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L'Abbazia di Tiglieto testimonianza di passata grandezza.


Articolo n. 58 - Pubblicato su "Piemonte Vivo" dell'Aprile 1980

 Abbazia Tiglieto Nell'anno 1110 il Beato Pietro dei Cistercensi fondò sull'Appennino ligure piemontese e con il titolo di S.Maria di Tiglieto all' Olba, una piccola chiesa con annesso chiostro per accogliervi un'esigua comunità di monaci di quella regola. La località prescelta si presentava adattissima agli scopi che i cistercensi si prefiggevano con il loro motto 'Ora et Labora': uno spazioso fondovalle ubertoso ferace, circondato di boschi, ricco di acque, dovizioso di quiete, di silenzio e di pace. Situato nella parte più occidentale del 'Bosco di Ovada', comodo per le comunicazioni sia con il Vescovato di Acqui che con quello di Genova, sia con gli sbocchi che portavano alla pianura padana; posto in una zona intersecata e collegata da innumerevoli sentieri e piste con tutti i centri più importanti dei dintorni, il monastero, che era la quattordicesima fondazione cistercense nelle nostre zone, si dimostrava già fino dalla sua primitiva edificazione come un centro di fede e di lavoro che, nei due secoli seguenti, sarebbe assurto a quella notorietà che lo distinse come uno dei più ragguardevoli del territorio. San Bernardo di Chiaravalle, in quel tempo in Italia per svolgere un'intensa attività di predicazione, di proselitismo e fondazione di nuovi monasteri, visse quasi certamente nel piccolo chiostro di 'Teletum' e vi si soffermò non poche volte durante le sue peregrinazioni. Non abbiamo documentazioni di questo suo soggiorno, che ci viene però confermato dalla tradizione popolare che è tuttoggi vivissima. Dobbiamo però, a questo proposito, non sottovalutare la circostanza che Bernardo rifiutò per ben due volte, nel 1117 e nel 1123, la dignità episcopale di Genova offertagli dal popolo di quella città, di dove si allontanò "...attese le grandi preoccupazioni che aveva per la Chiesa...".  Abbazia Tiglieto Altrettanto aveva fatto per Milano. Certamente in questi suoi frequenti spostamenti avrà sostato e fatto tappa in questo riposante soggiorno posto geograficamente a metà strada tra le due grandi città e che era poi una dipendenza della sua Regola. L'infaticabile monaco, poi, doveva avere frequentissimi contatti con le Corti Medievali dei Marchesi del Bosco, di Gavi, di Ponzone e di Saluzzo, che erano ricchissimi possessori di immensi latifondi. Su questi grandi feudatari, già di per se stessi religiosi e pii, dovette certamente influire la parola faconda, trascinatrice e convincente del futuro santo, perchè furono proprio questi Signori feudali a dotare la comunità religiosa della nascente abbazia di vastissime possessioni che ne formarono poi l'immenso patrimonio immobiliare.
E' proprio su questi vasti territori, inizialmente gerbidi, incolti, boschivi e paludosi, che i monaci cistercensi della Badia di Tiglieto eserciteranno la loro benefica influenza nel campo agricolo, perchè diffonderanno nella regione le pratiche agricole dell'irrigazione, della bonifica, del disboscamento e della coltura intensiva.  Abbazia Tiglieto Essi furono benemeriti anche nel campo della cultura (sebbene in un primo tempo essa venisse considerata 'vana e nociva'), raccogliendo nella biblioteca abbaziale antichi manoscritti, documenti ed incunaboli rari che, purtroppo, nei secoli seguenti di decadenza e particolarmente durante la Rivoluzione francese, andarono completamente distrutti e dispersi.
Nel 1120, soltanto dieci anni dopo la primitiva costruzione, si inizia un ampliamento della chiesa che, negli antichi documenti, viene denominata di 'Civitacula in Tiglieto'. Nel 1127, il 14 di gennaio, il Marchese di Gavi dona al monastero un suo bosco situato in località 'Rovereto' tra Gavi e Capriata. Ma è nel 1131, il 27 di agosto, che il Marchese Anselmo del Bosco, di stirpe aleramica, fa la grande donazione con un documento stilato all'interno del monastero stesso e rogito dal notaio palatino Anfossio: documento che può, a tutti gli effetti, considerarsi come la vera 'charta' di fondazione dell' Abbazia di Tiglieto. I possedimenti che il Marchese Anselmo dichiara di sua proprietà e che gli pervengono per eredità aleramica, vengono così descritti nell'atto di donazione: "Un bosco che si chiama Teletum con tutta la sua area. Tutti i monti dai quali le acque scendono verso il monastero. Un pezzo di terra arabile. Una vigna con tutta la sua area e le sue case e gli edifici che ci sono e si trovano in tali luoghi ed anche il fondo di Bosco con i suoi territori nel luogo cosidetto di Ronco, che per misura e seminatura può calcolarsi di circa ottanta moggia.". Inoltre dona "...il suo Masum sito in luogo detto Campale che è retto, condotto e lavorato da Bernardo e da Pietro e Gregorio fratelli massari e uomini liberi.". Anselmo, marchese del Bosco, sigla la munifica donazione con il semplice segno di croce: "Ego Anselmus Marchio signum crucis feci", perchè, pur essendo uno dei più eminenti proprietari terrieri e gran signore, come tanti altri suoi colleghi e contemporanei, non sapeva scrivere. Al giorno d'oggi, e basandoci sulla descrizione dei luoghi citati, si può calcolare che la donazione comprendeva tutto il territorio che attualmente e geograficamente è ricoperto dal moderno Comune di Tiglieto, con in più tutta la zona di Campale in Comune di Molare, il che non è poco. Nel documento la chiesa viene nominata come "Ecclesia S. Mariae et S.Crucis, idest Monasterium situm loco Tilleti" con l'aggiunta dell' intitolazione alla Santa Croce, che nei primitivi documenti non si riscontra.  Abbazia Tiglieto Abbiamo inoltre un preciso riferimento a tre persone che sono le uniche menzionate nel testo, oltre che i firmatari e testimoni. Non vi è neppure nominato l' Abate che certamente c'era, ma vi si cita un Bernardo che regge e conduce il 'masum' di Campale. Noi potremmo fare delle illazioni su questa precisa indicazione di un Bernardo cercando di identificarlo con il monaco francese, ma ci sembra che la data sia piuttosto tarda e non ce la sentiamo di addentrarci in supposizioni che potrebbero essere errate. Qualche storico veramente qualificato potrebbe con maggiore competenza e meglio di noi analizzare il problema. Poco meno di un anno dopo, il 28 luglio del 1132, con privilegio datato Brescia ed indirizzato all' Abate Opizzone ("Dilecto filio Opizzoni Abbati Monasterii B. Mariae Virginis et S. Crucis de Civitacula") il Papa Innocenzo II, a seguito delle preghiere e postulazioni ("precibus inclinati, eius justis postulationibus...") a lui dirette dall' Abate stesso, dal Marchese Anselmo donatore e dal Vescovo di Acqui, Azzone del Bosco, fratello del Marchese Anselmo, conferma la donazione, che viene estesa all'Abate sedente ed ai suoi regolari successori in perpetuo. La Regola dovrà essere quella di San Benedetto, nella forma della religione dei frati cistercensi. L'Abbazia sarà 'nullius', pertanto esente dalla giurisdizione vescovile; al Vescovo di Acqui verranno però salvaguardati i suoi eventuali diritti e gli si dovrà la debita riverenza. Nel documento papale, oltrechè la conferma dei beni donati vengono specificati tutti i diritti dell' Abate e dei monaci nella piena possessione di tali beni, che non potranno essere alienati, trasferiti, venduti nè molestati da nessuna piccola o grande autorità. La 'piccolissima città' diventa così un centro di vita spirituale e lavorativa.  Abbazia Tiglieto Schiere di proseliti,provenienti da tutte le zone circostanti accorreranno a questo rifugio per raccogliersi in preghiera o per cooperare con il loro lavoro ad esaltarne l'importanza. Un vasto agglomerato urbano andrà circondando l' Abbazia, formando così un paese vero e proprio, con tutte le sue attività lavorative necessarie alla vita comunitaria. L' Abate sovrintenderà a tutto ed i frati, coadiuvati dai laici, faranno funzionare i mulini, le cave di pietra, i forni e le fucine; saranno architetti, muratori e manovali. L' agricoltura e la pastorizia saranno valorizzate in pieno, ed una schiera di artigiani opererà con le sue attività specifiche per il benessere di questa nuova comunità religiosa e sociale. Ed intanto le donazioni ed i lasciti continueranno. Nel 1142 i Marchesi Manfredo ed Ugo di Saluzzo concederanno terreni e possessioni in zone del Cuneese. Nel 1184 l' Abate si impegna a dare ogni anno venti staia di frumento ai Canonici di Tortona quali 'decime' per le terre che l' Abbazia possiede nel tortonese. Nel 1186 il Papa Urbano III ne riconferma i privilegi, sedente l' Abate Niccolò. Nel 1187 Enrico VI Imperatore prende sotto la sua regale protezione l' Abate Niccolò e l' Abbazia, concedendo inoltre altri terreni. Nel 1199 i Marchesi di Ponzone cedono a Tiglieto tutti i loro diritti che avevano sul Monastero di San Quintino di Spigno. Nel 1210, Ottone IV, Imperatore, concede l'immunità per trasporti e viaggi di bestiame e vettovaglie che i frati di Tiglieto dovessero effettuare per tutto il territorio italiano. L'importanza dell'Abbazia e l'autorità dell' Abate sono tali che, nel 1218, il Papa Onorio III autorizza l'Abate Bonifacio ed il Priore Vassallo ad assolvere il Podestà e gli amministratori della Città di Alessandria da una scomunica nella quale erano incorsi per divergenze con le autorità ecclesiastiche. Durante tutto il secolo XIII sono numerosi i documenti che ci confermato, tramite pagamenti di decime e di censi a vescovati e Capitoli vari (particolarmente a quello di Acqui) le innumerevoli possessioni. Infine, nel 1311, l' Imperatore Enrico VII riconferma il Diploma di Ottone IV del 1210 per le immunità dei trasporti.
 Abbazia Tiglieto Ci siamo limitati fin qui a citare i documenti riportati dal Moriondo, dal Guasco, dal Campora e dal Grillo; documenti che abbondano per quest' epoca, che riteniamo la più fulgida per l'Abbazia. Si può dire che questi due secoli siano stati i più fecondi e gloriosi, dopo di che comincia il declino. Il sorgere dei due grandi Ordini, Domenicano e Francescano, influirà notevolmente sulla lenta ma continua decadenza di questo monastero.
Nel XIV secolo i Malaspina di Cremolino esercitano sull'Abbazia una non indifferente ascendenza, che si riscontra ancora oggi dagli innumerevoli stemmi scolpiti che questo casato ha sparso un poco dappertutto sui muri della chiesa e del monastero, nonchè da diverse sepolture in chiesa di personaggi della famiglia, compreso Isnardo, che fu uno degli ultimi e che, forse, ne era già commendatario. L'esiguità dei monaci professi porta, di conseguenza, alla trasformazione dell'Abbazia in Commenda, della quale, nei secoli successivi, saranno beneficiari prelati e laici, per lo più di famiglie genovesi. Le spogliazioni della Rivoluzione francese contribuiranno definitivamente al suo decadimento. Oggi, visitando quella che fu una delle più belle e fiorenti abbazie del Medioevo, si resta attoniti di fronte a tanto squallore ed a tanta desolazione: muri cadenti, pavimenti sconnessi, strutture crollanti. Il fabbricato che un tempo ospitava il monastero vero e proprio con le sue adiacenze, è adibito ad abitazione civile. Delle sue strutture resta ben poca cosa per gli innumerevoli rifacimenti, aggiunte e sovrapposizioni apportate in epoche diverse. La chiesa, anch'essa variata e rimaneggiata non poche volte nel corso dei secoli non presenta quasi più nulla dell'originalità della costruzione medioevale, salvo nella parte, oggi absidale, che un tempo era la vera facciata. E' chiusa da decenni e vi sono in corso lenti lavori di ripristino. Se i muri perimetrali sono ancora in piedi lo dobbiamo ad opere di restauro intraprese anni or sono dalla famiglia Salvago-Raggi e dalla Soprintendenza ai monumenti della Liguria che, avendo dato corso ad un primo lotto di lavori, hanno potuto, per ora, salvare quelli. Per i rimanenti restauri, almeno della chiesa, si attende che vengano stanziati i fondi necessari. Di coevo alla Badia non resta che il ponte di pietra costruito dai monaci, muto, solitario ed abbandonato testimone di antica storia e passata grandezza.
La 'Civitacula', che tanto ha contribuito a rendere fertili, feconde, ubertose e produttive le nostre colline e le nostre valli sta scomparendo, dimenticata.

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