Benvenuti su www.nonsoloovada.it!

Ricordi di prigionia - I più poveri, i più male in arnese.


Articolo n. 86 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Marzo-Giugno 1984

 Ricordi di Prigionia II Il giovane Kronprinz ci guardava come costernato dalla sommità dell'ampio scalone. Alto ed austero nella sua scintillante uniforme rosso-nera, sembrava che ancora attendesse chissà quali dignitari o personaggi della sua corte per impartire ordini o dare disposizioni. Un colpo di Parabellum, tiratogli probabilmente da qualche soldato dal basso dello scalone, l'aveva centrato in piena fronte ed il buco nero che aveva lasciato la palla era tutto irradiato da una raggiera di piccole incrinature che, sul vetro del quadro, si prolungavano fino alla cornice. Stanchi, impolverati, gli abiti a brandelli, con vecchi stivaletti chiodati ai piedi, F. ed io salivamo quello scalone. Un soldato ci conduceva; un asiatico, piccolo e tarchiato, intabarrato nell' ampio cappotto, con in capo il caratteristico berretto di pelo sul quale spiccava una vistosa stella rossa, ci precedeva fumando una grossa sigaretta di Makorka arrotolata con carta da giornale. Noi, che da tempo non si fumava più, si seguiva la scia di quel fumo come un affamato può seguire un buon odorino proveniente da un luculliano pasticcio. All'altezza del ritratto del Principe il militare si arrestò, si voltò, e indirizzandosi a noi ci disse una lunga frase nella sua lingua in cui ultime ed uniche parole che io potei comprendere furono, per quanto mi riuscì di tradurre, "Non sono buoni i Tedeschi.". Al nostro cenno affermativo di comprensione un largo sorriso espressivo gli illuminò il volto giallognolo e, con gesto tutto particolare, ci fece dono della sua cicca che noi, voluttuosamente, finimmo di consumare.
Fummo introdotti in un vasto salone che funzionava da ufficio dove un ufficiale, tramite un interprete che traduceva le sue domande in francese, ci chiese generalità, nazionalità, grado ecc.. Il tutto veniva regolarmente segnato su un grosso registro dove erano già stati inseriti un centinaio di nomi di altri prigionieri di diverse nazionalità, in maggioranza francesi e belgi, liberati come noi dalla veloce avanzata delle truppe della vittoriosa Armata Rossa. Poi sempre lo stesso soldato che ci aveva accompagnati, ci condusse ad una zingaresca cucina installata sotto un portico del cortile, dove ci venne distribuita una gustosa ed abbondante zuppa confezionata con del maiale e molto pepata. Infine, in un vasto camerone dove erano già sistemati altri, preparammo alla meglio il nostro giaciglio.
Terminava così un lungo periodo di prigionia tedesca. I Russi durante la loro travolgente avanzata sull' Oder venivano man mano liberando tutti i militari prigionieri e gli stranieri internati della Germania nazista. Ormai, se non si poteva sperare di rientrare subito in Patria, ci era possibile almeno attendere l'ora del ritorno senza più l'incubo giornaliero della fame, delle privazioni e delle percosse che quotidianamente si subivano nei campi di concentramento. Nel vasto camerone questa speranza si leggeva sul volto di tutti gli ospiti del castello di Oels (N.d.C.: attuale Olesnica, in Polonia) e veniva manifestata da loro in maniera diversa a seconda della nazionalità: i Francesi ed i Belgi, il gruppo più numeroso e rumoroso, parlavano ad alta voce dei loro cinque anni di'captivitée', si raccontavano a vicenda le loro peripezie passate, parlavano con nostalgia delle loro case lontane, della famiglia, facevano progetti per l'avvenire e bevevano grappa passandosi la bottiglia l'un l'altro. Questa grappa l'avevano certo distillata clandestinamente quando lavoravano la terra nelle grandi fattorie tedesche e gelosamente conservata per quell'occasione. Gli Inglesi e gli Slavi erano più riservati e silenziosi. Mangiavano biscotti e carne in scatola, rimanenza dei pacchi della Croce Rossa, e discorrevano piano fra di loro. Dalle espressioni dei loro volti si capiva che parlavano dei loro affetti.
Noi, unici due italiani, i più poveri, i più male in arnese, ci eravamo messi in un angolo, in disparte. Non si parlava; si pensava. I nostri pensieri erano fatti di nostalgia e di speranza. Si pensava alla nostra Italia lontana che ancora combatteva per scacciare l'oppressore tedesco, ci si figurava l'immagine dei nostri cari lontani dei quali da tanto tempo non si avevano più notizie e si sperava di ritornare presto a riabbracciarli.
La voce rude di un soldato che entrava a fare spegnere i lumi per l'oscuramento ci scosse dalle nostre meditazioni e mise termine alla rumorosa chiacchierata dei francesi. Nel grande camerone, con l'oscurità, tutto si fece silenzio. Le varie voci si spensero e tutti cercarono di accomodarsi alla meglio per passare quella prima notte di liberazione. Dall' esterno si udiva il ronzio di un velivolo che, altissimo, sorvolava la città e, lontano, il cannone che martellava le ultime tenaci difese di Breslavia brontolava incessantemente. Sembrava il rumore dell'allontanarsi di un temporale. E, come un temporale, si allontanò la guerra. Si allontanava, ma non era ancora finita.

|
|
|