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I Vescovi Domenicani della nostra terra.


Articolo n. 9 - Pubblicato su "Voce Fraterna" del Luglio-Agosto 1968

Sono andato, via via, enumerando su queste pagine molte figure di ovadesi che si distinsero nel passato e fecero onore alla nostra cara cittadina. Furono essi tutti uomini della vita civile, militare, artistica e letteraria.
Desidero però ancora ricordare su questo foglio, che ne è forse la sede più adatta, altri ovadesi che scelsero nella vita un' altra strada: quella religiosa, ed in essa operarono con carità ed amore grande verso il prossimo, che furono sostenuti nella loro ascesa da una profonda fede cristiana che li portò ad essere Vescovi e pastori venerati nelle loro sedi, dove ancora il loro ricordo, più che in Ovada, è vivo ed onorato.
Primo fra questi, e più lontano nel tempo, fu Mons. Tomaso Bottaro, Vescovo di Nissa, in Cappadocia, e Vicario Apostolico nel Tonkino. Egli visse tra il 1669-70 ed il 1737, ma le notizie su di lui sono poche e frammentarie, dato il lungo tempo trascorso e l'enorme distanza da noi delle terre ove egli svolse il suo ministero pastorale. Quelle poche sono però sufficienti a darci una breve ma fedele immagine della sua vita di apostolato.
Accertata l'origine familiare ovadese: i Bottaro, che allora nel borgo erano fiorenti; resta però ancora incerto il luogo della nascita. Il Casalis, nel suo 'Dizionario Storico Geografico', lo pone tra i chiari uomini usciti da questa nostra città che egli, giustamente, definisce ligure. Il Raimondo Vigna, nella sua opera 'I Vescovi Domenicani Liguri - Genova 1887', conferma questa tesi. Altri, come il Bremont, l' Echard, il Ponsi, e la stessa 'Hierarchia Catholica - Vol. V - Patavii 1952', a pag. 295, lo citano con il solo suo nome di religione: "...Thomas a Sestris Ordinis Fratrum Praedicatorum promovetur ad Nyssen...", senz'altra informazione circa il luogo di nascita. Negli Atti Parrocchiali di Ovada di quel tempo non risulta il suo atto di battesimo; è però tradizionalmente risaputo che il Bottaro nacque in Sestri, sulla riviera di ponente, nel 1669-70, durante un periodo in cui i suoi famigliari ovadesi erano colà trasferiti per ragioni di lavoro (di qui il nome di religione che assunse vestendo l'abito domenicano come Padre Tomaso da Sestri). Rientrata la famiglia in Ovada, compì i primi studi nelle scuole domenicane che già da oltre un secolo erano fiorenti nel nostro borgo. Rivelatasi in lui la vocazione religiosa, li continuò nelle scuole superiori, sempre domenicane, di Genova, e li completò con filosofia e teologia in Roma a Santa Sabina, dove vestì l'abito dei predicatori.
Non ancora trentenne, nel 1697, spinto dalla vocazione in un arduo apostolato, ottenne dai superiori il permesso di recarsi in missione nel Regno del Tonkino, situato nella Cina meridionale. Il Tonkino formava allora un estesissimo territorio commesso all'unica tutela dei Domenicani, quasi esclusivamente spagnoli. Già durante il viaggio iniziò la sua missione istruendo e catechizzando i passeggeri della nave nei doveri religiosi e sui misteri della Nostra Fede.
La sua opera di missionario fu certamente fervida di azioni e di opere grandi in quell'immenso territorio pagano se, circa un ventennio dopo, il 4 marzo 1716, su proposta dei suoi superiori, la Santa Sede lo promuoveva a Vescovo titolare di Nissa e Vicario Apostolico del Tonkino. Nella sua nuova dignità, Mons. Bottaro dedicò tutte le migliori energie per la penetrazione del Vangelo in quelle contrade; costruì una casa episcopale, che ancora mancava, fondò un conservatorio per l'educazione delle fanciulle ed aprì un seminario per la formazione di un primo nucleo di chierici del paese.
Fu certamente un uomo combattivo e deciso, costantemente osteggiato e boicottato dalle autorità locali e sempre minacciato dalle fazioni pagane che vedevano la sua infaticabile attività coronata da moltissime conversioni e la Fede Cristiana sempre più sentita nelle popolazioni indigene.
La notizia della sua morte, che ci dà il Vigna, è molto laconica e ci lascia perplessi. Dice: "...Morì a 68 anni il 7 ottobre 1737 dopo quarant'anni di ininterrotto apostolato. Gli fu propinato a Kenien un veleno potentissimo che lo condusse a morte dopo un'ora di atroci dolori viscerali...". Sentiamo in questa notizia, così scarna e tragica, quasi l'eco dei martirologi dei primi cristiani, e c'è da supporre che in quel tempo ed in quei paesi di missione, il Bottaro, pur conscio dei pericoli cui andava incontro, abbia sacrificato tutto se stesso fino all'olocausto estremo della vita per il suo altissimo ideale di fede e di carità cristiana.
Un' altra grande figura di vescovo ovadese fu Mons. Angelo Vincenzo Dania, domenicano e Vescovo di Albenga. Anch'egli visse ed operò in un ben triste e difficile periodo della storia, quello della Rivoluzione Francese e Napoleonico.
Di famiglia ovadese, era zio del Colonnello Andrea Dania del quale abbiamo parlato su queste pagine (1), nacque in Voltri il 13 settembre 1744. Entrato nell' ordine dei Domenicani, studiò a Bologna, dove fu poi Dottore e Maestro. Resse in Genova la Parrocchia di S. Maria di Castello e fu elevato all' episcopato di Albenga il 24 settembre del 1802.
Sappiamo che già prima di essere elevato alla cattedra vescovile il Dania, oltre ad essersi affermato come distinto cultore delle scienze sia sacre che profane, fece parte del Collegio Teologico di S. Tomaso e dell' Accademia degli Industriosi di Genova; curò la parte teologica e canonica del 'Dizionario degli uomini illustri della Liguria', edito, sempre in Genova, in quell'epoca. Predicò a Torino, Napoli, Roma e fu uomo di inesauribile carità.
Il periodo napoleonico, che coincise con il tempo della sua dignità episcopale, gli riservò non poche amarezze e rinunce sebbene Napoleone, che lo stimava, lo avesse creato Barone dell'Impero e fregiato della Legion d'Onore.
Nel 1811 intervenne al Sinodo Nazionale di Parigi, dove perorò la causa della liberazione di Papa Pio VII. Si adoperò per salvare dalla coscrizione militare moltissimi giovani della sua diocesi ed evitò la soppressione di diversi monasteri di monache a San Remo e Taggia. Nel 1814 ospitò Pio VII, reduce dalla prigionia, nel palazzo vescovile di Albenga. Generoso e caritatevole, si privava di tutto per aiutare i poveri e gli indigenti. La diocesi di Albenga lo ricorda come uno dei suoi più grandi vescovi. Morì in Lusignano d' Albenga il 9 settembre 1818, compianto e venerato da tutto il popolo. Riposa nella Cattedrale, dove una lapide del seguente tenore lo ricorda: "...Hic quiescit Angelus Vincentius Dania - Domo Ovada - Ord. Praedicatorum - Qui virorum Italiae Principum - Suffragiis - Doctrina lenitate eloquentia - Mirifice comparatis - Episcopatu Albingaunensi - Ann. XVI - Pie prudenterque perfunctus - Obit nonis Sept. A.D. MDCCCXVIII - Aetatis suae LXXVI.... "