel loro corso, al massimo entro otto giorni dalla loro apertura.
Per qualsiasi lavoro di carattere edilizio, gli ovadesi dovevano assolutamente evitare di prendere pietre o lastre nella rocca o nel fossato del castello e del borgo e se contravvenivano pagavano una multa di cinque soldi genovesi, a meno che tali pietre o lastre fossero già state sradicate e considerate come scarti. Questa norma era resa necessaria per impedire l'indebolimento delle difese naturali o manufatte che proteggevano il castello, le mura ed il borgo stesso.

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