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Ovada nel Medioevo - L'Agricoltura


Una parte importantissima della Statutaria è riservata all'Agricoltura. I Borghi allora, come Ovada, vivevano più o meno isolati e la loro economia era basata esclusivamente sull'agricoltura locale. Gli scambi, oltre ad essere difficili o quasi nulli per mancanza di vie di comunicazione, si limitavano in quel tempo allo strettissimo necessario e cioè a quei prodotti di necessità impellente come potevano essere il sale, l'olio e gli agrumi che, necessariamente, venivano qui dal mare.
D'altra parte l'agricoltura ovadese era talmente ristretta e limitata da non comportare una esportazione perchè era appena sufficiente per il mantenimento dei residenti locali; causa questa delle ricorrenti e quasi endemiche carestie e malattie epidemiche che erano per la maggior parte provocate dalla indigenza e dalla fame.
Analizzando gli Statuti e facendo un elenco dei prodotti agricoli che si coltivavano in quel tempo nel comprensorio ovadese, ci troviamo di fronte ad una ben misera elencazione; a parte una massiva produzione di castagne che erano la base del sostentamento della popolazione locale, gli altri prodotti che noi troviamo elencati sono: granaglie, biade, rape, legumi, frutta come pesche e fichi ed in minima parte l'uva.
E' da tener presente che una buona parte del territorio ovadese non boschivo era incolta e gerbida, però era necessaria per il pascolo dei pochi ovini che erano un'altro incentivo all'alimentazione della popolazione che, con il latte e le carni, aveva un supplemento di nutrimento.
Vi erano dei prati che servivano per la fienagione ed anche questa era una coltura che, indirettamente, per la nutrizione dei bovini, giovava all'alimentazione umana.
Ora, se noi teniamo presente che ben trentasette articoli degli Statuti sono dedicati più che altro alla protezione di queste poche risorse agricole, troviamo queste disposizioni più che giustificate per la salvaguardia della sopravvivenza umana locale.
Uno dei divieti sui quali ci si dilunga maggiormente è quello del taglio della legna nei boschi comunali e privati; ed anche in questo si riscontra la necessità impellente della protezione dell'esistenza umana, perchè il legname non solo era necessario per le svariate costruzioni di utensili occorrenti all'agricoltura stessa, alla edificazione di manufatti vani in campo anche edilizio, ma perchè era, nel periodo invernale, l'unica fonte dì riscaldamento che si aveva, tenendo in gran conto anche che dai boschi e dal legname dei boschi si ricavava, con un procedimento antico e semplice, il carbone di legna o carbonella.
A questo proposito va ricordato che ancora non molti anni fa, si vedevano nei nostri boschi quei tumuli coperti di terra e con un buco fumante al vertice, che altro non erano che ammassi di ceppi che si carbonizzavano pian piano e che formavano il carbone di legna.
Tutti gli articoli che trattano questi particolari divieti, stabiliscono pene severissime e non sono soltanto limitati ai boschi di proprietà comunale come lo Scorzarolo, la Monteggina e la Rebba, ma riguardano anche i boschi di proprietà privata.
Chiunque tagli, rompa, sradichi o devasti o faccia fare per sè queste cose nei boschi di proprietà comunale citati sopra, deve pagare una multa generica di venti soldi genovesi ed un risarcimento di altri venti soldi per ogni albero scalzato o rovinato. Qualora chi arreca questi danni fosse un forestiero, dovrà pagare l'enorme cifra di dieci lire genovesi per ogni albero o per ogni legno che abbia tagliato ed asportato.
I cittadini ovadesi possono però, con il permesso del Comune, raccogliere senza pena alcuna rami secchi o legna secca che trovassero abbandonata nel bosco.
La pena contravvenzionale per chi invece facesse danni nei boschi dei privati è più mite; infatti non troviamo genericità di contravvenzione, però la multa è proporzionata all'entità del materiale tagliato, rotto e asportato. Vediamo che sono comminati quindici soldi genovesi di multa per chi tagliasse o trafugasse una trasata di legname (specie di carro senza ruote con la parte posteriore poggiante al suolo); chi invece taglia ed asporta un carro di legname (cosa prevista negli Statuti ma molto difficile da attuarsi perchè era quasi impossibile allora circolare con carri trainati da buoi o muli per i boschi) paga venti soldi genovesi per ogni carro; il carico di un asino costa dieci soldi genovesi ed il fascio portato a spalla è punito con solo cinque soldi. In ogni caso la merce viene sempre sequestrata.
Il prosieguo di queste restrizioni stabilisce altresì che nessuno possa lavorare legname tagliato nel bosco per farne conche, oggetti di legno, doghe da botte da trasportare altrove; soltanto i privati proprietari dei boschi possono fare o far fare queste cose nei boschi di loro proprietà e sono esenti, naturalmente, da pagare multe.
Ci pare assurda, a nostro avviso, una disposizione che vieta a coloro che non paghino le tasse comunali, di piantare alberi o innestarli, perchè danneggia la appropriazione, in forma punitiva, di queste nuove pianticelle abusive da parte del Comune di Ovada.
Pena eccessivamente severa è quella comminata a coloro che dolosamente o inavvertitamente causino incendi nei boschi; si tratta di ben cinquanta soldi genovesi con in sovrappiù il risarcimento del danno arrecato. Il Podestà o il Vicario, in caso di incendi di boschi, deve fare ricercare diligentemente il colpevole e fare determinare e stimare dai Determinatori ed Estimatori l'entità dei danni arrecati.
Quasi inumana ci pare la disposizione che, se il colpevole non fosse ritrovato, i pastori vaganti o altre persone che fossero rintracciati nella zona danneggiata siano considerati essi stessi colpevoli dell'incendio, a meno che non siano in grado di denunciare il vero colpevole.
Sul luogo dell'incendio non si potranno, per un periodo di tre anni, tenere a pascolare animali di nessuna sorta, salvo buoi od altre bestie aggiogate che transitino sul luogo per i loro lavori; precauzione giustificata perchè gli animali avrebbero, con il loro pascolare o sostare nella zona, potuto ostacolare la formazione e la crescita delle piante boschive e quindi il rimboschimento.
Sempre per salvaguardare i prodotti agricoli, i pascoli e le fienagioni, gli Statuti ovadesi contengono capitoli che vietano ai buoi o ad altre grosse bestie di passare per le proprietà coltivate, a meno che non vi sia autorizzazione del Proprietario di dette terre. I padroni delle bestie che arrecassero danni sia alle cose sia alle persone sono tenuti a rifondere tutto il danno arrecato.
E' stabilito che, dalla metà di Settembre sino al giorno di San Martino (11 Novembre), nessuna bestia grossa o piccola entri nei castagneti ed il padrone di tali bestie paghi una ammenda che varia dai dieci ai venti soldi più il risarcimento dei danni.
Qualora buoi o capre entrassero nei vivai di pianticelle boschive o negli allevamenti di salici, di canne, di vimini o altre piante di circa sei anni, il padrone paghi dieci soldi per ogni bue ed un soldo per ogni capra fermo restando il solito risarcimento danni. Particolare attenzione è dedicata ai campi di messi, agli orti di legumi o di rape, ai prati ed alle biade; in queste colture è strettamente vietato fare entrare buoi o mucche, asini, cavalli, muli, maiali e chi lo facesse paghi da cinque a dieci soldi di ammenda a seconda che il fatto sia avvenuto di giorno o di notte.
Se poi ci fosse la fraudolenza del padrone di detti animali, il quale di notte si servisse di questi per asportare prodotti trafugati, la pena viene elevata alla cospicua cifra di tre lire genovesi di multa più altrettante di ammenda per punire la premeditazione del delitto. Il rimborso dei danni è sempre stabilito.
Gli stranieri non possono far pascolare o tenere le loro bestie in tutto il territorio di Ovada, salvo quelle persone forestiere che vengono al mercato di Ovada per venderle, oppure portando grano od altre vettovaglie someggiate.
I prati coltivati ad erba o fieno situati nella cosiddetta Bandita delle Erbe sono impediti al pascolo dall'inizio di Aprile all'inizio di Settembre e chi vi conducesse animali a pascolare in detto periodo paghi una multa di sei denari per ogni bue o altro grosso animale e tre denari genovesi per le altre bestie più piccole. Chi poi raccogliesse erba o tagliasse il fieno prima di Agosto paghi cinque soldi di multa più cinque soldi per ogni fascio d'erba o fieno raccolto.
A questo proposito è bene precisare che in quei tempi una vasta zona del territorio ovadese era riservata alla produzione dell'erba e del fieno e veniva denominata appunto Bandita delle Erbe. La delimitazione di quel territorio, indipendentemente dalle località nominate negli Statuti e che non è possibile individuare perchè alla distanza di oltre sei secoli la nomenclatura è completamente cambiata e servendosi di quelle poche che ancor oggi sussistono come: La Costa, il Piano di Cunio, il Fossato della Granozza ed il Poggio del Termo, si potrebbe ancora oggi ricostruire su una carta attuale della zona partendo dalla sponda sinistra dello Stura all'altezza di località Volpina e salendo per la collina sino alla Costa, di qui in linea retta, ascendendo sino al Bricco del Termo e da questi ritornando verso Nord sino al rivo della Granozza indi seguendolo poi sino alla sua confluenza nella sponda destra del torrente Orba. ìn sintesi, una zona formante un triangolo comprendente la zona pianeggiante dell'attuale Via Molare ed ascendente leggermente fino al vertice del Bricco del Termo con i lati come dalla descrizione riportata sopra.
E' inoltre stabilito che nessuno possa alienare o vendere la propria fienagione, ma che questa deve essere raccolta tutta nel Borgo dì Ovada, come si deve fare per tutti i raccolti, le biade e le castagne. Questa è una necessità di carattere comunitario più che giustificata in quei tempi, per impedire una sperequazione di beni di consumo che, a quanto pare, vengono poi equamente suddivisi dalla Comunità fra tutta la popolazione.
Le pene per l'infrazione a tale norma e l'occultazione di questi prodotti variano da cinque a quaranta soldi genovesi, a seconda della quantità del prodotto occultato ed oltre alla pena pecuniaria stabilita, rimane sempre ferma la confisca di quanto ognuno cerca di occultare.
Il far seccare fieno, erba, da parte di forestieri od ovadesi, oppure i piccoli furti che possono essere commessi per appropriarsi di fienagione, sono puniti sempre in base alla entità del furto o del danno.
Dal periodo che va dall'inizio di Marzo alla metà di Settembre, non è permesso che si conducano o si lascino animali grossi o piccoli nei prati, sotto pena di un soldo di multa per ogni bestia grossa e sei denari per ogni bestia piccola.
Una particolare attenzione è dedicata agli orti; questi, assieme ai castagneti, fornivano in quei tempi praticamente il maggior numero di prodotti per il sostentamento locale. Gli orti erano, per quasi la loro totalità, situati nella zona pianeggiante che si estendeva dalla Rebba alla Chiesa ed Ospizio di S. Antonio e da questi due vertici si protraeva sino al Borgo di Ovada.
Questa zona doveva essere particolarmente curata e i proprietari degli orti o delle aie erano obbligati a chiuderli con un muro od uno spalto e chi non lo avesse fatto veniva multato di due soldi genovesi. Se qualche orto o aia non fosse stato cintato e vi si fossero introdotte persone od animali, coloro che vi erano entrati erano esenti dal pagar multe. Molto severe invece ci appaiono le penalità per tutti coloro che, introducendosi abusivamente in questi orti cintati ne asportino legumi, ortaggi, paglia, fieno od altri prodotti. La pena è relativa alla quantità di prodotto asportato e va da un soldo, per una manciata di legumi, fino ad un massimo di quaranta soldi per un carro o un birroccio. Tale pena è raddoppiata se il furto avviene di notte.
Tutte le svariate questioni che possono sorgere per i confini delle proprietà terriere, - che di solito in quel tempo erano delimitate per la loro maggior parte da stradicciole, muretti o sentieri in terra battuta -, devono essere con ogni cura analizzate e studiate in loco dai Determinatoni e dagli Estimatori del Comune che, sentite anche le parti in causa, devono definire e determinare i confini, segnalandoli con gli appositi segnali detti "Termi", oppure spostando quelli che possono essere stati rimossi arbitrariamente.
La sorveglianza, affidata ai Campari, deve essere rinforzata particolarmente nei periodi di maturazione e raccolto.
Sebbene in quel tempo, la coltura della vite in Ovada fosse limitatissima e forse appunto per questo, due articoli degli Statuti sono appositamente dedicati alla salvaguardia delle vigne: il 150, che stabilisce il divieto a qualsiasi abitante di Ovada di appropriarsi di pali da vite, canne od altri sostegni per le viti ed il 166, nel quale è sancito il divieto di entrare nelle vigne degli altri dall'inizio di Aprile sino alla metà di Ottobre (periodo di fioritura, maturazione e vendemmia).
Nella fase del frutto pendente, chi trafugasse un grappolo di uva paga due soldi ed altri due soldi li paga per eventuali pesche o frutti presi da piante coltivate in dette vigne.
Per le castagne, la cui produzione era estesa per la quasi totalità del territorio ovadese ed era, come già detto, massiva, la salvaguardia è per la maggior parte limitata ai boschi di proprietà comunale che erano quelli della Rebba, dello Scorzarolio e della Monteggina.
Sia in questi castagneti come negli altri di proprietà privata o demaniale non si potevano raspolare castagne nè portare raspolatori "ad albergum", nè si potevano diricciare le castagne. Coloro che facevano questo, erano puniti con una multa di venti soldi ed il sequestro dei frutti.
Tutte queste restrizioni e disposizioni erano ispirate, come già sottolineato, alla salvaguardia dell'alimentazione della popolazione che è considerata nella sua forma comunitaria più completa.

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