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La parrocchia nuova di Mornese e la visita pastorale di un Vescovo nel 1751.


Articolo n. 116 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" dell'Aprile-Giugno 1989

 Parrocchia Mornese Se vogliamo avere una prima documentata notizia sulla parrocchiale antica di Mornese dobbiamo risalire al 1523 quando Mons. De Zazii, Vescovo di Tortona, fa compilare il "Catalogo delle Chiese e dei Benefici del Clero" della sua Diocesi. In tale documento tale chiesa viene dichiarata "Ecclesia Parochialis S.Sylvestru Papae e conf. loci Mornexji". Settantaquattro anni dopo e precisamente durante la visita pastorale di Mons. Maffeo Gambara del 13 giugno 1597, questa chiesa è regolarmente censita e descritta negli atti ma con il titolo di "Antica parrocchiale e Rettoria" perchè già in quel tempo erano in corso i lavori di costruzione della nuova chiesa che stava sorgendo alla sommità del paese e che è quella che noi ritroviamo oggi. Allo stato degli atti che siamo andati consultando pare che nell'autunno del 1576 ne fosse già in atto la fabbrica e, sebbene essa fosse ad uno stato primordiale, forse di area più contenuta, appena coperta ed ancora senza intonaco, l'officiatura vi avveniva già. Il fatto è che il vecchio San Silvestro, distante dal borgo, poco comodo ed anche carente di capienza per una popolazione che ormai superava le 500 anime, non rispondesse più alle necessità contingenti e che, se non del tutto abbandonato, stesse ormai cedendo le sue prerogative rettorali alla costruenda fabbrica che i mornesini avevano cominciato ad elevare sul colle prospiciente il castello. I documenti suffragano questa tesi. I Decreti della visita apostolica in Diocesi di Tortona di Mons. Ragazzoni nel 1576 non accennano per Mornese ad un San Silvestro ma, in succinto, parlano di una chiesa "Parr.le di S.Maria di Mornesio" ancora in condizione di elevazione, senza sacrestia, non ancora intonacata e disadorna. La visita del Presule in Mornese deve essere stata brevissima e forse soltanto di passaggio. Dobbiamo tenere presente che egli era incaricato della visitazione ed ispezione di ben sei diocesi e, con i tempi che correvano, le disagiate condizioni delle strade, la dipendenza totale dei trasporti e degli spostamenti dalle cavalcature, a dorso di mulo ed al massimo in lettiga, il suo compito deve essere stato veramente gravoso ed impegnativissimo. In quel breve tempo si sarà limitato a dare un'occhiata in generale, dettando poi quelle concise disposizioni che in seguito avrebbero dovuto essere ampliate e perfezionate nel particolare dagli Ordinari diocesani visitatori. Lo dimostra persino l'errata intitolazione della chiesa che, forse in quel tempo non si era ancora pensato di dedicare a San Silvestro, essendovene già una con intitolazione a quel santo. In ogni caso, il vecchio Eremo che per secoli era stato parrocchia ed erasi ridotto a lontana e scomoda località cimiteriale e dove non vi si officiava che una volta l'anno nel giorno della festività, andava via via perdendo ogni interesse per le Autorità religiose e la popolazione di Mornese, e si avviava a quell'abbandono totale che avrebbe portato alla sua completa distruzione. Cominciava così la storia della nuova parrocchiale.
 Parrocchia Mornese Diciamo subito che la monumentalità dell'edificio che vediamo noi oggi, il bello stile della facciata e l'elegante campanile sono il frutto della ristrutturazione avvenuta nella prima metà dell'800. La chiesa, in origine era molto più povera e molto meno appariscente. Esaminando i documenti dal 1600 in poi troviamo non poche descrizioni di com'era sia all'interno che all'esterno. Prima di tutto era più stretta e una piccola strada, che portava agli orti, la separava dall'edificio della Confraternita al quale invece oggi è attaccata. Questo particolare lo si può ancora rilevare dall' interno dell'oratorio, dove si vede che le tre finestre della parete sinistra sono state chiuse e murate e, dall'esterno, osservando dalla piazza, che la parete destra della parrocchia si inserisce evidentemente in quella sinistra dell'oratorio, riducendone una lesena. La piazza antistante, dove trovavasi la canonica più o meno dove c'è quella attuale, era tutta lastricata di pietre e vi si accedeva dall' odierna Via della Chiesa, allora chiamata "Contrada del Castellazzo" in ricordo dei ruderi di un'antica torre di guardia che ivi esisteva fin dai tempi delle guerre tra genovesi e alessandrini e forse di epoca anche più antica. Le descrizioni della chiesa che troviamo nel susseguirsi delle visite pastorali eseguite dai vari vescovi di Tortona a distanza di anni l'una dall'altra ci documentano sull'evoluzione strutturale che si andò svolgendo nei molti anni trascorsi e che trasformò il tempio quasi radicalmente dalla sua primitiva ed originale semplicità.
Le visite pastorali che gli Ordinari diocesani eseguivano in quei tempi erano minuziosissime ed i vescovi visitatori non soltanto si accertavano della religiosità dei fedeli, della loro moralità, dell'assiduità ai Sacramenti, del contegno e comportamento dei parroci e dei religiosi, ma spaziavano fino all'ispezione scrupolosa degli edifici, delle sacrestie, delle canoniche e dei possedimenti parrocchiali. Si preoccupavano del loro stato di mantenimento, esaminavano le suppellettili, i vasi sacri, gli altari, i quadri, gli arredi e stilavano verbali nei quali non mancavano i rimproveri, gli ammonimenti e le ingiunzioni per il miglioramento del tutto. Noi che per dovere di ricerca abbiamo avuto modo di esaminare non pochi di questi verbali, abbiamo potuto notare, pur nel rispetto delle disposizioni, la differenza di carattere e di comportamento dei singoli Ordinari i quali, essendo uomini del loro tempo ed agendo in epoche diverse, lasciavano nei documenti i caratteri della loro spiccata e diversa personalità. Tra i tanti, dal Gambara al Dossena, dall' Arese al Settala, fino al De Anduxar ed altri Vescovi che ressero la diocesi tortonese dalla fine del 1500 fino alla vigilia della Rivoluzione Francese quello che, a nostro avviso, troviamo più preciso, diligente, accurato e scrupoloso nella redazione dei verbali e nell'enunciazione delle sue direttive è sicuramente Mons. De Anduxar.
 Parrocchia Mornese Giuseppe Luigi De Andujar (o De Anduxar come troviamo nei documenti ufficiali) era spagnolo per via del padre ed italiano per via materna. Nato il 17 gennaio 1693 nel forte di Fuentes nei pressi di Colico (suo padre ne era il governatore) indossò giovanissimo l'abito bianco e nero dei figli di San Domenico. Di ottima erudizione teologica e canonica, gli furono affidati importanti uffici direttivi nel suo Ordine e presso la Cancelleria di Benedetto XIII che lo nominò Inquisitore Generale a Bologna. Di rigidissimi principi, ebbe non poche incomprensioni col Lambertini, allora Cardinale Arcivescovo di quella città. Nel maggio del 1737 Clemente XII lo creò Vescovo di Bobbio dove celebrò due Sinodi, progettò importanti lavori sul Trebbia e lasciò ragguardevoli manoscritti conservati presso l'Archivio capitolare di Vigevano. Fu Commendatore dell' Abbazia di Sant'Alberto di Budrio. Destinato nel 1743, a cinquant'anni, alla Cattedra di Tortona, manifestò subito fermezza di carattere nel richiamare clero e diocesani al rispetto dell'ordine e della disciplina con editti e lettere pastorali. Buon politico, fu sovente consultato dai Sovrani Sabaudi Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III. Ebbe gravi vertenze con la Repubblica di Genova e con i Doria per le parrocchie di sua pertinenza che si trovavano soggette a quelle giurisdizioni. Quando, durante la guerra di successione d'Austria nel 1745, il presidio piemontese in Tortona, assediato dagli Spagnoli, capitolò a condizioni mitigate da lui e fu rimproverato dal Comandante Spagnolo di favorire l'Austria e Savoia anzichè la Spagna sua terra per ceppo paterno, rispose di gloriarsi della sua origine antica ma di compiacersi di essere nato in Italia, da madre italiana e di sentirsi lui stesso veramente italiano. Soppresse il Monastero femminile di Viguzzolo e col reddito accresciuto di suoi beni personali fondò un'opera pia che raccoglieva i sacerdoti anziani ed inabili. Dopo un episcopato attivo, vigile e fecondo di quasi 40 anni, si spense a 89 anni il 3 dicembre 1782 in Tortona, dove riposa in Cattedrale.
 Parrocchia Mornese Certamente il nostro vescovo sapeva scegliere anche bene i suoi collaboratori e, fra questi, Don Giovanni Battista Baccigalupi, procancelliere diocesano, che di solito seguiva il presule nei suoi itinerari e ne redigeva gli atti. Di questo sacerdote sappiamo ben poco. Dal cognome ci sembra di schiatta genovese o ligure. Era indubbiamente un uomo di vasta cultura, un letterato ed un buon latinista. Ce lo dimostrano i suoi strumenti e le sue testimonianze scritte che restano tuttora negli Archivi Capitolari. Interessantissima per la vivezza d'esposizione, per la meticolosa descrizione geotopografica dei luoghi e per la conoscenza degli usi, costumi e folklore popolare di quel tempo, è la lunga relazione in lingua latina della visita pastorale fatta a Mornese da Mons. De Anduxar dal 19 al 21 luglio 1751 che ci ha lasciato il nostro procancelliere diocesano. Come un giudizioso cronista, nel suo forbito latino, ci racconta i tre giorni trascorsi a Mornese con una chiarezza e vivacità degna di un giornalista inviato speciale dei nostri tempi. Ne diamo un esempio. Mons. De Anduxar con tutto il suo seguito cdi cancellieri, segretari, canonici e valletti, parte nella mattinata del 19 luglio 1751 da Montaldeo, dove ha terminato la visita pastorale, per portarsi in Mornese. Un famulo e due servitori con tre mule cariche di bagaglio hanno già preceduto la comitiva fin dalle prime luci dell'alba per preparare gli alloggi ed avvisare per il ricevimento degli illustri ospiti. I Prelati, dovendo viaggiare a cavallo o a dorso di mulo, non indossano la veste talare, ma quella da viaggio più comoda ed adatta alla bisogna. Questa cavalcata variopinta si snoda in fila indiana per colline e valli sull' impervia mulattiera che porta da Montaldeo a Mornese. E il nostro attento procancelliere osserva ed annota tutto con estrema diligenza: il paesaggio ampio e solenne, lo svolgersi di boschi scuri, il guado di piccoli torrenti, la direzione dello spirar dei venti, l'elencazione dei paesi e dei castelli che si scorgono lontani su erti ed assolati colli, il numero di passi percorsi e persino il suono lontano ed attutito dei campanacci di greggi al pascolo. Ed eccoli in vista di Mornese: "Ad huc post centum quinquaginta circiter passus semper prope verticem montis et semper ad ortum, ut supra, invenitur a dextris venientium Mornisium Oratorium S.Sylvestri supra quindamcumulum elevatum per triginta circiter passus geometricos supra viam.". In questo luogo avviene il primo incontro con la Feudataria del luogo: 'D.nae Marchionissae de Marinis hujus loci Vassallae'. Dopo brevi convenevoli di rito, proseguono verso il paese. All'altezza del piccolo Oratorio di San Rocco sono ad attenderli il clero paesano al completo e la popolazione tutta "...expectabat Clerus hujus ecclesiae cun eximis sodalium numero.". I visitatori scendono da cavallo, depongono schinieri e speroni e a piedi, processionalmente cantando litanie, inni e Te Deum, proseguono tra archi di fiori e balconi parati a festa ed affollati fino alla porta della parrocchia dove, indossati i paramenti sacri ed osservati i debiti cerimoniali, iniziano le funzioni.
 Parrocchia Mornese Abbiamo voluto sintetizzare in parte questo inizio di cronaca per dare un'idea al lettore moderno delle costumanze di quel tempo. Attenendoci sempre agli atti delle visite possiamo descrivere la chiesa com'era in quel tempo. La facciata era semplice, con frontone ed arco. Una grande porta a due ante e con portina più piccola, incorporata con antiporta interna, erano il solo ingresso al tempio. Sopra la porta vi era dipinta in grande l'immagine del titolare San Silvestro Papa. Sull'apice di frontone una croce dei ferro e sulla sinistra si alzava il campanile, l'ingresso del quale era dentro la chiesa. L' interno 'costrutto con buona architettura' aveva quattro cappelle laterali, tutte a volta. Il pavimento dalla porta fino al presbiterio era coperto di quadrangoli di terracotta. Nel presbiterio, invece era formato di ottangoli di pietra di Lavagna scura con al centro quadretti di marmo bianco. Quest'ultimo tratto di pavimento era stato costruito a spese della chiesa nel 1738 e ancor oggi resta ben visibile e conservata una parte nel coro, subito dietro l'altare. L'altare maggiore, di marmo di Carrara, che è tuttora lo stesso, era stato donato alla chiesa dalla Marchesa Eleonora Serra Spinola, feudataria del paese, nel 1738 e così la balaustrata del presbiterio. Il contraltare porta scolpita l'immagine di San Silvestro Papa in un circolo dorato. Gli stemmi di casa Serra sono ancora oggi visibili nei due pilastrini di ingresso della balaustrata e le insegne marchionali dei feudatari sul petto degli angeli in marmo che sostengono dai due lati l'altare. La navata era sgombra, senza banchi, salvo un inginocchiatoio di legno lavorato posto sotto il presbiterio, in cornu evangelii e riservato "alle Serenissime Feudatarie". Gli uomini stavano in chiesa nella parte superiore verso l'altare separati dalle donne che avevano il loro posto nella parte inferiore verso la porta (anche nel cimitero coperto attiguo alla chiesa le sepolture delle donne erano separate da quelle degli uomini). Il pulpito, monumentale, in legno pregiato, ottimamente scolpito e lavorato, con il suo baldacchino, dominava la navata dall'alto della colonna che lo sosteneva e che portava inserita la scala a chiocciola per salirvi. Vero capolavoro dell'arte ligneo scultorea del tempo, con le sue statue e i suoi fregi, le sue aquile, questo pergamo merita di essere ammirato e gelosamente conservato con tutte le cure e le attenzioni possibili. Il coro non aveva ancora gli scanni che ci sono oggi e che vi furono sistemati in epoca posteriore. Nel presbiterio vi era una finestrella dove era conservata la reliquia del legno della Croce, rinchiusa in un ostensorio argentato con raggi dorati; questa reliquia veniva esposta alla venerazione del popolo nella festività della S.Croce in Maggio e, dopo il Vespero, portata processionalmente in giro per il paese, accompagnata dal clero, dai Confratelli dell'Oratorio e dal popolo per la benedizione 'a quattro venti la campagna per la conservazione dei frutti pendenti'. Le cappelle laterali erano quattro e ospitavano ognuna un altare: N.S. del Rosario e del Suffragio sull parte sinistra. gli altri, San Nicola da Tolentino e S.Antonio da Padova sulla destra. Sebbene la disposizione di questi altari, alla destra ed alla sinistra dell' Altare maggiore, sia rimasta immutata, la loro collocazione statica è stata però notevolmente innovata nel corso dei lavori dell'ampliamento e ristrutturazione della chiesa eseguiti nel 1800. La statua della Madonna del Rosario e che ancora oggi noi ammiriamo 'eccellentemente scolpita', era posta nella nicchia sopra l'altare ed era chiusa da una vetrata con piombi dorati e velo di seta color celeste. Ai lati erano due statue stuccate di minor pregio artistico, una di S. Caterina da Siena e l'altra di San Domenico. Il quadro nella cappella del suffragio, e che vi è ancora, ci viene descritto "di misura grande e alta, è dipinto in tela e di buon pennello". Sul frontale di questa cappella, che era appositamente officiata per il suffragio dei defunti, vi erano affrescati due angeli che tenevano un cartiglio con la scritta "Beati Mortui qui in Domino moriuntur". Sull'altro lato della chiesa, la cappella dedicata a S. Nicola da Tolentino, anzichè la statua odierna, ospitava un grande quadro del Santo con cornice dorata. In quella intitolata a S: Antonio vi era una statua del Santo. La chiesa era illuminata da otto finestre, tutte vetrate e con grata di ferro, tre sotto la volta del coro non molto ampie e due grandi nella parete sottostante la volta. Altre tre finestre,consimili a quelle del coro, si trovavano alte sulla facciata. Qualche cappella aveva, per sua illuminazione, piccole finestre ogivali. Il campanile in quel tempo non era in soddisfacenti condizioni statiche, particolarmente nella cupola e portava due campane, una grossa ed una piccola. Il tetto risentiva "delli impetuosi venti a quali in quest'altezza il sito è soggetto" e la manutenzione per la tenuta dei coppi era costante. I beni dotali della Parrocchia erano costituiti dalla casa parrocchiale o canonica, da una quindicina di appezzamenti di terreno campivo, arativo e vignativo, due castagneti, un pezzo di terra prativa e qualche gerbido. Tutti questi immobili erano di provenienza donativa o testamentaria. Tutte le famiglie o fuochi, inoltre, erano tenuti a versare al parroco una quarta di frumento nella misura locale nel mese di agosto, più le primizie che costituivano un donativo antico e simbolico dei primi frutti della terra. I compensi per le funzioni completavano le rendite.
 Parrocchia Mornese Il vento rivoluzionario che verrà di Francia alla fine del secolo farà sentire le sue conseguenze ed altre spogliazioni, altre soppressioni, altri guai verranno a breve scadenza dal regime napoleonico e dallo smembramento della Diocesi tortonese voluto da Napoleone nel 1803, che sballotterà la parrocchia per un pò di tempo sotto Alessandria e poi sotto Acqui alla qual diocesi, finalmente, rimarrà quando, nel 1817, quella di Tortona sarà ripristinata. La fine dell'avventura napoleonica, con la restaurazione, porterà un pò di pace e di serenità. Ed è proprio negli anni che seguono che il popolo mornesino penserà di rendere più ampia e più bella la sua chiesa parrocchiale. I lavori di rifacimento e di ristrutturazione e la monumentalittà della facciata risalgono appunto a quel periodo e dureranno non pochi anni. Il parroco di allora, Don Lorenzo Ghio, ne sarà uno zelante sostenitore, come ci ricorda l'iscrizione a lui dedicata nella stessa chiesa. Nel 1873 il tempio rinnovato sarà solennemente inaugurato e benedetto da Mons. Giuseppe Maria Sciandra, Vescovo di Acqui. Una lapide su un pilastro della chiesa ricorda l'avvenimento. Negli anni che seguiranno e fino ad oggi si continuerà a migliorare questa parrocchia con stucchi, dorature, ornamenti e la bella decorazione del soffitto sarà attuata dal parroco Don Ernesto Voglino di Rivalta Bormida (1867-1947) che in questa chiesa riposa nella cappella dedicata a San Nicola da Tolentino.

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