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Angelo Vincenzo Dania tra luci ed ombre del suo tempo (parte prima).


Articolo n. 63 - Pubblicato su "La Provincia di Alessandria" del Luglio 1981

 Angelo Vincenzo Dania "Da civilissima famiglia nel 1744 in Ovada nacque Angelo Vincenzo Dania; alto, ben tarchiato e bello, ma leggermente strabico.". Così, e con tali precise parole, il Luigi Grillo, nei suoi 'Elogi di Liguri illustri', ci presenta Mons. Dania, domenicano e Vescovo insigne di Albenga durante il periodo napoleonico. Il Grillo, ovadese pure lui, commette però un errore dandoci il vescovo per nato in Ovada. Errore d'altra parte ripetuto anche dal Casalis e da altri che, per la mole dei lavori, non ebbero nè il tempo nè la possibilità di ricercarne l'atto di battesimo e si basarono su quanto era già stato scritto. Per la verità, Mons. Dania nacque in Voltri il 13 settembre del 1744 e la registrazione del suo battesimo, che avvenne in casa, trovasi nei registri della Parrocchia dei SS. Nicolò ed Erasmo di Voltri a pag. 18 nel registro 'Baptismata', che va dal 1741 al 1753.
Con tutta probabilità il neonato dovette essere battezzato d'urgenza, ed a ciò provvide la signora Catterina, vedova del Signor Francesco Vigo, che era stata forse l'assistente al parto o la levatrice. Padrino e madrina furono il signor Brizio Rovereto fu Benedetto e Theodora, moglie di Giovanni Rovereto, tutti di Voltri. A denunciarne la nascita ed a chiederne la trascrizione sugli Atti Parrocchiali fu uno zio: Antonio Domenico Dania. Queste precisazioni si ricavano tutte dal sopracitato registro parrocchiale.
Per quanto riguarda il ritratto fisico che ne fa il Grillo, esso si avvicina di moltissimo alla realtà, quasi che l'autore avesse conosciuto personalmente il vescovo (cosa assai improbabile in quanto lo storico genovese era di lui molto più giovane e, quando il Dania morì, lo scrittore aveva appena sette anni). In ogni caso, gli unici due quadri che sono pervenuti fino a noi e che ci tramandano le vere fattezze del Dania sono: quello esistente nell'Aula Magna del Seminario Vescovile di Albenga e quello, a lui attribuito, che è nel palazzo scolopico di Ovada. Il primo è un ritratto ufficiale, fatto di maniera, che ci presenta il presule in mozzetta, croce pettorale ed insegne della Legion d'Onore (1); il secondo, invece, di ispirazione allegorica, lo ritrae leggermente più giovane, in abito domenicano, con piviale, mitria e pastorale, nell'atto di beneficare i poveri e gli indigenti della sua città e diocesi. In entrambi i quadri, che certamente il Grillo vide, la figura è quella di un bell'uomo, alto, di buona e sana complessione, il leggero strabismo del quale, quasi, non si nota.
 Angelo Vincenzo Dania La discordanza sul luogo di nascita che troviamo nei diversi autori che hanno scritto di lui pensiamo sia dovuta all'interpretazione della lapide, dettata in quel tempo dal Prof. Gagliuffi, esistente in Duomo ad Albenga e che senza altre precisazioni indica la patria del vescovo con un laconico 'domo Ovada'.
Se pur nato a Voltri, Angelo Vincenzo Dania era figlio di genitori ovadesi discendenti di un'antica famiglia che aveva messo radici in Ovada dopo il 1619. I Dania erano dediti al lucroso commercio delle sete e la loro posizione sociale era abbastanza eminente da farli imparentare con le più notabili famiglie ovadesi quali gli Oddini, i Pesci, i Beraldi ed altre.
Nasce dunque il futuro vescovo in Voltri durante un periodo in cui i suoi genitori ovadesi sono colà temporaneamente trasferiti per ragioni dei loro traffici commerciali. Il suo nome di battesimo sarà Andrea Maria, che cambierà poi in quello di religione. Rientrata la famiglia in Ovada, il piccolo Andrea compie i primi studi nelle Scuole Domenicane che già da oltre un secolo erano fiorenti nel nostro borgo. Rivelatasi in lui la vocazione religiosa, li continuerà nelle Superiori, sempre domenicane, in Genova, completandoli con Filosofia e Teologia in Bologna, dove veste l'abito dei Predicatori ed assume il nuovo nome di Angelo Vincenzo. Coltissimo, sarà dottore e maestro tra i suoi, indi trasferito a Genova verrà ascritto al Collegio dei Dottori di S. Tommaso d'Aquino, Parroco di S.Maria di Castello e Vicario Generale del S. Uffizio dell' Inquisizione. Facondo e robustissimo oratore, è ricercato per tutti i principali pulpiti di Genova, Torino, Napoli ed al Vaticano. Ma dove meglio si illuminerà la sua figura sarà l'immensa carità che, già in Genova, lo distinguerà, particolarmente nel delicato Ufficio di Vicario Generale dell'Inquisizione. Numerose sono le testimonianze di questa sua attività consolatrice dei miseri che scontavano le loro pene nelle carceri inquisitoriali e questo suo impegno nel soccorrere questi infelici lo farà soprannominare in Genova 'l'amabile domenicano'(2). La sua dotta preparazione culturale e teologica fa si che le sue prediche quaresimali riempiano le chiese di attenti ed ammirati ascoltatori e le sue 'Lezioni scritturali storico-critico-morali sul primo e secondo libro dei Maccabei', che aveva letto in Modena, vengono pubblicate in Genova per i tipi del Frugoni e, nel 1798, inizierà per i tipi del Franchelli un primo libro sulla storia dei liguri. Il pio e dotto Dania acquista così una personalità così spiccata che lo renderà popolare ed amato non soltanto nella popolazione ma anche nei membri del Governo, che nel turbinoso periodo della Repubblica Democratica Ligure ricorreranno non poche volte a lui per consiglio e suggerimenti. Quando, nel 1802, si renderà vacante l'importante sede vescovile di Albenga, sarà proprio il Governo Ligure che proporrà il nostro domenicano all'attenzione del Papa Pio VII per la nomina alla cattedra ingauna. Consacrato il 21 dicembre 1802, prende canonico possesso il 15 febbraio dell'anno successivo ed il 10 marzo fa il suo ingresso solenne in Diocesi. Il periodo dell'episcopato di Mons. Dania in Albenga coincise con la repentina e luminosa ascesa dell'astro napoleonico e fu certamente difficile per tutte le conseguenze politiche, amministrative ed anche religiose che ne derivarono. I biografi del vescovo sono discordi nel giudicare il suo operato durante una così discussa e delicata epoca storica. Il Raimondi, che scrisse molti anni dopo il Semeria ed il Rossi, forse per giustificare l'ammirazione che aveva il vescovo verso il condottiero, dice che Mons. Dania fu compagno di scuola di Napoleone. Affermazione che ci sembra alquanto campata in aria, perchè tra i due c'erano oltre vent'anni di differenza ed è documentato che il Dania compì i suoi studi in Genova e Bologna in Istituti e seminari confessionali dove Napoleone non fu mai (3). E' più probabile che il Dania, già personalità di rilievo in Genova durante il periodo democratico, sia stato presentato a Napoleone quando questi sostò brevemente in città, e di qui sia nata quella simpatia che fu poi alla base di alcuni atti compiuti in seguito dal vescovo e che i suoi denigratori gli imputarono come gravi colpevolezze di adulazione verso l' Imperatore.
 Angelo Vincenzo Dania Indipendentemente da tutto ciò, pensiamo (e su questo siamo sostenuti dal giudizio del Semeria e di altri) che il comportamento del Dania nei riguardi di Bonaparte sia stato diplomaticamente dettato dalla necessità di salvaguardare la Diocesi dalla soppressione e da altri castighi che Napoleone non avrebbe certamente risparmiato ad un vescovo che gli si fosse ribellato. Dobbiamo inoltre tenere presente che dal 1806 la Liguria era stata aggregata alla Francia ed all' Impero e, come tale, doveva subirne le leggi ed i regolamenti anche in materia di religione. Pertanto, le difficoltà che il Dania dovette affrontare non furono nè poche nè facili da superare e, se alla restaurazione seguita al crollo di Napoleone egli potè consegnare nelle mani di Pio VII la sua Diocesi intatta e funzionante, questo fu possibile grazie al suo sottile gioco diplomatico che dal Rossi gli viene imputato come ambiguità e servilismo verso il potente (4). D'altronde, già all'inizio del suo episcopato, nel 1803, il Dania dovette inchinarsi alla volontà del Papa, che gli aveva chiesto di staccare dalla sua diocesi le parrocchie di Cerisola, Nasino, Alto e Caprauna affinchè fossero aggregate alla diocesi di Mondovì, che era sotto i Savoia, cosa che aveva creato un certo malumore negli ambienti più conservatori, ma che poi era finita lì senza destare ulteriori recriminazioni.
Intraprese la visita pastorale alle 280 parrocchie della diocesi nel giugno del 1803 e la percorse nei luoghi più impervi e difficili in lettiga e a dorso di mulo, avendo così modo di conoscere bene tutti i suoi pastori e le popolazioni. A tutti i suoi parroci scriveva personalmente lodando, ammonendo o minacciando a seconda delle circostanze. Conoscendo tutti i suoi doveri pastorali, andò in Diocesi pieno di zelo per adempierli e, sapendo degli abusi sparsi per le intemperanze della passata rivoluzione, cercò di ripararli con forza temperata dalla soavità e dalla buona grazia. Uscito dall' ordine dei Predicatori e perfettissimo predicatore egli stesso, animò vivamente i sacerdoti della congregazione diocesana ad agire per l'istruzione e la santificazione dei popoli loro affidati. Favorì al massimo le missioni diocesane mandando i suoi preti dove le popolazioni li richiedevano e, più ancora, dove i parroci li ricusavano, pensando da ciò che ivi appunto maggiore fosse il bisogno. Per quanto riguarda le attenzioni per il Seminario, le testimonianze sono più che eloquenti: 'Spronava tutti perchè la formazione degli studenti fosse perfetta, voleva conoscerli personalmente, uno per uno, per ponderarne la saviezza ed il progresso nelle scienze, correggeva con forza ed accarezzava secondo il merito di tutti e sempre li amava da padre.'. Si affollavano i poveri e gli indigenti alla sua residenza ed egli largamente li soccorreva. La sua carità era infinita e tale che si spogliava di ogni cosa superflua per soccorrere i bisognosi che a lui ricorrevano. Il padre scolopio Cazzulini, che era di Albenga, racconta che questo vescovo tutto carità, impegnava persino il suo orologio d'oro per fare l'elemosina e che trovavasi talvolta ridotto letteralmente al verde per la sua pietà e misericordia verso i poveri.

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NOTE del curatore:

1) E' cosa alquanto inusuale trovare religiosi insigniti della Legion d'Honneur, la massima onorificenza francese e, soprattutto, è praticamente impossibile trovare religiosi insigniti di tali onorificenze da Napoleone il quale, si sa, in materia di religione aveva idee non proprio 'ortodosse' (arrivò infatti al punto di abolire interi ordini ecclesiastici); la spiegazione di questo strano fatto la troveremo più avanti nella trattazione.
2) Col senno di poi, si potrebbe anche dire che meglio sarebbe stato se egli, come Vicario Generale dell' Inquisizione, i miseri, invece di consolarli dopo, avesse trovato il modo, prima, di non farli finire in galera. D'altra parte bisogna anche tenere conto del fatto che se così avesse agito, molto probabilmente nel giro di qualche giorno, in galera ci sarebbe finito lui...
3) Infatti, l'unica scuola che Napoleone frequentò in territorio 'virtuale' italico, fu l'asilo delle suore ad Ajaccio, poi fu educato, sempre in Corsica, da un abate di nome Recco e poi, a dieci anni, si trasferì in Francia, a Saint Cyr e poi a Brienne. Pertanto, nessuna neppur lontanissima frequentazione scolastica con il Dania.
4) Erano altri tempi, ma, sinceramente, non pensiamo che al Papa Pio VII, che con il famoso "Non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo!' si era opposto a Napoleone, venendo così catturato e preso prigioniero, abbia fatto molto piacere sapere che un suo ministro, invece, era sceso a patti con il 'nemico'...

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