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Pillole di Araldica - Ultima Parte

Araldica Civile ed altre curiosità varie ed eventuali

di Federico Borsari - 12 Giugno 2023


L'Araldica Civile, fino ad un paio di secoli fa, era utilizzata più che altro per definire le realtà territoriali, sia quelle assoggettate ad un dominio famigliare (i centri abitati dei marchesati, dei ducati e delle contee) che quelle appartenenti ad amministrazioni oligarchiche (i centri abitati delle Repubbliche ed i Liberi Comuni).
A partire dalla fine dell'Ottocento si sono sviluppate ulteriori modalità di applicazione dell'araldica in campo civile. Un esempio che tutti conosciamo sono gli "stemmi" delle società sportive (più che altro calcistiche) oppure gli "stemmi" di alcune realtà industriali, che spesso vengono registrati anche come "marchio" presso gli appositi uffici e, pertanto, assurgono al rango, meno romantico e molto più prosaico, di "brand", cioè "marchio di fabbrica". E' da sottolineare, a questo proposito, che la registrazione di un brand serve, esattamente come un titolo nobiliare del passato, a "perpetuare" la continuità del marchio e dell'attività anche dopo la morte del titolare, trasmettendolo agli eredi. La successione di un brand è regolata da apposite leggi (nazionali ed internazionali) e, a differenza dei titoli nobiliari famigliari, un marchio di fabbrica può anche essere ceduto e/o venduto mentre un titolo nobiliare rimane sempre e comunque strettamente ereditario e cessa di esistere solo quando tutti i rami della famiglia si sono estinti. A questo proposito, bisognerebbe anche approfondire le modalità di trasmissione ereditaria dei titolo nobiliari (i cosidetti "quarti di nobiltà", che variano per i figli di una coppia a seconda se un nobile sposi un'altra persona nobile oppure no e dai quarti di nobiltà già da essi posseduti) ma si tratta di regole talmente complesse (ed anche abbastanza confuse ed in contrasto tra di loro) che lasciamo al lettore curioso, eventualmente, il compito di approfondire.
Le regole di base della blasonatura dell'Araldica Civile sono le stesse dell'Araldica Nobiliare e di quella Religiosa ma, per motivi diversi e per una crescente "ignoranza" (nel senso letterale del termine) che da un paio di secoli ha accompagnato questo campo dell'araldica, è assai comune constatare come si verifichino sempre più spesso degli errori che talvolta, agli occhi di un araldista, rappresentano veri e propri "orrori". Senza muoverci di casa, anche qui in Ovada possiamo trovare diversi "orrori araldici" che riguardano lo stemma della nostra città, ed è proprio da questi "orrori" ovadesi che vogliamo iniziare la trattazione sull'Araldica Civile.

Il primo "orrore araldico" ovadese risale esattamente ad un secolo fa, cioè agli Anni Venti del Novecento e ne troviamo ben DUE esempi bene in vista all'interno del nostro Palazzo Comunale.
Come tutti gli Ovadesi sanno (o dovrebbero sapere), "Palazzo Delfino" (ex Badaracco), costruito una trentina d'anni prima ed originariamente adibito a sede di un istituto bancario privato, nei primi Anni Venti del Novecento fu ceduto all'Amministrazione Comunale e nel 1924 divenne la sede Comunale (che in precedenza si trovava in Piazza Cereseto, nei locali dell'attuale Biblioteca Civica). In quell'occasione furono realizzate due belle bacheche in legno, sistemate nell'atrio del palazzo e destinate, rispettivamente, alla pubblicazione degli atti dell'Albo Pretorio (Delibere di Consiglio, Delibere di Giunta, Avvisi Pubblici, Ordinanze, ecc.) ed alle "Pubblicazioni di Matrimonio", cioè quegli atti (obbligatori per legge) in cui si informa la popolazione del fatto che una persona si sposerà con un'altra persona. Le Pubblicazioni di Matrimonio servono, ancora oggi, a chiunque sia a conoscenza di un eventuale motivo ostativo al matrimonio di opporsi allo stesso, evitando così la celebrazione di nozze che potrebbero poi essere giuridicamente invalidate; in pratica un moderno "Questo matrimonio non s'ha da fare!".
Oggi, con l'adozione dell'Albo Pretorio Online (lo trovate sul sito internet del Comune) le due bacheche non servono più ma rimangono, ormai vuote, al loro posto. Ecco quella di sinistra:

Errori Araldici Ovada 01


Nello stemma, peraltro assai artistico e sicuramente realizzato da un valentissimo ebanista, si possono evidenziare ben TRE clamorosi errori araldici.
Il primo è la rappresentazione al tratto dei colori dello stemma, che è esattamente il contrario di come dovrebbe essere. In questa rappresentazione, infatti, abbiamo una croce d'argento su fondo rosso invece che una croce rossa su fondo d'argento. Il secondo errore è la croce che, invece di essere "semplice", risulta "filettata", cioè con un bordo attorno. Il terzo errore è la corona che, come ben si può vedere, è una corona "con otto palle" da Nobile (presa dall'araldica nobiliare che, in questo caso, non c'entra assolutamente nulla). L'unica cosa "giusta" di questo stemma è la stella centrale d'argento ad otto punte.

Il secondo "orrore araldico" ha caratterizzato una trentina d'anni a partire dalla proclamazione della Repubblica Italiana. Dal 1946 fino ai primi anni Ottanta del secolo scorso, infatti, lo stemma ufficiale della Città di Ovada è stato questo:

Errori Araldici Ovada 02


Questo stemma presenta DUE altrettanto clamorosi errori araldici.
Il primo è la stella in cuore, che è una normale stella d'argento a cinque punte invece della stella domenicana, anch'essa d'argento, a otto punte. A questo proposito ricordiamo come, in un periodo di particolarmente accesa rivalità politica, le forze politiche "conservatrici" ovadesi avessero accusato l'Amministrazione Comunale (allora monocolore Partito Comunista Italiano) di aver messo sullo stemma della città la stella dell'Unione Sovietica. Questa affermazione propagandistica denota, anche qui, notevole "ignoranza" araldica. In effetti, la stella (effettivamente a cinque punte) che compariva a quei tempi sulla bandiera dell'Unione Sovietica era di colore rosso filettata (cioè bordata) d'oro. Personalmente, riteniamo che la stella a cinque punte del nostro stemma cittadino intendesse invece riproporre la cosidetta "Stella d'Italia" (detta anche "Stellone Italiano"), cioè la stella d'argento a cinque punte filettata di rosso, di origini antichissime, che già appariva negli stemmi della monarchia sabauda e che è tuttora (caricata su di una ruota di ferro dentata) l'emblema ufficiale della Repubblica Italiana.
Circa la "Tsrvena Zvezda" (Stella Rossa) di sovietica memoria, essa è ancora oggi il simbolo di alcune società sportive di Paesi che appartenevano al cosidetto "blocco sovietico" come, ad esempio, la squadra di calcio "Fudbalski Klub Crvena Zvezda" di Belgrado (ex Jugoslavia, attuale Serbia) che, casualmente, ha come main sponsor il colosso energetico russo "Gazprom".
Tornando a noi, il secondo errore è la corona, che presenta una cerchia di mura con quattro porte (tre visibili ed una posteriore) sormontate da sedici merli ghibellini (nove visibili, gli altri dietro) e che è la corona di Comune. Come ben sappiamo, Ovada dal 1594 può innalzare la corona da Città, che è assai differente.

Il terzo "orrore araldico" lo abbiamo trovato sul canale Facebook "Le belle foto di Ovada" ed è stato pubblicato qualche settimana fa. Eccolo qui:

Errori Araldici Ovada 03


Si tratta dello stemma che abbellisce i più recenti impianti di illuminazione pubblica della nostra città ed anche qui possiamo riscontrare DUE fragorosi errori araldici.
In questo stemma, anch'esso rappresentato "al tratto", possiamo notare che la croce presenta due tratteggi diversi; nel braccio verticale il tratteggio è verticale (e corrisponde al colore rosso, quindi è corretto) mentre il braccio orizzontale presenta un tratteggio orizzontale, che corrisponde invece al colore "azzurro".
Il secondo errore, meno appariscente ed individuabile per gli araldisti poco esperti, è nella corona che sembra quella di città ma, in effetti, è quella che caratterizza gli Enti Militari.
Per fare chiarezza, qui di seguito vediamo le due corone affiancate:

Corona di Città Corona Ente Militare


A sinistra vedete la "Corona di Città" e, a destra, la "Corona Enti Militari". Entrambe fanno parte (assieme a quella per i Comuni, che abbiamo citato prima) delle cosidette "corone murarie", che graficamente rappresentano le mura che circondavano le città, i borghi ed i "castrum" (caserme, acquartieramenti, campi militari, ecc.) in passato.
La corona di Città prevede due livelli di mura sovrapposte, entrambe con otto porte (cinque visibili e tre posteriori) sopra alle quali si innalzano altrettante torri. Il colore è interamente d'oro. La corona degli Enti Militari presenta un solo livello di mura, anch'esso con otto porte su cui si innestano altrettante torri. Oltre alla mancanza di un livello di mura, questa corona si differenzia da quella di Città per i colori. Le mura sono, infatti, "al naturale" mentre l'interno della base è rosso.

Per chiudere la carrellata di errori araldici della nostra città, riproponiamo l'interpretazione "creativa" (l'abbiamo già citata in un precedente articolo) della stella domenicana ad otto punte che è stata inserita nella pavimentazione della Piazza Assunta dove appare, per esigenze decorative, in colore scuro su fondo bianco. Avrebbe dovuto essere realizzata al contrario, cioè bianca su fondo scuro (Credit Foto: Google Maps).

Stella Domenicana Negativo


Come avrete potuto notare, questa carrellata ci è servita per conoscere le caratteristiche dell'Araldica Civica, che si riducono, in definitiva, alle corone.
Ma, anche qui, ci sono delle eccezioni. Guardate questi due stemmi di città:

Stemma Milano Stemma Genova


Come vedete, gli scudi sono uguali. Come si fa a sapere a quali città appartengono?
In questo caso, la differenza la fanno gli attributi, e da questi possiamo sapere che lo stemma a sinistra è quello di Milano mentre quello a destra è lo stemma di Genova. Ma andiamo ad esaminarli.

Lo stemma di Milano sembrerebbe quello di una Città ma, come possiamo vedere, la corona NON è quella di città, bensì quella di Ente Militare. In effetti, anche se Milano è una vera e propria città nel senso urbanistico del termine (e lo era già in tempi antichissimi), la sua denominazione ufficiale, che trovate anche sul sito internet del Municipio, è "COMUNE di Milano", per il semplice motivo che nessuna autorità, nel passato, ha mai autorizzato Milano a fregiarsi ufficialmente del titolo di "Città". Stante questa premessa, Milano dovrebbe innalzare la corona di Comune, ma ecco l'eccezione. Milano innalza la corona di Ente Militare in ricordo delle sue origini più antiche e, soprattutto, per il fatto che, al tempo degli antichi Romani, Mediolanum (così si chiamava) era un "castrum" fortificato importantissimo, talmente importante che fu la base da cui Giulio Cesare mosse con le sue legioni per conquistare le Gallie.

Lo stemma di Genova è più complesso e quello che salta subito agli occhi sono i due grifoni alati che sostengono lo scudo e la corona, che in questo caso è nobiliare, per la precisione di Duca (rappresentata in versione "aperta", cioè con sette fioroni visibili ed uno posteriore) e che risale al 1897, quando il Re Umberto Primo concesse alla città il privilegio di innalzarla. Bisogna dire che sulla questione della corona ducale genovese ci sono state (e ci sono tuttora) interpretazioni storiche diverse e contrastanti, anche perchè col trascorrere dei secoli le vicende della Repubblica di Genova (che comprendeva vastissimi territori anche oltremare ed aveva lo stemma con determinati attributi) e quelle della Città di Genova (intesa come nucleo abitato, che aveva lo stesso stemma ma con attributi differenti) si sono talmente intrecciate e diversificate che nel 1815, quando la città ed i territori dell'omonima repubblica furono forzatamente "acquisiti" dai Savoia, si dovette trovare una soluzione di "unificazione" araldica che, come al solito, invece di accontentare tutti, li scontentò. E la polemica prosegue ancora oggi.
Il secondo attributo sono i Grifoni alati. Della figura del Grifone abbiamo già parlato nel nostro primo articolo dedicato all'araldica. Qui possiamo dire che i due Grifoni alati sono posti lateralmente "a protezione" dello scudo e risalgono al 1580. Da allora, il Grifone, oltre alla Croce di San Giorgio, è diventato uno dei simboli più caratteristici della città di Genova.
Un terzo attributo, a cui spesso non si da importanza, è la testa del Giano bifronte che è posta al di sopra della corona. Questo simbolo risale al Settecento ed è un riferimento al nome antico di Genova, che era "Ianua", che deriva, appunto, dal dio romano Giano (Ianus) e che significa "porta". In effetti Genova, fin dai tempi più antichi, ha rappresentato (e rappresenta ancora) una delle porte che ha consentito (e consente tuttora) all'Europa occidentale di collegarsi con il resto del Mondo e viceversa.
Una curiosità, infine, sui Grifoni, che sono rappresentati nella loro postura rampante con le code ben rivolte verso l'alto. C'è stato però un periodo storico in cui i Grifoni genovesi hanno dovuto tenere, letteralmente, la "coda tra le gambe". Questo periodo, abbastanza lungo, è durato dal 1816 al 2000.
Nel 1816 infatti, quando Genova ed i suoi territori vennero "annessi" al regno dei Savoia, il Re Vittorio Emanuele Primo ordinò che i Grifoni dello stemma di Genova dovessero tenere "le code tra le gambe" in segno di sottomissione. Questa disposizione, che era comune in tutti i casi in cui un territorio veniva sottomesso da un nuovo Stato (o da un altro potente di turno) prendeva le mosse da ciò che avviene normalmente in natura quando due animali si confrontano e, dopo una fase di confronto (che raramente sfocia in uno scontro fisico) in cui i contendenti si fronteggiano studiandosi e minacciandosi a vicenda, arriva il momento in cui uno dei due, rendendosi conto che l'avversario avrebbe sicuramente la meglio in caso di scontro fisico, abbassa la coda e si allontana. La frase "andarsene con la coda tra le gambe" deriva esattamente da questo. I Grifoni genovesi hanno tenuto la "coda tra le gambe" dal 1816 fino al, come abbiamo detto, 20 Luglio 2000 (quasi due secoli) quando la Giunta Comunale genovese ha "ordinato" (con un po' di ritardo, ci pare) di far rialzare le code.
Ci sarebbe poi da discutere sulla faccenda della bandiera genovese, cioè della "Croce di San Giorgio", che fu "prestata" in uso (in occasione delle Crociate in Terrasanta) alle navi inglesi già prima dell'Anno Mille e che l'Inghilterra assunse come prima bandiera "nazionale" per poi "integrarla" con la bandiera scozzese e con quella irlandese arrivando a "costruire" l'attuale "Union Jack". A Genova si parla ancora oggi di "furto della bandiera" e qualcuno, ancora oggi, vorrebbe chiedere all'Inghilterra il pagamento delle "royalties" per oltre un millennio di "affitto" della bandiera. Ovviamente, non ne discuteremo.

Abbiamo detto che l'araldica, a partire dalla fine dell'Ottocento, è stata anche utilizzata per gli stemmi delle società sportive, specificatamente calcistiche. Questi stemmi, che in origine erano abbastanza rispettosi delle regole araldiche, col tempo si sono evoluti, sono stati cambiati più volte ed oggi sono diventati anch'essi dei "brand" la cui grafica, sempre più stilizzata secondo i moderni canoni del "design", ben poco mantiene rispetto agli originali.
Una delle particolarità degli stemmi originali di molte squadre è l'adozione di figure di animali o di personaggi (anche mitologici) e/o di precisi riferimenti alle città di appartenenza. Ad esempio la "Associazione Sportiva Roma", fondata nel 1927, porta nel suo stemma (troncato di oro e di rosso) la figura della lupa capitolina che allatta Romolo e Remo (simbolo della città di Roma). Lo stemma della "Juventus Football Club" (1897) è cambiato una decina di volte ed ha presentato, su uno scudo a righe verticali argento e nero, sia la figura del Toro (che è il simbolo della città di Torino) che della Zebra, ora entrambi eliminati in favore di una "J" stilizzata di pessimo gusto. Lo stemma del "Torino Football Club" (1906), anch'esso cambiato diverse volte, ha sempre recato sullo scudo amaranto (o granata) la figura del toro, che è il simbolo della città di Torino.
E' da precisare che lo stemma della città di Torino, invece, presenta il toro rampante caricato su di uno scudo azzurro. A questo proposito, a titolo di curiosità, è importante sottolineare che l'azzurro è il colore araldico della dinastia Savoia, che ha "creato" lo Stato Italiano, ed è per questo motivo che due figure istituzionali (Presidenti di Provincia e Sindaci delle cosidette Città Metropolitane) e gli Ufficiali dei vari Corpi Militari ancora oggi, nelle occasioni ufficiali, indossano la sciarpa azzurra messa a tracolla (o, più correttamente, "ad armacollo"). Anche qui in Ovada, senza andare troppo lontano, ne abbiamo un esempio. Infatti, anche se molti non lo sanno, il Corpo di Polizia Locale (che noi chiamiamo, come una volta, "Vigili Urbani") è un corpo militare locale e, pertanto, i suoi Ufficiali sono tenuti ad indossare, nelle cerimonie ufficiali, l'Alta Uniforme che prevede, oltre alle sciabole d'ordinanza, anche la sciarpa azzurra ad armacollo. Non ci sono state molte occasioni per vestire l'Alta Uniforme ma nelle foto qui sotto possiamo vedere gli Ufficiali del Corpo di Polizia Locale di Ovada che la indossarono nell'anno 2006 per la cerimonia di intitolazione del "Piazzale Sperico" (Foto: Andrea Gajone):

Alta Uniforme Vigili Ovada


In questa foto possiamo vedere, da sinistra, il Commissario Luigi De Alessandri, l'allora Vice Comandante Dott.ssa Laura Parodi e l'allora Comandante Dott. Maurizio Prina. Tutti indossano la sciarpa azzurra. Circa le sciabole, invece, si può notare che quella del Comandante, a differenza delle altre, ha la "guardia" (parte metallica che protegge la mano) e la punta del fodero in metallo dorato. Tutte le "forniture", cioè dragona e pendagli sono in tessuto dorato.

Alta Uniforme Vigili Ovada


In questa foto, invece, vediamo il Commissario Gian Paolo Tallone e due Agenti, questi ultimi anch'essi in alta uniforme con sciabola (ma con le forniture argentate), a scorta del Gonfalone della Città che, come si può vedere, presenta tutte le sue parti (stemma ed attributi) perfettamente corrette.

Per lo stesso motivo, le squadre sportive (cosidette "Nazionali") e gli atleti (di qualsiasi disciplina sportiva) che gareggiano nelle competizioni internazionali rappresentando l'Italia, indossano la maglia di tale colore.
La prima società, temporalmente parlando, calcistica d'Italia (1893) è il "Genoa Cricket and Football Club", che nel suo stemma, troncato-semipartito, presenta in capo la Croce di San Giorgio (simbolo della città di Genova) mentre nel partito di rosso e di blu è caricato un grifone rampante d'oro che, come abbiamo visto prima, è l'altro simbolo significativo della città. Altri riferimenti alla storia ed alla mitologia possono essere l'aquila nello stemma della "Società Sportiva Lazio", il giglio di Firenze nello stemma della "Associazione Calcio Firenze Fiorentina", la testa stilizzata di una giovane ragazza che corre con i capelli al vento nello stemma dell'"Atalanta Bergamasca Calcio" (Atalanta è la figura mitologica di una giovane che, secondo il mito, avrebbe sposato solo un ragazzo che l'avesse battuta nella corsa. Nessuno riuscì a batterla, tranne uno che ci riuscì solamente ricorrendo ad un inganno), la figura della strega a cavallo della scopa sullo stemma del "Benevento Calcio" (la città di Benevento era considerata, ai tempi della Santa Inquisizione, il principale luogo di raduno delle streghe nella penisola italica) e diversi altri che non è il caso qui di ricordare.

Stemma Roma Stemma Juventus Stemma Torino
Stemma Genoa Stemma Atalanta Stemma Benevento


Per quanto riguarda, invece, i veri e propri "marchi di fabbrica", con il passare del tempo si sono anch'essi ormai affrancati dalla dipendenza dell'araldica e sono ormai diventati ottimi esempi di design moderno. E' curioso però constatare come siano stati i marchi più "antichi" (ma stiamo parlando "solo" di un secolo fa) a mantenere grafiche pressoché originali che richiamano ancora oggi gli scudi araldici. E' ancora più curioso notare, poi, che pressochè tutti questi marchi riguardano industrie motoristiche. Eccone alcuni:

Stemma Ducati Stemma Piaggio Stemma Lancia
Stemma Ferrari Stemma Lamborghini Stemma Maserati


Una piccola curiosità a latere: molti dei nostri lettori avranno notato come le autovetture e le moto delle più note marche motoristiche italiane (Ferrari, Ducati) presentino il colore rosso (per la precisione: "rosso corsa"). L'utilizzo di questo colore, anche se da qualche decennio è invalsa l'usanza di "vestire" i colori dei principali "sponsors", ha origini centenarie. Un secolo fa, quando si iniziarono a disputare le gare motoristiche a cui partecipavano auto e/o piloti di vari Paesi, si codificarono i colori con i quali dovevano essere verniciate le vetture in base al Paese di appartenenza. Per oltre mezzo secolo, fino all'ingresso degli sponsors, i colori delle vetture (e delle moto) da corsa sono stati i seguenti: Francia: Blu, Germania: Argento, Inghilterra: Verde, Italia: Rosso.
Nella foto sotto (Credit: registrofiat.it) potete ammirare una Fiat S76 del 1911, popolarmente denominata "La Bestia di Torino", nella sua bella livrea rossa:

La bestia di Torino


Questa vettura, realizzata in soli due esemplari (oggi ne rimane solo uno, ricostruito in Inghilterra -con molte polemiche- e funzionante), aveva un motore aeronautico (utilizzato nei dirigibili dell'epoca) con quattro cilindri in linea per un totale di ventottomilatrecentocinquantatre (!) centimetri cubici (attuale classe ambientale: Euro Zero). La potenza era di 290 cavalli-vapore (Hp). Cambio a quattro marce più retromarcia, trasmissione a catena e sospensioni a balestre. Velocità massima omologata: 200 chilometri orari (al volante il pilota alessandrino Pietro Bordino, alla cui memoria è dedicato il "Memorial Circuito Bordino" che si tiene annualmente in Alessandria). Velocità massima non omologata: 225 Kmh (al volante il pilota franco-statunitense Arthur Duray).
Qui sotto due video (Credit: Stefan Marjoram e Goodwood Road & Racing) in cui potete ammirarla in fase di ricostruzione ed in corsa. Se non siete appassionati di automobilismo vintage, passate oltre.





Ma, a proposito di origini centenarie dello sport automobilistico, una piccola nota di cronaca attuale: domenica 11 Giugno scorso una "rossa di Maranello" (cioè una Ferrari 499P - numero di gara 51) pilotata da Calado, Pier Guidi (pilota dell'alessandrino, precisamente di Tortona) e Giovinazzi ha vinto la centesima edizione della classica competizione automobilistica denominata "24 Ore" che si è svolta a Le Mans, in Francia.
Anche qui proponiamo un video (Credit: Official Ferrari Youtube Channel) che, paragonato a quelli precedenti, ci dimostra come in centodieci anni sia cambiato tutto ma il nostro "rosso corsa" (ed il suo "spirito" avventuroso e vincente) sia ancora quello di allora. Anche in questo caso, se non amate gli sport motoristici, sorvolate.



Bene, con questo abbiamo terminato la serie di articoli dedicati ai fondamentali dell'arte araldica.
Come abbiamo visto, nella nostra vita di tutti i giorni abbiamo a che fare, anche abbastanza spesso, con l'Araldica. Passiamo di fronte a un Municipio e sul portone vediamo lo stemma della città. Passiamo davanti ad un Duomo o ad una Cattedrale e sopra il portale vediamo lo stemma del Vescovo in cattedra. Acquistiamo un'auto nuova e su di essa c'è lo stemma della casa costruttrice. Tifiamo per una squadra di calcio e sulle maglie dei giocatori c'è lo stemma della società. Insomma, conviviamo con l'araldica senza quasi rendercene conto.
Ma, ancora a proposito di calcio, tutti sappiamo che la squadra che vince il campionato (quest'anno lo ha vinto la squadra della "Società Sportiva Calcio Napoli") conquista lo "scudetto". Ma cosa significa e/o rappresenta la parola "scudetto"?
Vi ricordate il primo articolo di questa serie dedicata all'araldica? In quell'articolo, come primo elemento della blasonatura abbiamo trattato gli "scudi". Bene, lo "scudetto" altro non è che, come dice la parola stessa, uno "scudo piccolo", in questo caso di stoffa, che viene cucito sulle maglie dei calciatori e che è tripartito, caricato con i colori della bandiera italiana (verde, argento e rosso) e filettato d'oro.

Scudetto Campionato Calcio


Tutti ne discutiamo con gli amici e/o al Bar dello Sport, ma ogni volta che pronunciamo la parola "scudetto" noi parliamo, senza saperlo, di Araldica.