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Tagliolo: La peste del 1630.


Articolo n. 125 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Maggio 1990

Ancora sul finire del secolo scorso i più vecchi di Tagliolo ricordavano la veneranda figura di un vecchio dallo sguardo ispirato, dalla bianca e fluente capigliatura, dalla maestosa barba e la persona imponente, quasi fosse un Profeta del Vecchio Testamento. Questo vegliardo, chiamato l'Eremita della Colma o il Vecchio della Montagna, ogni anno, nel primo autunno e fin dopo la Festa di San Carlo, andava vagando per la Valle dell'Orba, di paese in paese, di borgata in borgata e, soffermandosi fra i crocchi della gente nelle vie, nelle piazze, sui mercati e sulle fiere, raccontava la pietosa storia della peste che nel primo trentennio del 1600 aveva devastato queste nostre zone, lasciandone quasi immune il piccolo borgo di Tagliolo. Il racconto non è che una versione volgarizzata di una antica cronaca latina dei fatti, stilata con tutta probabilità dall'allora Parroco di Tagliolo, prete Giacomo Giavino. Detta cronaca è andata smarrita ma la copia vulgata ci è stata conservata e riportata intatta da G.B.Pizzorni, parroco di Tagliolo, in un suo opuscoletto stampato nel 1894. Vale qui la pena di riportarla in parte nella sua stesura integrale, in quanto essa non manca di drammaticità e pathos:
"...Volgeva l'anno Domini millesimo seicentesimo trigesimo et horrida contagione dopo avere devastate le più popolose città de la Penisola bella, penetrava in li paesi et contadi. Et li paesi de Valle d'Urba, principalmente Uvada, Erma et la Rocha de li Grimaldi quasi interamente depopulati offrivano de se medesimi spettacolo miserando. Se haveste vissuto a quei dì, avreste visto squallide le Vergini, paurosi li giovani, inconsolabili le madri ne la morte de li figli, deserte le spose de li loro mariti. Che horrore fu mai contemplare li paesi poc'anzi popolati et allegri riempersi ad un tratto de squallore, de urli et de lagrime! Addio dantie de liete giovinette, addio cantioni de pastorelle, inni de festosa vendemmia, addio! Conciossiacosachè in ogni contrata et casolare stanno o malati senza sperantia o moribondi senza conforto. Et ogni famiglia concorreva pronta a gittare lo tributo dello suo dolore: chi dava amici, chi padroni, chi mogli, chi sorelle, chi genitori, chi figli con timore di dover ancor essi seguire a la sera quei che ne lo mattino lagrimavano estinti. Or rallegratevi o genti et vogliate sapere come una terra sii rimasta salva in mezzo a si horride devastagioni. Sei tu, o Tajolo ridente, et però ti prego ricordare sempre la tua fortuna. Appena comparso lo morbo in la Curma ne la valle de Zucchi vicino al monistero de Santa Maria de Bano in la morte de Bernardino Varcio et Antonio figlio del q. Pantaleone Ferraro là suso sepulti, per esortatione de lo proprio parroco Prete Giacomo Giavino et de lo P. Frate Ambrosio de S. Andrea Scalzo Agostiniano, li Conti, li Sindici, li Consoli, Confrarie et capifamiglia de tutta la Comunitade si ragunarono ne la chiesa di S. Maria Annuntiata et ricevuti li Sagramenti de la Penitentia et de l'Eucharestia, esposto ne lo trono Jesu in Sacramento, toccate stando inginocchiati le Sagre Scripture, domandarono perdono a Nostro Signore Jesu et battendosi il petto gridavano misericordia et misericordia. Et a perpetua memoria, presente Notario et testi idonei de Uvada et de Lucedio ossia Belforte, fecero con pubblico atto voto solenne di edificare la nuova chiesa parrocchiale con entro due ancone o cappelle sagre a la Vergine de lo Rosario et a S. Carolo et di honorare ogni anno i loro Protettori con devota processione et grande solennitade in chiesa dando per questo a lo parroco pro tempore due candele et uno tallero de bono conto..".
In quei tempi la peste era un male endemico che più o meno covava sempre, favorito dalle scorrerie di soldatesche straniere, dalla mancanza di provvedimenti igienici adeguati, dalle ricorrenti carestie, dalla fame e dalla conseguente denutrizione delle popolazioni. A parte quella del secolo precedente, che aveva quasi spopolato il Milanese e che fu detta anche 'di San Carlo' per l'altruismo e la carità che questo Santo Arcivescovo aveva dedicato alla cura degli appestati, in tutto il primo trentennio del 1600 era apparsa un pò qua ed un pò là in forma molto blanda, si che i colpiti non venivano nemmeno considerati ammalati di peste, ma si consideravano vittime delle cosidette febbri putride od altre comuni malattie. Già nel 1625 e nel 1628 l'epidemia era apparsa inOvada e nei suoi dintorni e la mortalità che ne era derivata era stata più che altro attribuita alla fame ed alla carestia provocate dalla guerra che allora si combatteva fra Genova ed il Ducato di Savoia. L' anno 1630 fu il più terribile di questa calamità, particolarmente in Milano e nel suo territorio e ne abbiamo i racconti storici del Ripamonti e del Manzoni. Tagliolo, feudo imperiale spagnolo, faceva allora parte dello Stato di Milano ed è possibilissimo che i pochi casi di peste che vi si verificarono fossero di importazione lombarda. L' immunità miracolosa che questo paese godette da tale flagello l'abbiamo trovata confermata nei registri parrocchiali che abbiamo diligentemente visionati: in quell'anno 1630 i morti registrati in Tagliolo sono esattamente 29, dei quali due assassinati e due specificatamente segnati come morti di peste e questi due sono proprio il Bernardino Varcio e l'Antonio Ferraro nominati e ricordati nella vulgata sopra riportata. Era naturale che i Tagliolesi, scampati miracolosamente al passaggio di tale sventura, si votassero a quel Santo, da poco canonizzato, che era San Carlo Borromeo, milanese e che solo cinquant'anni prima aveva tanto operato in favore dei colpiti dal morbo. La devozione a San Carlo nella città e nella Diocesi di Tortona si diffuse subito, non appena l'Arcivescovo fu innalzato all'onore degli Altari. Molte chiese ed oratori furono eretti in sua venerazione in tutto il territorio diocesano e, nelle nostre zone, già al secondo decennio del 1600 era sorto l'Oratorio di San Carlo in Silvano d'Orba ed una cappella era stata a lui dedicata nella parrocchiale di S. Andrea in Basaluzzo. I Tagliolesi si erano votati per erigere una nuova chiesa che sarebbe stata intitolata a N.S. del Rosario e a San Carlo. L'opera fu incominciata coll'aggiungere i fondamenti del coro e della sacristia all' oratorio ma non pochi ostacoli sorsero, anche di natura finanziaria, ed i lavori non poterono essere proseguiti. Venne così innalzato un altare dedicato al Santo nella chiesa parrocchiale dell' Annunziata e fu disposta la solennizzazione della festività annuale con solenne processione e trasporto della statua del Santo. L'altare è quello che tuttora trovasi nella vecchia parrocchia e la statua, eseguita molto più tardi, è quella che vediamo nella parrocchiale nuova e che viene portata in processione. Don G.B.Pizzorni, che fu parroco di Tagiliolo tra la fine del 1800 ed i primi del 1900 cercò di completare l'adempimento del voto facendosi promotore, nel 1871, della costruzione della chiesetta dedicata a N.S. delle Grazie. Oggi, praticamente, la parrocchia, rinnovata, ridipinta e ristrutturata ex novo, funziona dove avrebbe dovuto sorgere il tempio che i Tagliolesi si erano votati a costruire nel lontano 1630.

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