Benvenuti su www.nonsoloovada.it!

Divagazioni sullo Stemmario Ovadano di Padre Bernardino Barboro.


Articolo n. 146
Inedito

Nel libro 'Origini Storiche dei nostri cognomi' vengono riprodotti in appendice, a colori, gli 'Stemmi delle Famiglie Ovadane' che nel 1786 Padre Bernardino Barboro, ovadese, raccolse in un opuscoletto manoscritto e da lui decorato. Tale opuscolo, di formato quasi tascabile, conta 84 facciate e riporta 323 stemmi fra cui, oltre a quelli ovadesi, molti di famiglie genovesi, italiane, straniere, Stati Esteri, stemmi pontifici ed altri. Da questo si può dedurre che l'intento dell' autore era quello di realizzare un testo araldico sul tipo degli araldisti genovesi di quell'epoca, tant' è vero che su di una delle prime pagine, vengono riportate le descrizioni e le interpretazioni grafiche dei colori araldici in bianco-nero.
Tutti gli stemmi sono collocati sullo scudo ovaloide di moda a quel tempo; sono posti a quattro per facciata in posizione simmetrica e non sono ordinati alfabeticamente, bensì casualmente. Altra particolarità è il fatto che se i primi stemmi sono molto ben disegnati e curati, mano a mano che si procede verso la fine viene a mancare la cura e l'attenzione nella realizzazione, forse a significare la stanchezza dell' autore, che certamente protrasse la realizzazione dell' opera attraverso diversi anni di lavoro.
Circa i blasoni delle famiglie ovadesi, tranne i Maineri, nobili di antica data, tutti gli altri riguardano famiglie ovadesi benestanti o 'particolari'; si tratta infatti di famiglie possidenti, socialmente quotate, di qualche tono sopra il livello medio della popolazione del tempo. Vengono presentate famiglie che potevano vantare qualche sacerdote, qualche notaio, qualche artista tra i loro componenti; tutta gente, insomma, che ci teneva a distinguersi. Era normale, nel XVIII secolo, particolarmente sensibile alle blasonature, che tutti aspirassero a possedere un proprio stemma da poter mettere in bella mostra sul vasellame, da scolpire sul portone di casa o da dipingere sulla facciata della villa di campagna. Era la magnificazione di uno 'status' sociale, il più delle volte conquistato con l'operosità, con il lavoro, il risparmio, il commercio, l'impegno artistico o letterario e che, una volta raggiunto, li faceva sentire quasi alla pari di coloro che tali blasonature innalzavano per antichi e reali privilegi nobiliari.
Dalla costituzione dell'opera possiamo notare che il Barboro aveva consultato 'La Diversità delle Insegne' di Gio Andrea Musso, lavoro del 1700 in cui è raccolto un repertorio araldico di indubitevole consistenza e valore e che ancora oggi è fonte di notizie per gli studiosi di scienze araldiche e genealogiche, così come risultano abbondanti consultazioni dell' opera del Fransone 'Nobiltà di Genova' del 1636, ove sono riportati tutti gli stemmi delle famiglie liguri iscritte nei ventotto Alberghi Genovesi.
Ci piace immaginare il Barboro nella tranquillità del suo eremo alle Capanne di Marcarolo, nei freschi pomeriggi di mezz'estate e nelle serate invernali mentre, chino sul tavolo, alla fioca luce della candela, miniava bizzarre e fantasiose figure zoomorfe, con simboli policromi quasi misteriosi e cabalistici; una faticaccia, certamente, ma la passione era tanta e riempiva il tempo libero che gli lasciavano la cura delle anime e l' incarico di Fattore degli Spinola. Circa l'autenticità degli stemmi riprodotti, la maggior parte sono autentici e tratti dalle opere che il barboro aveva consultato, opere, coem abbiamo detto, di ricercatori seri, documentati e conoscitori della materia. Su diversi altri dobbiamo purtroppo esprimere qualche riserva e, a questo proposito, possiamo immaginare che il Nostro, magari per sdebitarsi nei confronti di qualche generoso benefattore ambizioso aspirante a nobiliari fasti, abbia posto mano all'estro ed alla fantasia per appagarne la vanità. D'altra parte, sotto altri aspetti, la stessa debolezza umana si verifica ancora oggi.
Ma soffermiamoci un attimo, ora, su questa curiosa figura di sacerdote araldista dilettante. Nato il 6 giugno 1746, fu battezzato il giorno seguente e gli furono imposti i nomi di Bernardino Giorgio Maria. Era figlio di Domenico e di Maria Giacinta; testimoni al battesimo furono membri della famiglia Perrando di Sassello, che aveva in Ovada, olre al Parroco Giovanni Bartolomeo, anche altri sacerdoti tra cui un Padre Guido, che lo presentò al Fonte Battesimale. Non conosciamo nulla della sua infanzia e giovinezza, nè se appartenesse al clero regolare o secolare. Le poche altre notizie che abbiamo su di lui le dobbiamo a Massimo Calissano e Franco Paolo Olivieri, che ne presentano un loro studio sulle famiglie della Valle Stura.
Il barboro fu per lunghi anni Cappellano presso il Convento di Santa Maria di Mercuriolo, detto della Benedicta, presso le Capanne di Marcarolo, una piccola frazione del Comune di Bosio, Ricoprì anche l'incarico di Agente terriero per conto della famiglia genovese degli Spinola, che contava nella zona vasti possedimenti boschivi ed agricoli. Nel 1797, ultimata la sua opera araldico-genealogica, si invischiò nella politica, e avendo partecipato ai moti controrivoluzionari dei 'Viva Maria' contro i Francesi e la Repubblica Democratica Ligure, venne in un primo tempo condannato a morte e poi deportato all' isola di Capraia; infine nel 1798 fu amnistiato.
Dopo queste peripezie ritenne saggio ritirarsi nuovamente tra i suoi monti, ove visse fino all'età di novantuno anni, morendo il 22 maggio 1837. Una lapide, fatta apporre da un suo nipote nella chiesa parrocchiale di S. Croce di Marcarolo, lo ricorda ai posteri (1).
Pur trattandosi di una figura minore, l'approfondimento della sua opera e della sua vita, caratterizzata anche dalla partecipazione alla movimentata vita sociale e politica del tempo, meriterebbe comunque, a nostro modestissimo parere, un più ampio interessamento.

_____________________________________________

NOTE del curatore:

1) Circa questa lapide, mio padre avrebbe voluto recarsi alle Capanne di Marcarolo per verificarne l'effettiva esistenza. Pertanto cercò più volte di mettersi in contatto con il parroco delle Capanne. Dopo svariati e diversi tentativi non riusciti, qualche giorno prima della sua morte riuscì a contattarlo telefonicamente. Si qualificò e chiese se fosse possibile stabilire un appuntamento per poter verificare l'esistenza della lapide ed, eventualmente, esaminare le documentazioni in archivio parrocchiale risalenti all'epoca. Per tutta risposta il parroco lo mandò molto brutalmente ed inelegantemente a quel paese, sbattendogli poi, e non per modo di dire, la cornetta in faccia. Mi sono poi recato io, dopo alcuni mesi, alle Capanne ed ho potuto verificare che la lapide non c'è più, molto probabilmente eliminata da quello stesso parroco che tanto in odio tiene la storia ed i suoi studiosi. Ho cercato anche il parroco ma, per sua fortuna, non sono riuscito a trovarlo....

|
|
|