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La chiesa di S.Maria delle Grazie e S.Domenico (Scolopi)

di Federico Borsari - 25 Novembre 2022


Durante le Giornate FAI d'Autunno dello scorso mese di Ottobre, molte persone hanno partecipato alle visite guidate che si sono svolte presso la chiesa di San Domenico, scoprendone particolarità storico-architettoniche alquanto interessanti. Molti dei convenuti hanno espresso il desiderio di poter trovare anche online quelle notizie e noi abbiamo pensato di esaudire il loro desiderio con questo articolo.

La chiesa di San Domenico
Foto: Andrea Gajone

La chiesa di San Domenico
Foto: Andrea Gajone

Essendo ormai di moda la numerazione delle cose come si usa per le releases dei softwares informatici, possiamo dire che la chiesa che vedete qui sopra può essere considerata la versione 3.3 di una struttura antichissima, che nel corso di oltre un millennio ha subìto svariati ed anche importanti updates che l'hanno portata all'aspetto attuale.
Bisogna subito dire che dei tempi più antichi non esistono testimonianze documentali e che l'affastellarsi delle innumerevoli modifiche architettoniche (una sopra l'altra, una accanto all'altra) rende ormai molto difficile avere certezze soprattutto per ciò che riguarda i primi secoli di esistenza della chiesa. Ciò non ostante, rimangono ancora diverse evidenze strutturali che ci consentono di formulare alcune ipotesi possibili con discreta percentuale di probabilità.

La prima testimonianza documentale che ci parla della chiesa è questa lapide, che troviamo al di sopra dell'ingresso:

Lapide di facciata
Foto: Andrea Gajone

Essa fu "scoperta" nel 1878 mentre si stavano effettuando dei lavori di rifacimento della facciata. Questa lapide, che era stata coperta da alcuni strati di intonaco durante i secoli precedenti, porta la data del 1508 ed il testo, ovviamente in Latino e con le abbreviazioni d'uso, recita così:

TEMP.HOC.SACRATISS.VIRG.GRATIAR.SUB.ORD.PREDICATOR
CONGREGATION.R.OBSERV.RECURR.DIE DIVI.DOMINICI.A
FONDAMENT.EXTRUXÊ.DICATUM.WADE.COÎTAS.MILLESSIMO
QUADRIGENT°.OCTUAG°.PRIM°.DOMINANTE.EQvITE.AURto.ET.C°MITE
DNô.ANT°.TRoTo.ATQ.AC.INSIGNI.RELIQ.DECORATU.EST.DNÃNTE.EQUITE
PRESTANTISS°.ET.COÎTE.DNô.FRANC.TROTO.ANNO.DNÎ.M.CCCCC.VIII


Questo testo "celebra" la costruzione (o, meglio, l'ampliamento della vecchia chiesa nelle dimensioni che vediamo oggi) della nuova chiesa, avvenuta negli anni tra il 1481 ed il 1508, sotto la Signoria della famiglia Trotti, sottolineando che l'inizio dei lavori avvenne con Antonio Trotti mentre il termine avvenne con Francesco Trotti.
Al di sopra della lapide si può vedere un affresco

Affresco di facciata
Foto: Andrea Gajone

che presenta al centro la Vergine delle Grazie ai cui lati si presentano, in adorazione, due santi (contraddistinti dall'aureola ed uno di essi dal bastone pastorale di Vescovo) Domenicani di cui uno è sicuramente San Domenico mentre non si è definita l'identità dell'altro.
Poiché l'affresco risulta "tagliato" nella parte bassa, si presume che esso fosse stato dipinto mentre erano ancora in corso i lavori di realizzazione della facciata e che poi, ultimati i lavori, sia stata apposta la lapide coprendone la parte inferiore.

Come abbiamo detto, la lapide è il primo "documento" ufficiale relativo alla chiesa ma, ovviamente, le sue origini sono molto più antiche. Già in alcuni documenti risalenti al XIV secolo (Milletrecento) si fa cenno di una struttura monastica in questa zona ma alcune rilevanze architettoniche ci rimandano ancora indietro nel tempo, addirittura ai primi secoli dopo Cristo.

Come si sa, Ovada esisteva già ai tempi degli antichi Romani ed era, sostanzialmente, un castrum fortificato sistemato alla confluenza dei due torrenti, Orba e Stura, a cui faceva riferimento, come sempre, un piccolo nucleo abitato che durante gli anni si era localizzato nell'area attualmente compresa tra via Roma e Piazza Mazzini. Durante i primi secoli "dopo Cristo" anche i territori della zona ovadese furono interessati dalla cosidetta "evangelizzazione", cioè dal transito di diversi e numerosi predicatori che soggiornavano per qualche giorno nei vari borghi per portare la parola del Vangelo e "convertire" le popolazioni. A questo proposito è interessante sapere che, tra il 374 ed il 390, in Ovada predicò anche Sant'Ambrogio (un affresco visibile nella "vecchia" chiesa parrocchiale, ora "Loggia di San Sebastiano", testimonia quell'avvenimento). Capitava inoltre che, spesso, alcuni di quei predicatori si fermassero in qualche luogo a loro confacente e, assieme ai loro discepoli, fondassero delle comunità monastiche. Così sicuramente accadde anche in Ovada, dove un gruppo di ignoti monaci si stabilì proprio in questo luogo, costruendo una primitiva chiesa, un convento ed un piccolo nucleo di abitazioni vicine. Di questo, come abbiamo già detto, abbiamo testimonianze scritte che risalgono ai primi anni del XIV Secolo in cui viene citata una non meglio specificata comunità religiosa di origine molto antica stabilita "extra muros", cioè all'esterno della cinta muraria, ed una relativa chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie. Quella prima realizzazione della chiesa può essere "numerata" come la versione 1.0 della nostra attuale struttura.
Ma come si presentava, a quei tempi, la zona e, soprattutto, rimane qualcosa di quella primitiva struttura?

Dal Trecento al Milletrecento

Come abbiamo già anticipato, non ci sono evidenze documentali che consentano di avere ben presente la disposizione degli edifici della zona nei periodi più remoti. Il ritrovamento di alcune strutture originali ci permette però di sapere, con certezza, che il complesso religioso era composto di almeno due strutture circolari, una più grande, che corrisponde all'abside della chiesa attuale, ed una più piccola che, molto probabilmente, era adibita a battistero (questa ipotesi è avvalorata dalla presenza al suo interno di una vasca, di cui parleremo più avanti).
Sulla base di queste due certezze, abbiamo elaborato una cartografia che rappresenta la zona verso l'anno Mille.

Ipotesi Anno Mille
Elaborazione Grafica: F.Borsari

A quei tempi si era in piena campagna ed al di fuori delle mura della città, ma in questa cartografia si possono individuare la strada che a quell'epoca conduceva verso Genova (l'attuale via San Paolo della Croce), le mura che proteggevano la zona verso la spianata del torrente Stura, la porta "del Mulino" che controllava la strada che portava, appunto, al mulino (ancora esistente ed attivo), la chiesa (struttura rotonda più grande) ed il battistero (struttura rotonda più piccola). Il posizionamento degli altri fabbricati è assolutamente ipotetico ed arbitrario.

Ma, a questo punto, andiamo a vedere se e cosa rimane delle strutture originali e, a questo proposito, possiamo beneficiare dell'unica parte della struttura che non è stata occultata da intonaci e/o da strutture aggiunte. Si tratta della parte laterale destra dell'abside, che ci presenta, in modo molto chiaro, la successione degli ampliamenti-sopraelevazioni che hanno caratterizzato la storia di questa chiesa.

Stratigrafia
Foto: Andrea Gajone
Elaborazione Grafica: F.Borsari


Per comprendere meglio questa fotografia, bisogna premettere che il piano di campagna della zona, oltre mille anni fa, si trovava ad un livello più basso di circa 3-4 metri rispetto al livello attuale e, pertanto, le strutture che a quell'epoca si trovavano a "piano terra", oggi si trovano quasi completamente "interrate".
Detto questo, andiamo a considerare, nella fotografia, il livello "Originale", cioè quello relativo alla prima chiesa, della quale si possono ben notare due capitelli che ne sostenevano gli archi della volta. Dalla fotografia si vede anche molto bene il fatto che, come usava allora, i pilastri della seconda e terza struttura (primo e secondo ampliamento) sono stati "poggiati" esattamente sui pilastri che reggevano quella precedente, in modo da non sbilanciare la distribuzione dei carichi. E' anche interessante notare come nel primo ampliamento fosse presente una finestratura d'abside che è poi stata chiusa quando è stato fatto il secondo ampliamento.

Sulla sinistra, nella foto, si vede una struttura bianca bassa sulla cui parete sono posizionati un contatore del gas ed un quadro elettrico. Il cartello che vi è posizionato annuncia la presenza, al suo interno, di una "Centrale Termica" ma, aprendo la porta metallica d'accesso, non si trovano caldaie, bensì una specie di "cupola".

Cupola rotonda esterno
Foto: Andrea Gajone

Questa struttura, che può apparire molto strana, in verità altro non è che la parte sommitale della struttura rotonda più piccola che in origine era adibita a battistero. Anche questa struttura, come abbiamo detto, risulta oggi "interrata" di 3-4 metri ed è al suo interno che, effettivamente, è posizionata una centrale termica. Questo locale, che è raggiungibile dall'interno della Sacrestia della chiesa attuale, ha una particolarità: è rimasta integra fino ad oggi e, nonostante l'apposizione di intonaci, di un pavimento rialzato in cemento e degli impianti termici (caldaie, pompe e quant'altro), presenta ancora la volta originale in mattoni.

Cupola rotonda interno
Foto: Andrea Gajone

Cupola rotonda interno
Foto: Andrea Gajone

Ma vediamo adesso i mutamenti del contesto storico avvenuti in Ovada a partire dall'anno Mille.

Dai Malaspina ai Trotti

Nei tempi antichi (e fino alla fine del XVIII secolo) gli Stati Nazionali non esistevano ed i vari territori, sia Europei che Italiani, erano di proprietà di famiglie che, per meriti vari (soprattutto militari), li avevano acquisiti o ricevuti in feudo, e questo riguardava anche la città di Ovada che, all'inizio del secondo millennio, era di proprietà della famiglia Malaspina.
A quell'epoca, per acquisire un territorio, c'erano due metodi (uno dei quali ancora oggi utilizzato): il primo era l'occupazione militare (con le conseguenti battaglie e relative vittime da entrambe le parti), il secondo era la compravendita. Per Ovada fu scelto il secondo metodo.
Nel 1200 la repubblica di Genova, che aveva necessità di acquisire alcuni territori al di qua dell'appennino ligure per creare avamposti che la potessero difendere dai nemici provenienti dal Nord, comprò, pagandoli profumatamente, tutti i territori di proprietà dei Malaspina e così, nel 1272, Ovada passò sotto il dominio della Repubblica di Genova.
Con questa acquisizione Ovada divenne, a tutti gli effetti, territorio genovese e da Genova arrivarono diverse cose assai importanti: lo stemma della città (la croce di San Giorgio, rossa in campo d'argento), la struttura amministrativa per la gestione della vita civica, il personale militare che andò ad occupare ed ampliò il castello e, a partire dal 1327, anche il Santo Patrono (San Giovanni Battista).
Assieme a tutto questo, verso la metà del XIV secolo, da Genova arrivarono anche i Padri Domenicani, ordine religioso dedicato alla Predicazione (non a caso i Domenicani erano denominati Ordine dei Predicatori) che era stato fondato nel 1206 da San Domenico di Guzmán e poi approvato nel 1216.
I Domenicani arrivarono in Ovada, si stabilirono nella chiesa ed iniziarono un'attività che comprendeva anche l'istruzione (dei figli dei notabili e delle famiglie facoltose), attività che proseguiranno poi per quasi cinquecento anni, acquisendo (a dispetto della loro "Regola") importanza religiosa, liturgica e sociale, grande influenza socio-economico-politica e (cosa che non guasta mai) un notevole patrimonio. Fu proprio a loro che, circa un secolo dopo verso la metà del XIV secolo, si deve il primo ampliamento della chiesa, che noi potremmo definire come release 2.0 e che nella foto più sopra è raffigurata come "Primo Ampliamento".

Trascorre circa un secolo e, nel 1449, per le vicende causate delle guerre che in quei decenni contrapponevano la Repubblica di Genova al Ducato di Milano ed alla Francia, Ovada "passò" sotto la Signoria di una famiglia alessandrina, i Trotti, che subentrarono per quasi un secolo nella gestione ed amministrazione della città. I Trotti amministrarono bene la cittadina e si guadagnarono la fiducia della popolazione, tanto che nel 1480, con Antonio Trotti, donarono ai Padri Domenicani una parte dei terreni circostanti alla chiesa di cui erano proprietari per rendere possibile un ulteriore ampliamento i cui lavori iniziarono (come dice la lapide di cui abbiamo parlato in apertura) nel 1481.
Sette anni dopo, nel 1488, ai Trotti subentrò nella gestione della città una famiglia genovese, gli Adorno che, se da una parte sospesero i lavori di ampliamento della chiesa, dall'altra dimostrarono una particolare "vicinanza" ai Domenicani, vicinanza che si concretizzò, nel 1490, con l'affidamento ai Padri della gestione esclusiva del mulino sul torrente Stura. Questa "privatizzazione" di una realtà che fino ad allora era stata, per così dire, "pubblica" (cioè gestita dalla comunità secondo le regole genovesi) non fu ben accolta dalla popolazione poiché metteva in mano totalmente "privata" (i Domenicani) l'approvvigionamento di pane e farina dell'intera città. In linea generale, il periodo di Signoria ovadese degli Adorno non fu ben gradito agli Ovadesi tant'è vero che nel 1499, quando ritornarono nuovamente i Trotti ed i lavori di ampliamento della chiesa ripresero a pieno regime, un anonimo operaio decise di "celebrare" l'avvenimento incidendo in bella vista la data (1499) su uno dei muri interni della costruenda volta della nuova chiesa, che fu ultimata, come recita la solita lapide, nel 1508 mentre era Signore di Ovada Francesco Trotti. Questa "versione" della chiesa, che si presentava ormai nelle dimensioni attuali, può essere numerata come release 3.0 e corrisponde al Secondo Ampliamento della foto che abbiamo visto più sopra.
La nuova chiesa, appena ultimata, si presentava ancora nello stile romanico dei secoli precedenti, pur recando qualche traccia di protogotico, come alcuni archi, nella parte più antica, a sesto acuto. Nella pianta, a croce latina con tre navate, le parti più antiche (transetto, presbiterio ed abside) si fondevano stilisticamente con la parte nuova, formando la struttura che vediamo ancora oggi. Secondo la "Regola" domenicana, la chiesa era abbastanza spoglia, priva di perticolari ornamentazioni e non presentava la volta in muratura, bensì le capriate lignee che sostenevano il tetto in travi di legno a vista.

Dal 1510 al 1810

Nei seguenti trecento anni accaddero molti avvenimenti che interessarono, sia direttamente che indirettamente, la chiesa.
Nel 1528 il borgo di Ovada ritornò nelle possessioni della Repubblica di Genova, della quale seguirà le vicende politico-amministrative fino al periodo napoleonico.
Nel 1585, ottant'anni appena dopo la sua realizzazione, non si sa per quali cause, crollò la volta della chiesa ed i lavori di ricostruzione diedero l'occasione per "adeguare" la struttura, sia internamente che esternamente, al nuovo stile barocco che nel frattempo si era affermato in tutta Europa. La copertura venne rifatta e la navata centrale fu dotata di una volta "a botte" (ed è tuttora l'unica parte di chiesa dotata di tale tipo di volta mentre tutto il resto presenta le più antiche volte "a crociera"). I pilastri vennero rivestiti e dotati di capitelli corinzi, le pareti vennero intonacate e dipinte, così come furono applicati fregi e decorazioni in stucco. Anche la facciata fu "sistemata" e corredata di fregi e decorazioni in stile. Al termine dei lavori, la chiesa si presentava, soprattutto al suo interno, in uno stile barocco abbastanza sobrio ma assai elegante. Questo update della struttura possiamo definirlo come release 3.1.

Come abbiamo già accennato, durante la loro permanenza plurisecolare, in Ovada i Domenicani avevano acquisito un'importanza religiosa, civile e "politica" pressoché determinante e fu proprio grazie a ciò che, verso la fine del XVI secolo, per la nostra cittadina avvenero alcune cose molto significative i cui effetti si vedono ancora oggi.
Nel 1594, il 17 Aprile, un Padre Domenicano polacco (ma la Polonia allora si chiamava Slesia), Jacek Odrowaz, vissuto tra il 1183 ed il 1257, fu canonizzato e proclamato Santo con il nome di San Giacinto. In quell'occasione i Padri Domenicani ovadesi furono invitati a partecipare alla cerimonia a Roma e vi si recarono in nutrita delegazione assieme ai maggiori notabili ovadesi di quel tempo. A Roma furono ricevuti in udienza dal Pontefice Clemente VIII, a cui presentarono tre richieste che il Papa accettò e rese ufficiali e "patenti", cioè immediatamente esecutive.
La prima "concessione" fu che da quel momento San Giacinto diventasse ufficialmente il Patrono della Magnifica Comunità di Ovada, cioè non solo sotto il punto di vista religioso ma, anche, sotto il punto di vista "civico".
La seconda concessione fu che, sempre da quel momento, il borgo di Ovada potesse fregiarsi del titolo e delle insegne di "Città" (privilegio riservato solo ai borghi ben più popolosi ed importanti dell'Ovada di quel tempo), titolo che rimane ancora oggi.
L'ultima "concessione" fu che, per le benemerenze acquisite nei secoli precedenti dai Domenicani ovadesi, al centro dello stemma della città di Ovada (che, lo ricordiamo, era -ed è tuttora- la Croce di San Giorgio genovese) fosse inserito l'emblema dei Padri Domenicani, cioè una stella d'argento con otto punte. Tale stemma è quello ancora oggi in uso.

Passarono poi quasi due secoli di relativa "tranquillità" in cui i Domenicani ovadesi acquisirono diverse opere d'arte (quadri, suppellettili, argenti, vasellame) che arricchirono il patrimonio della chiesa. Ma un radicale cambiamento d'epoca stava maturando e, dapprima con l'affermazione dell'Illuminismo (che privilegiava un approccio razionale, scientifico e critico alle situazioni socioeconomiche e che prospettava la "liberazione" del popolo dall'ignoranza e dalla superstizione indotte dalla Chiesa) e poi con la Rivoluzione Francese del 1789, la situazione geopolitica e socioeconomica dell'intera Europa fu, appunto, rivoluzionata ed anche la Repubblica di Genova (e con essa Ovada) ne fu profondamente interessata.
Nel 1797, infatti, a Genova si insediò la Repubblica Democratica Ligure, che abbracciò in toto le idee rivoluzionarie francesi e diede inizio ad un periodo di "bonifica" della società da quelli che erano considerati i "nemici del popolo", cioè i nobili, i ricchi ed i sacerdoti.
In quegli anni, quindi, si moltiplicarono i tentativi (tramite editti ed ordinanze appositamente emanate dal governo genovese) di abolire conventi, confraternite e comunità religiose. Le realtà locali più "compatte" tentarono di limitare l'efficacia di queste disposizioni ed in Ovada, a parte la soppressione di un paio di Confraternite e la chiusura delle relative chiese, non si verificarono grandi eventi nonostante che le fazioni cittadine più "rivoluzionarie" effettuassero intimidazioni, anche personali, ed inoltrassero al Governo Genovese continue e pressanti denuncie nei confronti di presunti abusi, a loro dire, perpetrati dai religiosi.
La situazione cambiò, in peggio, nel 1805, quando tutti i territori della Repubblica Genovese vennero incorporati nei domini di Napoleone I, che proprio in quell'anno, a Milano, era stato incoronato Re d'Italia dopo essere già stato acclamato Imperatore di Francia nell'anno precedente.
I Domenicani non lo immaginavano, ma questo avvenimento segnava l'inizio della fine della loro avventura ovadese.
Cinque anni dopo, il 25 Aprile 1810, Napoleone I emetteva infatti il famoso Decreto di soppressione degli enti ecclesiastici, con cui tutti gli Ordini Religiosi venivano aboliti, i loro beni confiscati e trasferiti in proprietà della collettività e tutti gli appartenenti, a qualsiasi titolo, a tali Ordini venivano allontanati dalle loro sedi e destinati all'esilio.
Fu così che, una notte dell'Ottobre seguente, i Padri Domenicani (ma anche i Frati Cappuccini dell'altro convento ovadese), dismesso l'abito religioso, travestiti da comuni cittadini e adeguatamente camuffati per non essere riconosciuti, lasciarono la nostra cittadina. Per i Cappuccini si trattò di un arrivederci; per i Domenicani fu invece l'addio.

Dal 1810 ad oggi

Come prima cosa, come succedeva sempre in questi casi, la chiesa -che era stata spogliata di tutti gli arredi- fu adibita a stalla per i cavalli ed i muli della Gendarmeria mentre nel convento vennero sistemati, appunto, i Gendarmi, che non ebbero, ovviamente, alcun rispetto nè per le strutture nè per ciò che vi trovarono dentro.
Questa situazione durò fino al 1815 quando, battuto Napoleone ed effettuato il Congresso di Vienna, ebbe luogo la cosidetta "Restaurazione". A rigor di logica, per ripristinare lo "status quo" precedente, si sarebbe dovuta ripristinare la Repubblica Genovese ma, per meriti "militari" acquisiti sul campo (di battaglia) e per ragioni squisitamente geopolitiche, i territori che erano stati della Repubblica di Genova vennero incorporati nei possedimenti del Regno di Sardegna, entrando quindi nei possedimenti dei Savoia.
L'Amministrazione Pubblica ovadese si trovò, quindi, in possesso di una grande struttura religiosa (chiesa, convento ed annessi) ridotta in condizioni disastrose e, in quel momento, perfettamente inutile.

Gìà fin dai primi anni della sua gestione "savoiarda", l'Amministrazione Comunale ovadese tentò di contattare i Padri Domenicani per un loro ritorno, ma ricevette un netto rifiuto. Fu deciso, allora, di rivolgersi ai Padri Scolopi, che accettarono di istituire in Ovada una comunità religiosa che, oltre ad amministrare ed officiare la chiesa, si occupasse anche dell'istruzione pubblica. Fu così che, nel 1827, i primi Padri Scolopi arrivarono in Ovada, presero alloggio nel convento ed iniziarono ad officiare la chiesa. Sia la chiesa che il convento rimasero di proprietà del Comune.

I Padri Scolopi trovarono, come è facile immaginare, una struttura ridotta in condizioni critiche, ma iniziarono subito a darsi da fare per ripristinare sia la chiesa che i locali dell'adiacente convento. Grazie a donazioni private e ad un lavoro continuo ed approfondito, nel corso degli anni la chiesa riprese un aspetto decoroso ed anche il convento ritornò ad essere ospitale ed accogliente.
Purtroppo le finanze degli Scolopi non erano floride come lo erano state in passato quelle dei Domenicani e in qualche caso, anche per l'indisponibilità -o impossibilità- da parte del Comune di contribuire, fu giocoforza effettuare la vendita di qualche bene per racimolare i soldi necessari per i lavori. Così avvenne nel 1837, quando gli Scolopi furono costretti a vendere alcuni altari della chiesa. Questo avvenimento creò un forte malcontento nella popolazione, che criticò pesantemente l'operato dei nuovi religiosi. Le polemiche e le critiche durarono per molti anni e, alla fine, fu il Marchese Spinola, che abitava nell'adiacente palazzo, che fece un atto di "distensione". Egli aveva infatti acquistato, all'epoca della sua dismissione, l'antico Altare Maggiore della vecchia chiesa Parrocchiale di San Sebastiano (ora "Loggia di San Sebastiano) per sistemarlo in una cappella di sua proprietà. Nel 1847 il Marchese decise quindi di donare quell'altare alla chiesa degli Scolopi, che lo sistemarono nella navata destra (è il primo altare entrando). Questo altare è particolarmente importante, poichè, oltre ad essere stato l'Altare Maggiore della più importante chiesa ovadese, esso recava (e reca tuttore) al centro del frontale la stella ad otto punte dei Domenicani e, ai due lati, l'antico stemma di Ovada, ancora privo della stella domenicana (questo altare era stato realizzato prima del 1594).

Altare
Foto: Paola Varese

Altare
Foto: Andrea Gajone

I lavori dei Padri Scolopi per risanare la chiesa proseguirono per molti decenni e nel 1878 uno degli ultimi interventi riguardò la facciata, che fu "restaurata" e ripristinata. Fu appunto in occasione di questi lavori che venne alla luce la famosa lapide di cui abbiamo parlato in apertura di trattazione. In quell'occasione fu deciso di lasciare visibile la lapide, che si vede ancora oggi.
Dopo quasi mezzo secolo di lavori, infine, la chiesa (che ormai era diventata, per tutti, la "chiesa degli Scolopi") si presentava adeguatamente ripristinata e restaurata. Questo intervento possiamo considerarlo, quindi, come la release 3.2.
Nel 1887, gli Scolopi provvidero infine all'installazione di un organo, che fu realizzato dall'organaro novese Camillo Guglielmo Bianchi e che fu sistemato su di una tribuna lignea sistemata in abside.

Organo 1887
Foto: Renato Gastaldo

Dovrà poi trascorrere quasi mezzo secolo, fino al 1932, prima che i Padri Scolopi possano entrare in possesso del convento, che verrà loro venduto dal Comune. La chiesa, invece, rimase di proprietà comunale (e lo è ancora oggi).

Il periodo del Secondo Conflitto Mondiale ed i seguenti decenni di difficoltà socioeconomiche a livello europeo, nazionale e locale impedirono sia all'Amministrazione comunale che ai Padri Scolopi non solo di intraprendere opere di restauro della struttura ma, anche, di provvedere ai normali lavori di manutenzione ordinaria. Questa situazione, che si protrasse fino alla fine degli Anni Settanta del secolo scorso, causò un progressivo deterioramento che ridusse la chiesa in condizioni assai precarie, con infiltrazioni dalle coperture e progressivo ammaloramento sia degli intonaci interni che della facciata, che a quell'epoca si presentava in queste condizioni:

Facciata Anni Sessanta
Credit Foto: Accademia Urbense Ovada

Con l'inizio degli Anni Ottanta del Novecento, finalmente, i Padri Scolopi, di concerto con l'Amministrazione Comunale che, ricordiamo, è tuttora proprietaria della chiesa, poterono dare inizio ad un periodo, che durerà oltre quindici anni, in cui fu intrapreso un lungo progetto di restauro e riqualificazione di tutta la struttura. Nel corso dei lavori che videro la progressiva eliminazione delle sovrastrutture barocche interne, tornarono alla luce le strutture più antiche. Purtroppo, nel 1986, un incendio distrusse l'antico organo che era posto in abside.

Organo Incendio 1986
Foto: Federico Borsari

Nonostante questo inconveniente, i lavori proseguirono senza sosta fino a che, verso la fine degli Anni Novanta, fu restaurata la facciata e riemerse l'affresco che abbiamo visto in apertura di trattazione. Quest'ultimo "aggiornamento", lo possiamo considerare, quindi, come la release 3.3.

Nel 2004 un incendio distrusse il tetto della chiesa, che fu prontamente ricostruito.

Incendio 2004
Foto: Ennio Sacca

Incendio 2004
Foto: Ennio Sacca

L'ultimo intervento di riqualificazione della chiesa è stata la dotazione di un nuovo organo a canne, avvenuta nei primi mesi di quest'anno 2022. Il nuovo organo, uno strumento realizzato dalla casa organaria britannica Jardine Organs Co. verso la fine del XIX secolo, è stato perfettamente restaurato dalla ditta organaria Pietro Corna di Bergamo. Il concerto di inaugurazione è avvenuto il 10 Luglio 2022 con la partecipazione del Coro Scolopi, diretto dal M° Patrizia Priarone e dell'organista Juan Paradell-Solé, Primo Organista della Basilica Papale di S.Maria Maggiore in Roma.