Benvenuti su www.nonsoloovada.it!

Ricordi Storici Ovadesi intorno ad una pestilenza in Ovada nel 1631 e sull'edificazione della chiesa della Concezione della B.V. Maria.


Articolo n. 1 - Pubblicato su 'La Provincia di Alessandria' del Marzo 1966

Il modo migliore per poter raccontare taluni avvenimenti storici,specialmente se di carattere drammatico, anche se interessanti una zona circoscritta a località conosciute, siano poi essi grandi o piccoli, è quello di riportarsi ai documenti dell'epoca che, essendo stati redatti per lo più da testimoni oculari o da coloro che in tali fatti ebbero parte, danno maggior affidamento sulla veridicità e l'esattezza della narrazione. Trattandosi poi di semplici iscrizioni o di diari cronologici nei quali l'autore si sia attenuto strettamente al fatto senza lasciarsi andare con la fantasia, l'efficacia è vieppiù palese, in quanto la semplicità dell'esposizione fa risaltare ulteriormente ogni piccola circostanza, dando ad essa il vero sapore del tempo e dell'ambiente in cui avvenne.
Se noi analizziamo quella lapide trecentesca oggi murata in un angolo della Parrocchiale di Ovada (1) e che ricorda la famosa peste del 1348, troviamo che essa non è meno eloquente di una qualsiasi lunga narrazione, giacchè con il suo dire così terribilmente conciso: "... fuit mortalitas... totalis ruina contagii Uvadae, quod de quinque remansit nisi unus.." dice assai, e lascia il lettore moderno attonito di fronte a tanta grandiosa e tremenda semplicità. Da essa non si ricava un particolare, ma l'assieme del quadro fosco e pauroso di un'afflizione così grande è talmente completo che nessuna narrazione potrebbe superarlo.Ed è appunto soffermandomi a rileggere un'ennesima volta questa lapide, e ben sapendo che altra documentazione di quel flagello non esiste in Ovada, che ho voluto rivedere altre memorie di consimili calamità avvenute in epoca più recente e delle quali qualche memoria resta tuttora. Ho voluto scorrere antichi documenti autentici e vecchi scritti lasciati dall' egregio Prof. Ambrogio Pesce-Maineri che di queste cose molto si interessava e che, se oggi sono potute pervenire fino a noi, questo lo si deve alla passione di ricerca e di documentazione quasi certosina che il buon Vincenzo Torello, antico sacrista della nostra parrocchiale, ha sempre dimostrato. Possiamo dire che l'illuminata cultura del Pesce-Maineri ha tradotto ed interpretato i documenti autentici, lasciandone memorie scritte che il Torello ha diligentemente conservato e che oggi possono far luce su qualche brano di storia della nostra bella città.
 Chiesa della Immacolata - Disegno Ovada non andò, naturalmente, immune dalle numerose pestilenze che afflissero tante parti d'Europa e specialmente città e paesi dell' Italia dal secolo XIV al secolo XVII e qualche breve memoria di alcune di esse ci venne conservata; ma sono soltanto brevi accenni generici e talora indiretti come quello già accennato della lapide del 1348.
Un altro accenno di una grave mortalità in Ovada nel 1625 trovasi in un documento di alcuni anni dopo (1628) nell'Archivio di Stato di Genova dove, dagli Atti del Senato, risulta che le vittime di tale mortalità furono in Ovada circa un migliaio, cifra che si può ritenere sia stata esagerata, ma che certo rappresenta sempre un bel numero di vittime. Che poi sia stata vera peste non si può sapere con precisione, mancando veri e propri documenti dell'epoca. Era più probabilmente una mortalità causata da fame e carestia per la guerra che allora si combatteva tra Genova ed il Ducato di Savoia e che in queste zone aveva fatto gran danno, tant'è vero che la Repubblica dovette inviare nella zona di Ovada ingenti soccorsi di viveri.
A tale proposito ho voluto sincerarmi consultando il Registro dei Morti di tale anno 1625, dove ho potuto constatare che essi sono stati precisamente in numero di 257 con una maggiore percentuale di giovani e bambini. La cifra è veramente altissima per un paese di poche migliaia di anime, ma tuttavia sorge il dubbio che nella relazione fatta dai Capitani di Ovada al Senato di Genova essa sia stata volutamente esagerata per poter avere un più celere e cospicuo invio di soccorsi che, infatti, il Senato concesse, riportando la cifra delle vittime così come avuta, nei suoi atti.
Ma, come già detto, di queste prececenti e forse maggiori afflizioni, appunto perchè tali, i ragguagli che ci sono stati tramandati sono scarsissimi e molto laconici.
Della pestilenza del 1631, invece, si ha una più precisa e chiara documentazione.
Il morbo che afflisse allora il borgo non fu particolarmente violento, ed è per questo che i particolari si possono trovare più numerosi ed ordinati. Pur essendo la stessa peste che devastò Milano nella stessa epoca, qui in Ovada si manifestò in maniera più attenuata, con casi più sporadici; meno numerose furono le morti per contagio, sebbene un conteggio sommario può fare risalire le vittime a non più di qualche centinaio, e forse meno.
Il documento che trovasi negli Archivi Parrocchiali, in fondo al libro dei Morti dal 1604 al 1673 è una specie di diario molto breve e conciso, ma sufficiente a dare un'idea di ciò che avvenne in quella contingenza e del modo in cui si andava provvedendo alla giornata.
Scritto probabilmente da qualche sacerdote della Parrocchia, che si rivela acuto osservatore dei fatti e buon cronista, il manoscritto non è uno scarno elenco di atti di morte (che per questi il registro ha i suoi elenchi a parte, morti naturali e non di peste, "57 per la precisione nell'anno 1631", poichè dei morti di peste gli elenchi furono fatti a parte ed i cui nominativi il cronista del tempo annota via via enumerando nel suo diario). Esso ci fornisce piuttosto la cronaca registrata dei fatti verificatisi, di attività umane di soccorso, di interventi delle pubbliche autorità talvolta così rigide ed inflessibili nei provvedimenti da prendere subito, e tali da essere giustificati solo da ciò che la scienza del tempo e la paura suggerivano.
E' da notare poi che l'oscuro cronista registra i fatti avvenuti nel momento di maggiore recrudescenza del contagio e cioè dai primi di settembre alla fine di ottobre dello stesso anno 1631.
L'epidemia certamente covava da tempo, essendo essa in quegli anni, quasi un male endemico in quasi tutta l' Europa e, certamente, casi sporadici ed isolati se n'erano già verificati.
Il Senato della Repubblica che già aveva avuto l'esperienza del 1625, stava con gli occhi aperti e aveva provveduto ad inviare in Ovada un Commissario di Sanità che sovrintendeva alla salute pubblica del borgo che già a quel tempo aveva una popolazione superiore ai 4000 abitanti. Certamente la vigilanza era attiva e scrupolosa ed i mezzi per stroncare sul nascere ogni caso sospetto, erano drastici ed irrevocabili. Infatti notiamo dal diario che: "...addì 11 settembre 1631...venuta notizia all' Ecc.mo sig. Gio Francesco Mercanti, Commissario residente di Sanità in Ovada che qualmente alla Cassina dei fratelli Batta e Michele Casali posta in detta giurisdizione nel loco detto 'Li Erzi' si trouava un giovanetto morto per il che si mandò subito il suo Cancelliere, Uffiziali di Sanità, Medico e Chirurgo a far la visita dove si trovarno il cadauere e i detti fratelli Batta e Michele ammalati e il Michele con segni di contagio. Si lasciarono guardie a detta Cassina le quali riferirono poi che alle hore sette di notte essere morto detto Batta. Alla mattina detto Ill.mo sig. Commissario si trasferiva alla detta Cassina et trovò detti doi cadaueri et da ivi a poco anche il Michele se ne morse. Si andò investigando chi potesse avere avuto commercio con detti fratelli e si serrarono molte case e cassine con ordinanza che 'niuno uscisse fuori di casa sotto pena della vita.'. Le robe furono tutte bruciate e brustolata la casa....".
Fra le case e cascine così chiuse e 'brustolate' ricordiamo quella degli eredi del Capitano Giulio Montano agli Erzi, ed una dei fratelli Miroglio presso la località 'Palazzo' (ora Parasio). Casi simili si verificarono anche in Grillano, in via Voltinee (ora via Voltegna), in contrada di Borgo Nuovo ed un pò per tutto il borgo.
Due giorni dopo, continua il diario, il garzone del chirurgo, un famiglio dei fratelli Casale ed un certo Taffone furono chiusi in quarantena all' Annunziata; il primo perchè aveva aiutato il chirurgo a cavare il sangue al Batta, il secondo per avere trasportato masserizie dei due fratelli ed il terzo per avere avuto con loro rapporti di commercio.
Certamente l' Ill.mo sig. Commissario residente ci sapeva fare e non andava troppo per il sottile nel prevenire e reprimere sul nascere ogni caso di cui venisse a conoscenza. Il Senato, naturalmente, gli aveva impartito ordini precisi, anche in considerazione che il traffico molto attivo tra Ovada e Genova potesse dare adito all'entrata nella città di portatori di contagio.E forse fu proprio questa estrema diligenza dell' esimio Commissario nell'imprigionare in casa le persone sospette, nel bruciare le robe e nell'abbrustolare le case che limitò l'espandersi di un'epidemia che avrebbe potuto fare ben altro numero di vittime.
Rileviamo che i sistemi di disinfezione del tempo, a prescindere da quelli già citati, erano quanto mai semplici e si limitavano ai soliti metodi delle ciotole piene d'aceto dove si gettavano le monete, si portavano sacchetti di erbe aromatiche appesi al collo, le persone cercavano di tenersi a debita distanza le une dalle altre, si lisciviavano le biancherie, ecc.. Il diario però ci da un'efficiente descrizione della quarantena che, nel pieno del contagio, veniva fatta effettuare agli ammalati guariti ed anche ai soli sospetti.
Gli appestati nel pieno della malattia, se non erano trovati già morti in casa o che venivano denunziati dai famigliari, venivano ricoverati in una specie di lazzaretto allestito sotto un capannone nei pressi del vecchio ospedale di S. Antonio (2). Quando poi il male era passato si mandavano in quarantena nei due oratori dell' Annunziata e della Trinità che si trovavano, per così dire, alla periferia del borgo e già quasi in campagna, fuori delle mura. In un terzo tempo, quando ormai erano considerati guariti, venivano trasferiti in quarantena all'aperto (detta allora 'quarantena netta'), in un appezzamento di terreno concesso per la bisogna dagli eredi di un certo Gio Giacomo Maineri. Per quest'ultima, 'la netta', il documento parla di un cortile, ma è da presumersi che fosse un lotto di terreno incolto con baracche ed attendamenti all'uopo costruiti. Questo provvedimento era sapientemente escogitato, in quanto chi era stato in osservazione nei luoghi destinati alla prima, aveva potuto trovarsi in contatto di altri compagni che, anzichè sani, si erano poi rivelati infetti ed erano stati trasportati al lazzaretto vero e proprio.
L'estensore del manoscritto cita altresì alcuni casi pietosi di bambini morti non per contagio ma per mancanza di nutrizione in quanto i loro genitori erano morti di peste. Pagò il suo tributo alla peste anche il chirurgo Agostino Rosso che si era indefessamente prodigato nella cura degli appestati. Questi aveva la casa in 'Contrada di Borgo Nuovo dietro alla chiesa', così dice il documento, notizia questa che, combinata con altre, non è priva di importanza per avere un'idea del graduale sviluppo della città e che ci fa pensare che la citata località possa essere oggi localizzata nella zona di via Ripa, dietro l' oratorio dell' Annunziata. Assieme al Rosso perirono la di lui moglie ed una figlia in tenera età.
Il documento, sempre a proposito di quarantene, nomina due località, una detta di S.Bernardino e l'altra 'alla Misericordia'.
 Chiesa della Immacolata - Foto del 1965 In quanto alla prima, essendo essa citata in altri documenti di epoca posteriore e particolarmente riguardanti l'edificazione della chiesa della Concezione, appunto eretta come voto dalla Comunità per impetrare la fine del contagio, si pensa fosse una piccola cappella che potrebbe oggi localizzarsi nei paraggi dell'attuale Piazza XX Settembre, dove infatti possono ancora vedersi i resti di una piccola cappella incorporata nell'edificio dell'autostazione (da ricerche fatte sul catasto napoleonico del 1798 presso l' Ufficio Tecnico comunale di Ovada, risulta infatti al n. 1869 di mappa la piccola chiesa di S. Bernardino, in proprietà Scasso). In quanto alla 'Misericordia', è un pò difficile oggi dire dove essa si trovasse, a meno che, sempre per pura supposizione, non si voglia pensare alla vecchia casa, cosidetta 'dei Cinini', oggi demolita (3) ma che ancora qualche decina di anni fa si rivelava un'antica costruzione per il culto (le ricerche catastali hanno appunto accertato la presenza di un campo e di una chiesa intitolati a S. Bartolomeo). Questa supposizione può essere avvalorata dal fatto primario della sua posizione a breve distanza dal vecchio ospedale S. Antonio e dal ritrovamento di molte ossa umane in tale località reperite in scavi di costruzione di nuovi edifici. Si può quindi supporre che ivi si seppellissero i morti dell'ospedale ed il grandissimo numero di resti umani lascia dubitare che vi siano state sepolte anche le vittime del contagio. Che poi tale edificio fosse, a quei tempi, proprietà della Comunità, è provato dal grande stemma di Ovada affrescato sui muri esterni dello stesso e che si è potuto ammirare fino alla demolizione della casa.
Il diario dell'oscuro scrivano, che inizia con la data dell' 11 settembre 1631, non va oltre la fine di ottobre, e ciò fa pensare che esso sia stato iniziato già in piena pestilenza e non terminato per motivi che a noi rimangono oscuri.
Comunque, quei due mesi di settembre ed ottobre furono i più tragici per la gente del borgo, tanto tragici e paurosi che la popolazione tutta, nel giorno di domenica 21 settembre 1631, radunata nella parrocchia di San Sebastiano (4) con Uffiziali, Sindaci, Consiglieri della Comunità ed in presenza dell' Ill.mo Rappresentante della Serenissima Repubblica di Genova, Capitano Stefano Odino, dopo avere fatto pubblica ammenda dei peccati, 'percossi ed afflitti per epidemico flagello', promettevano e votavano solennemente nelle mani del M.R. P. Giovanni Battista Cassolino, Arciprete, 'toccate le Sacre Scritture', "...di edificare un tempio in onore della Concezione della SS. B.V. Maria, in questo Borgo di Ovada, oppure fuori a loro arbitrio, e di celebrare in perpetuo la solenne Festività stessa e quelle dei santi Rocco e Sebastiano... implorando l'intercessione della B.V. Maria a 'liberarli dal suddetto morbo pestilenziale'...". Il rogito di questo impegno solenne porta le firme di numerosi rappresentanti di famiglie che ancora oggi dimorano in Ovada quali i Pescio, i Bavazzano, i Maineri, i Compalati, i Moizo, gli Ivaldi, e di altre già estinte come i Tribone ed i Lanzavecchia.
Il testo del solenne voto viene ancora oggi letto ogni anno, il giorno 8 dicembre, dal pulpito della chiesa stessa (5).
Passano però ancora nove anni prima che si delimitino i confini e che la prima pietra di detta chiesa venga posta il 10 giugno 1640, ed il 20 settembre dello stesso anno i primi Padri Cappuccini arrivano in Ovada inviati dal Padre Provinciale di Genova "....mandati dai Superiori a stare sulla terra di Ovada dove si doveva dare principio sia alla chiesa che al nuovo convento....".
I poveri padri ebbero vita grama in quel periodo perchè, in attesa della costruzione del fabbricato, dovettero adattarsi alla meno peggio ad abitare in certi locali dell'ospedale che, come dissero, non erano ben purgati dalle infezioni lasciate dagli infermi che vi erano stati, e qualcuno di essi si ammalò e ne morì. Dobbiamo però dire che gli Ovadesi pensarono di migliorare l'abitazione dei frati perchè risulta che un certo Odicini locò alla Comunità una certa sua casa posta in contrada Voltegna "....pro usu habitatione R. Fratrum Capucinorum..." per la somma di sette doppie d'oro di Spagna.
Gli ottimi religiosi, nonostante tutto, furono infaticabili nel girare terre, colline e castelli del circondario per raccogliere materiale e fondi per l'erigenda fabbrica. La Comunità e gli Ovadesi tutti concorsero con entusiasmo ed i benefattori furono molti e distinti nel donare terreni, materiali e denaro; sicchè, finalmente, con atto del 16 agosto 1641, si dette inizio alla costruzione vera e propria, l'impresa della quale venne assunta da tali Gio Antonio e Giacomo Montina q. Giuseppe 'fabrimurarius' che, in tale data e con un contratto molto lungo e ricco di clausole, si impegnano a portare a termine il lavoro "...bene e perfettamente come si conviene a buoni maestri...". Gli altri contraenti, i Sigg. Uffiziali della Comunità di Ovada, per loro parte ed a spese di detta Comunità si impegnano a "fornire pietre, calcina, mattoni, legname, chiodi ed ogni altra materia necessaria per detta fabbrica, in modo che detti maestri habbiano a mettere solo la loro opera e fatica.".
E con l'andare degli anni la nuova chiesa e l'attiguo convento andò man mano elevandosi nei terreni della contrada di S. Bernardino, ed i donatori e benefattori non mancarono, furono molti e fecero a gara nell'offrire terreni e lasciti.
A titolo di cronaca citiamo che: G.B. Solaro nel 1635 donò alla Comunità l'area dove fabbricare la chiesa, Lorenzo Scasso permise ai frati di costruirsi una fontana in terreno di sua proprietà (6), Dorotea Beraldi donò un pezzo di terra prativa con alberi di gelso, il Rev. Stefano Odino fece donazione di cento doppie d'oro di Spagna che, a quei tempi, erano una bella somma e, particolare curioso della mentalità di quei tempi, l'allora Marchese di Silvano, Alessandro Botta Adorno, "...si privò di una pietanza la settimana.." per concorrere alla dotazione della chiesa. Molti concorsero per gli addobbi, per gli altari, per il corredo e costante benefattrice fu sempre la Comunità a cui i Padri Cappuccini non ricorsero mai invano.
La chiesa fu arricchita dai frati con molte sacre reliquie e venne consacrata da Mons. Bicuti , Vescovo di Acqui, il 26 marzo 1662, il quale, come dice una memoria del tempo, "...sermoneggiò in lode assai della religiosità e della fede del popolo ovadese...". Così, esattamente 31 anni dopo la solenne professione del voto, il borgo ebbe un'altra sua chiesa, voluta ed edificata dal popolo (7).

_____________________________________________

NOTE del curatore:

1) Per l'esattezza a lapide murata sulla sinistra, appena entrando dalla porta laterale sinistra della chiesa parrocchiale dell'Assunta è una copia di quella originale, che si trova tuttora murata alla base del pilastro anteriore sinistro del transetto dell'antica chiesa parrocchiale di San Sebastiano, oggi destinata a sala convegni e denominata "Loggia di San Sebastiano".
2) Per 'vecchio ospedale S.Antonio' l'Autore intende l' ospedale costruito verso il 1450 presso la chiesa di S.Antonio. Nel 1844 questo ospedale fu sostituito dal fabbricato, ubicato in via XXV Aprile, che ha funzionato come ospedale fino ad alcuni decenni or sono, quando è entrato in attività il nuovo ospedale civile di via Ruffini. L'argomento dell' ospedale S.Antonio verrà trattato più ampiamente in seguito.
3) La casa sorgeva dove oggi sorge il fabbricato di civile abitazione alla confluenza delle attuali strade via S.Antonio, via Gramsci e via Cavour.
4) L' attuale "Loggia di San Sebastiano".
5) Questa consuetudine risulta ormai scomparsa.
6) L' attuale fontana esistente al centro della Piazzetta dei Cappuccini.
7) Le vicende di questa chiesa, comunemente denominata 'chiesa dei Cappuccini', verranno ampiamente trattate in seguito.

|
|
|